SENATORI, NON APPROVATE UNA LEGGE DELETERIA PER I PRECARI E L’UNIVERSITA’, ASCOLTATE PARISI E CARROZZA

 

  1. Senatori, fermatevi! Ascoltate Parisi e Carrozza
  2. Viva il Nobel che non si ascolta
  3. Viva la Presidente del CNR che non si ascolta
  1. Sul CorriereUniv: “Il Parlamento rischia di tornare indietro sui concorsi truccati”
  1. La Ministra: Gli “scandali”? Episodi isolati e circoscritti, non frutto di un sistema
  1. Braga all’ANDU sul “profilo” dei concorsi
  1. Silenzio stampa sul DDL sul precariato universitario

 

  1. Senatori, fermatevi! Ascoltate Parisi e Carrozza

Alle ore 15 del 19 ottobre 2021 la Commissione Istruzione del Senato ha all’ordine del giorno il DDL 2285 sui precari universitari (per il testo e gli emendamenti v. nota).

Il DDL approvato alla Camera, il cui impianto è finora confermato al Senato (v. quasi tutti gli emendamenti presentati), prevede un precariato che può arrivare fino a 17 anni e istituisce due ‘nuove’ figure (borse post lauream e contratti di ricerca) subalterne e mal pagate, un precariato ‘usa e getta’ che sarà ancor più ampiamente utilizzato al ‘servizio’ dei singoli professori (v. “Precariato a ogni costo” cliccando qui).

 

  1. Viva il Nobel che non si ascolta

Tutti si sono compiaciuti del premio Nobel assegnato a Giorgio Parisi, ma al Senato non lo si ascolta per quello che dice contro il precariato:

Dall’intervista a Giorgio Parisi su Left del 15 ottobre 2021:

“Per quanto riguarda i ricercatori, se in un Paese offrono la posizione permanente all’età di 29 anni e la garanzia di poter partecipare a dei bandi di concorso per dei finanziamenti e in un altro – che è l’Italia – non c’è nemmeno la possibilità di essere finanziato, ecco che la fuga è inevitabile.” “In Italia, la possibilità costante di ottenere finanziamenti non c’è. Altrove c’è. E poi è estremamente difficile avere un lavoro permanente prima dei 35-40 anni. Che vita si può fare essendo precario fino a quell’età?” “In Francia di norma la prima entrata ai centri di ricerca dell’università avviene sotto i 31 anni. Sopra i 31 anni un ricercatore sarebbe considerato anziano. In Italia quasi nessuno ha un posto permanente sotto i 31 anni. Siamo in mondi completamente diversi.”

“Un altro cardine è un piano certo di assunzione di giovani ricercatori. Nella prossima finanziaria è possibile che rientri un piano di assunzione a tempo indeterminato di 30mila ricercatori nei prossimi 5 anni.”

 

  1. Viva la Presidente del CNR che non si ascolta

Tutti si sono compiaciuti per la nomina di Maria Chiara Carrozza a Presidente del CNR, ma al Senato non la si ascolta per quello che dice contro il precariato:

Dall’intervento all’Incontro del 5 ottobre 2021 al Senato:

“Dobbiamo avere una grossa massa di ricercatori che stiano bene, che stiano socialmente rispettati, che possano contrarre un mutuo e avere una casa, che possano avere una famiglia, possano avere la maternità e altri welfare e quindi per me è estremamente importante oggi uscire dalla logica del precariato, dare una posizione decorosa e socialmente rispettabile”. “Marginalizzarli o rendere la loro vita troppo precaria io non ci ho mai creduto, anche quando in questo Paese, in queste Aule, qualche anno fa c’era chi appunto diceva che tutte le posizioni di ricercatore devono essere a tempo determinato. Io sono sempre stata in favore di contratti stabili e di tranquillità. Personalmente la mia vita è cambiata quando a trentatré anni ho avuto il primo contratto a tempo indeterminato. Ho vinto un concorso e dopo che l’ho vinto io ho lavorato molto di più di prima e meglio di prima, quindi so quanto può rappresentare questo e quindi vi ringrazio per tutto quello che farete in questo senso”

 

Nota.

Per leggere il testo del DDL all’esame, in sede redigente (nota 1), della Commissione Istruzione del Senato cliccare qui (pagg. 4-10), all’interno del “Fascicolo Iter DDL S. 2285 – Disposizioni in materia di attività di ricerca e di reclutamento dei ricercatori nelle università e negli enti pubblici di ricerca”.

Per leggere gli emendamenti fino a ora presentati al Senato cliccare qui. Solo il Relatore e il Governo potranno eventualmente presentare nuovi emendamenti.

