UN VERO PROGRAMMA PER L’UNIVERSITà NON SI INVENTA
UNA PROPOSTA AI PARTITI E ALLA COMUNITA’ UNIVERSITARIA
- Nessun Partito ha mai avuto un vero programma per l’Università, eppure …
- Appello a chi nell’Università si vuole opporre alla sua disgregazione
- Come ricostruire l’Università tutta
- Le principali tappe della demolizione dell’Università italiana
- L’assegno di ricerca. Viola, Schiesaro, Braga, Accademia dei Lincei
- Nessun Partito ha mai avuto un vero programma per l’Università, eppure …
Nessun Partito negli ultimi decenni ha avuto un vero programma (complessivo, organico, dettagliato) riguardante tutte le principali questioni dell’Università. Qualche forza politica invece, alla vigilia delle elezioni, ha improvvisato (improvviserà?) vuoti slogan ‘allettanti’.
Eppure nei vari decenni i Partiti hanno approvato, di fatto insieme, tanti provvedimenti riguardanti l’Università (v. punto 4). Provvedimenti che, in tutta evidenza, fanno parte di un programma complessivo di smantellamento del Sistema nazionale universitario statale elaborato e imposto da una potente lobby accademico-ministeriale-confindustriale, secondo una logica pseudo liberista (gestione privatistica delle risorse pubbliche).
Anche in questa legislatura TUTTE le forze parlamentari hanno accettato quanto dettato dai poteri forti, interni ed esterni all’Università, e, in particolare, sono state approvate norme (v. nota 1) che massacrano gli attuali e futuri precari, considerati (e utilizzati) come meri strumenti usa e getta. Tali norme, non solo non prevedono il bando straordinario dei necessari almeno 45.000 posti di ruolo (v. nota 2), senza dare quindi sbocco agli attuali oltre 60.000 precari (più del 90% è espulso dall’Università dopo anni e anni di attività), e ripropongono un precariato vasto e subalterno che può durare fino a oltre 17 anni!
In vista delle prossime elezioni nazionali, si invitano tutte le forze politiche ad avere questa volta il buon gusto di non menzionare l’Università nei loro programmi-contenuti-agende elettorali e, invece, di porsi l’obiettivo di liberarsi dalla dipendenza da quei poteri extraparlamentari che stanno devastando l’Università.
In questa direzione si chiede a tutte le forze politiche di rendersi disponibili a un confronto serio e approfondito anche con chi, come l’ANDU, si occupa da decenni e continuativamente dell’Università e ha elaborato analisi e proposte per rifondare tutta l’Università per renderla aperta a tutti, democratica, autonoma nazionalmente, con tutti gli atenei di qualità, con piena libertà di ricerca e di insegnamento per tutti i docenti, senza precari e senza gerarchie baronali (v. punto 3).
Nota 1. Il testo approvato, dalla pag. 6 comma 6-bis, cliccando qui.
Nota 2. Questo numero è indicato nella relazione tecnica della legge di bilancio 2022 e servirebbe anche ad avvicinare l’Italia alla media del rapporto tra docenti e studenti.
- Appello a chi nell’Università si vuole opporre alla sua disgregazione
Per contrastare l’opera di demolizione dell’Università è necessario un vasto movimento per rifondarla nel suo complesso; un movimento che coinvolga il più possibile la comunità universitaria e soprattutto gli studenti e i precari.
Un movimento che abbia una visione generale e obiettivi dettagliati e interconnessi (v. al punto 3) da contrapporre all’azione di quanti in questi decenni sono riusciti a disgregare l’Università italiana statale con provvedimenti mirati e coerenti con la loro visione e i loro interessi. Un’opera di demolizione che si è avvalsa anche del sostegno dei ‘grandi’ organi di informazione, oltre che dei governi e del Parlamento.
Un movimento che abbia lucidità, continuità e coerenza, al di fuori di compatibilità politico-accademiche e scevro da logiche e interessi corporativi e sub-corporativi.
- Come ricostruire l’Università tutta
Per ricostruire l’Università italiana occorre cambiare urgentemente e radicalmente il complesso dell’attuale assetto normativo.
In questa direzione l’ANDU ha elaborato una proposta riguardante i punti di maggiore criticità dell’Università:
- Diritto allo studio e quindi anche l’abolizione del numero chiuso
- Abolizione del precariato (non degli attuali precari)
- Docente unico
- Autonomia del Sistema nazionale dell’Università
- Gestione democratica degli Atenei
- Netto aumento del finanziamento dell’Università per migliorare tutti gli Atenei
- Le principali tappe della demolizione dell’Università italiana
4. Le principali tappe della demolizione dell’Università italiana
La maggior parte di questi provvedimenti, come ora quello sul pre-ruolo, sono stati approvati all’interno di leggi blindate (Decreti legge, leggi di bilancio).
