12 gennaio 2009 – ANDU
L’ordine del giorno presentato dalla Lega Nord e approvato ieri in Parlamento che vincola il Governo all’abolizione del valore legale del titolo di studio, non puo’ non preoccupare fortemente tutti coloro che abbiano a cuore le sorti del sistema universitario pubblico. A maggior ragione, se rappresenta l’avvio della fase due di riforma dell’Universita’ piu’ volte annunciata dal Ministro Gelmini.
Una preoccupazione che deriva sia dal merito della questione sia dalle motivazioni con le quali e’ stata affrontata che – ahime’ – sono state in parte condivise anche dall’opposizione che ha ritenuto questo punto “un buon inizio per una riforma del sistema universitario basato sul merito, sulla qualita’ dell’insegnamento e della ricerca”.
Il valore legale del titolo di studio viene individuato come la causa di formalismi e rigidita’ che pesano sul nostro sistema universitario e che, secondo le dichiarazioni di Paolo Grimoldi della Lega, primo firmatario dell’ordine del giorno, determinano la “falsa concorrenza agli atenei del Nord da parte delle universita’ meridionali che si sono trasformate in laureifici”.
La sua abolizione indurrebbe, invece, una concorrenza virtuosa tra Atenei che darebbero sempre maggiore importanza alla qualita’ della didattica, attraendo le matricole ad iscriversi in quelli sedi universitarie che godono di maggior prestigio in tal senso.
La mancanza, inoltre, della necessita’ del “pezzo di carta” per accedere al mercato del lavoro, implicherebbe la frequenza delle scuole e delle Universita’ solo da parte dei ragazzi veramente motivati, con un conseguente miglioramento dell’offerta formativa.
Queste motivazioni sembrano tuttavia dimenticare che l’Universita’ italiana gia’ compie una spietata selezione degli studenti in funzione di varabili che poco hanno a che vedere con il merito in senso stretto (si laurea l’81,4% di studenti con genitori laureati, il 59,6% con genitore diplomati, il 41,8% con genitori con la licenza media, il 30,2% con genitori con la licenza elementare) e che il nostro Paese non puo’ assolutamente permettersi di continuare ad essere la cenerentola del Paesi OCSE nel numero di laureati (solo il 17% della popolazione tra i 24 e i 34 anni ha conseguito una laurea a fronte di una media OCSE del 34%).
Invece di escogitare incentivi per motivare i giovani a frequentare l’Universita’ e per aumentarne il successo negli studi universitari, si rincorrono espedienti per demotivarli ulteriormente e condannare il nostro Paese ad un inarrestabile declino culturale. Espedienti che, peraltro, hanno il vizio sostanziale di ritenere che l’abolizione del valore legale del titolo di studio possa magicamente sanare tutti i problemi e le distorsioni presenti nell’Universita’ italiana.
In realta’ cio’ determinerebbe esclusivamente una liberalizzazione del sistema formativo che, accompagnata dalla sua privatizzazione, comporterebbe un’esplosione di corsi privati dall’incerta qualificazione in un “mercato formativo” fatalmente influenzabile da logiche economiche. Con la conseguente necessita’ di istituzione di un sistema in grado di verificare la qualita’ dell’insegnamento di ogni sede, certificando percorsi formativi e contenuti didattici.
Così un provvedimento nato per garantire il superamento di “formalismi e rigidita’”, comporterebbe di fatto una ulteriore burocratizzazione dei percorsi formativi e di tutta l’attivita’ universitaria.
La sostituzione del valore legale del titolo di studio con un sistema di accreditamento degli Atenei, trasformerebbe una garanzia “in uscita” verso il mondo del lavoro in un prerequisito “in ingresso” nel mondo dell’Universita’, con un corto-circuito logico che, classificando gli Atenei in diverse categorie di eccellenza, finirebbe per discriminare gli studenti fin dall’accesso nelle Universita’, con una chiara violazione sia del dettato costituzionale sia delle direttive comunitarie – recepite peraltro dal decreto legislativo 206/07 – secondo le quali i paesi membri dell’UE sono tenuti a riconoscere il valore legale di titoli e qualifiche di ciascun altro paese.
In realta’ il valore legale del titolo di studio rappresenta, in un sistema di generale precarizzazione del mondo lavoro, la migliore garanzia in grado di assicurare reali condizioni di uguaglianza per tutti i cittadini nell’accesso al mondo delle professioni. Il sospetto e’ che il vero obiettivo non sia tanto il miglioramento della qualita’ della didattica e della ricerca universitarie quanto piuttosto l’ulteriore liberalizzazione proprio del mercato del lavoro.”
Ferdinando di Orio
Rettore dell’Universita’ degli Studi dell’Aquila