 

  1. Sul CorriereUniv: “Il Parlamento rischia di tornare indietro sui concorsi truccati”

Si segnala l’interessante articolo del 18 ottobre 2021 sul CorriereUniv “Reclutamento ricercatori, il Parlamento rischia di tornare indietro sui concorsi truccati”.

Nell’articolo sono anche riportate, fra le altre, le dichiarazioni del Relatore del DDL alla Camera on. Alessandro Melicchio, del Premio Nobel Giorgio Parisi, della Presidente del CNR Maria Chiara Carrozza e del Segretario della FLC Francesco Sinopoli.

 

  1. La Ministra: Gli “scandali”? Episodi isolati e circoscritti, non frutto di un sistema

La Ministra, il 18 ottobre 2021, intervenendo all’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università di Pisa, ha tra l’altro parlato degli «episodi legati ai concorsi, che sebbene isolati, circoscritti e da verificare, fanno, a prescindere dalla fondatezza o meno, molto rumore e danno».

Il fatto è che sembra si voglia nascondere quanto è evidente a tutti: gli “scandali” concorsuali sono il frutto della cooptazione personale, un sistema di controllo dei ‘subalterni’, volutamente normato per essere alla base del sistema di potere baronale. Tale sistema è imperniato sulla presenza del membro interno nelle commissioni a tutti i livelli. Ed è questa presenza che al Senato si vuole ripristinare rispetto a quanto votato alla Camera, contando sull’accettazione dei desideri accademico-ministeriali da parte di quasi tutti i Gruppi parlamentari, in linea con quanto accaduto negli ultimi decenni per le leggi riguardanti l’Università.

Si ribadisce, ancora una volta, che per combattere veramente gli “scandali”, cioè la cooptazione personale, è INDISPENSABILE che tutti i componenti delle commissioni concorsuali, a tutti i livelli, siano sorteggiati tra tutti i professori in servizio, escludendo i professori dell’Ateneo interessato e prevedendo la presenza di non più di un membro della stessa sede. Inoltre occorre che la commissione faccia una graduatoria dei vincitori che, a scalare, possano scegliere la sede tra quelle che hanno bandito i posti.

Rimane forte la preoccupazione che al Senato, oltre che ripristinare la presenza di almeno un membro interno (cooptazione personale), si possa trovare un modo per assicurare una sorta di impunità ai componenti delle commissioni concorsuali, evitando così gli “scandali” giudiziari.

 

4. Braga all’ANDU sul “profilo” dei concorsi

L’ANDU aveva commentato (v. di seguito) l’intervento di Dario Braga sul Sole 24 ore del 13 ottobre 2021 (“E’ ora di cambiare le regole che governano i concorsi universitari”).

A questo commento Dario Braga ha replicato (v. più sotto). Alla sua replica non si trova nulla da aggiungere.

== Il commento dell’ANDU all’articolo di Braga

“Dario Braga auspica che la scelta di un docente universitario avvenga con gli stessi ‘criteri’ che si applicano nella scelta di un elemento di un’orchestra, un medico, un calciatore, un pizzaiolo, un autista, un bancario. Analogamente, sostiene Braga, un professore universitario dovrebbe essere scelto per la sua “aderenza al profilo professionale richiesto dal Dipartimento”. Poi evoca le situazioni virtuose “in altri Paesi europei” e “nel resto del mondo”

Lo stesso Dario Braga scrive che vuole mantenere il concorso, peraltro previsto dalla Costituzione, ma vuole anche che gli esiti di esso portino a un vincitore aderente al famigerato “profilo”, escludendo “il meccanismo della graduatoria (?)”.

Premesso che l’ANDU chiede da tanto tempo che tutte le commissioni, a tutti i livelli, debbano operare senza alcun vincolo di tipo anvuriano, e debbano decidere liberamente ‘solo’ valutando (leggendoli) i titoli dei candidati, si vorrebbe chiedere a Braga se non sa, come tutti sanno, che il “medaglione” (il profilo) è uno strumento già largamente usato per fare vincere il predestinato locale.

Non sarebbe meglio allora prevedere un BUONO POSTO da assegnare direttamente al singolo professore, quando viene il suo turno, facendogli scegliere chi vuole, ritornando così ai bei tempi dell’assistente? In tal modo si risparmierebbe tempo e denaro e si eviterebbe qualsiasi intervento. della magistratura.

E infine, Dario Braga pensa anche lui che sia indispensabile la presenza nelle commissioni di un membro scelto localmente, continuando così ad assicurare che a vincere il finto concorso sia il candidato predestinato, perfettamente aderente al “profilo”?”