Finta autonomia statutaria (1989) per salvaguardare le oligarchie degli atenei, finta autonomia finanziaria (1993) per far gestire agli Atenei la riduzione progressiva dei finanziamenti, finti concorsi locali (1997) e ASN (2010) per dare ulteriore spazio alla cooptazione-arbitrio personale, introduzione del numero chiuso (1999) per negare ai giovani la scelta degli studi, imposizione del “3 + 2″ (2000) con la frammentazione dei saperi, invenzione dell’IIT (2003) costosissimo “giocattolo” ministeriale-confindustriale a discapito dell’Università, istituzione “personalizzata” del SUM di Firenze e dell’IMT di Lucca (2005), svuotamento del CUN (2006) a favore della CRUI, introduzione dell’ANVUR (2006) per commissariare l’Università, messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori (2010) per moltiplicare i precari, cancellazione di ogni parvenza di democrazia negli atenei (2010) con il rettore-padrone assoluto, localizzazione dei collegi di disciplina (2010) per tenere meglio a bada i docenti, istituzione dell’Human Technopole (2016) che è una sorta di duplicazione milanese dell’IIT di Genova, invenzione della Scuola superiore napoletana (2018), l’istituzione dell’ANR (2019) per controllare ancora di più l’Università e la Ricerca, invenzione del Biotecnopolo di Siena (2021), il mantenimento e il consolidamento del precariato (2022). E anche: Cattedre Natta, scatti premiali ai docenti, borse per studenti eccellenti, aumento delle tasse, finanziamenti per alcuni docenti, finanziamenti per dipartimenti eccellenti, riduzione dei finanziamenti agli Atenei e loro iniqua distribuzione per “merito”, etc.
- L’assegno di ricerca. Viola, Schiesaro, Braga, Accademia dei Lincei
Si sta intensificando sulla stampa e non solo una forte critica a uno dei contenuti del provvedimento sul precariato recentemente approvato.
La critica non riguarda gli aspetti che ne fanno una pessima norma: mancanza del bando dei necessari 45.000 posti di ruolo (i soldi vanno spesi per questo, non per nuovi precari), mancanza di un miglioramento del dottorato di ricerca, mancanza dell’abolizione di tutte le figure precarie, presenza invece di un percorso di precariato che può arrivare a oltre 17 anni, di ‘nuove’ figure prive di autonomia e di rappresentanza, le cui modalità di reclutamento e le cui mansioni sono affidate all’arbitrio del singolo Ateneo, ovvero del singolo barone.
Nulla di tutto questo. Quello che non si tollera è che la retribuzione dei nuovi assegnisti di ricerca – i contrattisti di ricerca – costeranno quasi il doppio (non di più comunque di un post doc in altri Paesi!) e che il loro numero sarà quasi dimezzato rispetto agli ultimi tre anni (mentre invece occorrerebbe bandire un numero di posti di pre-ruolo rapportato al numero dei posti di ruolo programmati).
Su questa questione, di seguito si segnalano alcuni interventi che colpiscono anche per l’omogeneità dei giudizi e, in larga misura, dello stesso linguaggio.
Questi interventi fanno ritenere probabile una prossima modifica legislativa che rimetterà le cose a posto.
L’intervento di Antonella Viola
Si è già segnalato l’intervento di Antonella Viola (v. nota), la quale ritiene che con il maggior costo dei ‘nuovi’ assegnisti e con il limite al loro numero, e (nel suo campo) assieme «agli aumenti dei reagenti e delle attrezzature», addirittura si «rischia di affossare in maniera irreparabile la ricerca scientifica pubblica». Antonella Viola alla fine del suo intervento scrive anche che i giovani non si aiutano «garantendo loro un “posto fisso” prima che abbiano potuto mostrare quanto valgono».
Nota. L’intervento di Antonella Viola “Vi spiego perché l’Università non riuscirà più a fare ricerca” è stato pubblicato sulla Stampa del 29 giugno 2022”.
L’intervento di Alessandro Schiesaro
L’intervento di Alessandro Schiesaro (v. nota) sul Sole 24 ore del 22 luglio 2022 porta il titolo Università, una riforma contro (sic!) il precariato che penalizza le carriere. Schiesaro si preoccupa che quanto approvato sia foriero «di sanatorie ope legis» e sostiene che gli assegni di ricerca andavano mantenuti eliminando «storture nell’uso – e abuso», che «i nuovi contratti saranno, se tutto va bene, appena la metà degli assegni, perché costano agli atenei circa il doppio» e «avranno durata minima biennale, non annuale», inoltre «la legge non recepisce neppure la proposta del Ddl di istituire “borse di ricerca”» e «sarà preclusa ogni possibilità di svolgere attività didattica».
Nota. Alessandro Schiesaro è stato uno dei principali ‘protagonisti’ della cosiddetta Legge Gelmini che, tra l’altro, ha messo a esaurimento il ruolo dei ricercatori, anziché trasformarlo nel terzo livello dei professori, e ha aumentato invece le figure precarie, la durata del loro percorso e la loro subalternità-
L’intervento di Dario Braga
L’intervento di Dario Braga sul Sole 24 ore del 28 luglio 2022 porta il titolo Una riforma populista (?!) che rischia di bloccare le assunzioni per anni.
Dario Braga lamenta che la norma approvata «abolisce gli assegni di ricerca … una delle figure cruciali per la selezione e auto-selezione del ricercatore-docente universitario.». Braga sostiene che il pre-ruolo «è un percorso lungo, a volte tortuoso, ma è fondamentale per lo sviluppo di una personalità scientifica e consapevole.» E ancora: «con l’abolizione dell’assegno di ricerca … viene a saltare un qualsiasi periodo di preselezione prima del pre-ruolo». I ‘sostituti’ degli assegni di ricerca sarebbero i contratti di ricerca, ma – sostiene Braga – essi «hanno costi ben diversi dal post doc. Con la previsione di anticipare l’intero importo di un contratto biennale, solo gruppi che possono contare su consistenti finanziamenti industriali o su grant internazionali potranno affrontare la spesa, con buona pace della ricerca di base.» Anche Dario Braga teme l’ope legis, cioè quel «fenomeno che accompagnò l’attuazione della ‘382: un “chi è dentro è dentro – chi è fuori e fuori”, che bloccherà le assunzioni all’università per molti anni.»
Il documento delle Commissioni Lincee
Il 13 luglio 2022 due Commissioni Lincee hanno prodotto un documento che riguarda anche le norme sul pre-ruolo.
Nel documento si legge: «Si ritiene positiva l’abolizione degli assegni di ricerca e degli RTD di tipo A e l’introduzione di un contratto di ricerca a tempo determinato che assicuri ai contrattisti le necessarie garanzie dal punto di vista previdenziale e normativo. Si deve tuttavia notare che il costo per le università e per gli enti di ricerca di tali contratti a tempo determinato, non godendo più del regime di esenzione fiscale e previdenziale degli assegni ricerca, aumenterà in maniera sostanziale. Essendo previsto che le risorse destinate a tali contratti non possano essere superiori a quelle impegnate nel corso dell’ultimo triennio per gli assegni, l’aumento dei costi comporterà inevitabilmente una drastica diminuzione del numero dei contratti di ricerca rispetto agli assegni oggi attivi, con conseguenze molto negative per la capacità di ricerca del nostro paese … risulta altresì incomprensibile la norma che non permette ai contrattisti alcun tipo di attività didattica, peraltro in contrasto con quanto viene concesso ai dottorandi di ricerca e con nocumento della preparazione all’attività didattica che tali ricercatori saranno chiamati a svolgere, già a partire dal momento in cui diventeranno ricercatori in tenure-track. Tenuto sempre conto che i contratti di ricerca preludono all’accesso alla figura di ricercatore a tempo determinato, ovvero alla tenure-track, rimangono delle perplessità sulla durata totale dei contratti di ricerca (4 o 5 anni) che in molti casi potrebbe risultare troppo breve per la maturazione dei titoli atti ad ottenere la tenure-track.»
In risposta a quanto chiede Andrea Carducci: gli attuali RTD-A che abbiano pero svolto almeno 3 anni, in caso di vincita di un “nuovo” posto da ricercatore possono richiedere di essere inquadrati direttamente al terzo anno dei 6 previsti per la nuova figura.
Chi ha ha già fatto almeno 3 anni di assegni di ricerca invece può richiedere di essere inquadrato al secondo anno.
MA questo per chi vincesse un concorso, senza alcun “automatismo” rispetto alla carica attuale.
Questo nei prossimi 36 mesi, poi inizieranno da 0 come gli altri.
Per la nuova figura non c’è nessun “sbarramento” potendoci accedere teoricamente subito dopo il dottorato, quindi gli anni pregressi di contratti, assegni, Ltd-a, etc. valgono come titoli ma non sono strettamente necessari.
Spero di aver dissipato i dubbi.
Un caro saluto
Una curiosità: ma gli attuali rtda in servizio da 0 a (3+2) anni – dipende dai casi – che fine faranno? Possono transitare nel nuovo ruolo rtt? E per quanti anni? E nella sede in cui si trovano adesso? E gli anni di assegnista in Italia e/o estero contano per un eventuale soglia di sbarramenti insieme a quelli di ric rtda?
Perché leggendo gli articoli in decreto pnnr che rimanda a Gelmini alla fine non ho capito più niente.
Un chiarimento mi sarebbe utile anche per i miei allievi.
Andrea Barducci