 

== Replica di Dario Braga all’ANDU

“Dunque – io sostengo semplicemente che docenza/ricerca sono una professione e come per tutte le professioni non c’è intercambiabilità – uno/a non vale uno/a. La nostra ipocrisia – tutta italica – è di pretendere inapplicabili regole di 1vale1 dove non valgono, quindi meccanismi bizantini, parametri, commissioni semi casuali ecc. Il risultato? sotto gli occhi di tutti… noi abbiamo bisogno di “normalità” e questa normalità non corrisponde a concorsi per ricercatore o per professore (ma vado oltre nemmeno per dottorandi e nemmeno per assegnisti di ricerca) come se si selezionasse un portalettere o un usciere. Il “medaglione” lo conosco bene – ed è infatti uno strumento per delineare il profilo richiesto – e questo va bene però non lo si deve usare perché il concorso DEVE essere aperto a tutti gli aventi titolo … e il titolo non è la competenza ma l’aderenza a un certo SSD e il superamento di certe mediane …”

 

  1. Silenzio stampa sul DDL sul precariato universitario

Molti Organi di stampa si sono occupati dei cosiddetti scandali concorsuali e tanti si sono occupati, e a volte anche preoccupati, delle pessime condizioni del precariato universitario in Italia.

Però, a parte il CorriereUniv (v. punto 2), nessun Organo di stampa, per quanto risulta, è riuscito a ‘connettere’ queste due rilevantissime questioni al Disegno di Legge che OGGI è all’esame del Senato, che sta per approvarlo lasciando le cose come stanno o addirittura peggiorandole.

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Paola S. Gennaro
Paola S. Gennaro
3 anni fa

Ancora una volta si dimostra che lo “smontaggio” dell’assetto originario del sistema universitario non ha fatto che aggiungere distorsione a distorsione fino a bloccare l’intero sistema.
C’era una volta il concorso nazionale che a scadenza prestabilita (nonché mai rispettata) le università avanzavano al ministerro le rischieste di nuove posizioni docente e ricercatore, sulla base di un proprio piano di sviluppo. Il ministero ne valutava la congruenza anche rispetto alle risorse messe a disposizione dalla finanziaria (niente quote premiali, ma reale fabbisogno in funzione degli obiettivi) e apriva la procedura per la formazione delle commissioni: 1. votazione da parte di TUTTI i professori in servizio, settore per settore; 2. tra gli eletti estrazione di un numero di commissari commisurato alla numerosità dei posti a bando. Rinunciare era molto difficile, solo per gravi motivi, con tanto di certificato (non autocertificazione).
La commissione insediata procecedeva alla selezione dei candidati per l’ammissione all’esame orale sulla base dei titoli che i candidati dovevano inviare in cartaceo. L’esame consisteva di due momenti: il primo consisteva nella discussione dei titoli presentati sulla base delle domande poste dai commissari, il secondo in una lezione su un tema estratto 24 ore prima tra tre in busta chiusa, senza ausilio audiovisivo, solo lavagna.
Nel mio caso su oltre trecento concorrenti, furono ammessi agli orali 180 candidati, a fronte di 30 posti a bando.
I 30 risultati “vincitori”, dovevano poi avanzare domanda di chiamata presso una o più sedi gradite, le quali poi provvedevano a scegliere tra questi chi chiamare.
Poteva capitare che una sede non ricevesse alcuna richiesta di chiamata, certo non lusinghiero per la sua reputazione, ma anche che un candidato non risultasse chiamato da nessuna sede. Di conseguenza restava un posto vuoto sul quale veniva collocato d’ufficio il non chiamato.
Capitava che le sedi più forti (e numerose) si trovassero con un numero di vincitori maggiore dei posti a disposizione e dunque gli eccedenti prendevano la strada dell’emigrazione in altra sede. E questo capitava anche per sedi che NON avevano un commissario in servizio presso di loro.
Solo dopo tre anni si poteva eventualmente rientrare alla casa madre.
Un dispositivo ben bilanciato che garantiva un certo livellamento della qualità dei vincitori e spronava le sedi a mantenere un buon livello per non sfigurare pubblicamente davanti a tutta la comunità scientifica.
Il periodo di delocalizzazione consentiva ai nuovi professori di acquisire esperienze scientifiche, ma anche prassi organizzative, da riportare a profitto della casa madre, sia in caso di rientro sia in caso di proficue collaborazioni di ricerca.
Tutto questo si è perduto, sacrificato sull’altare di un’autonomia che tende a far saltare le interconnessioni e la cooperazione, portando ad un arroccamento sui singoli interessi, forzatamente più piccoli e più contingenti, oltre che discriminanti verso le situazioni e i territori più deboli, così che chi è più debole non potrà fare altro che diventare sempre più debole fino a compromettere la stessa praticabilità della ricerca come si vede soprattutto nell’assistenza sanitaria sui territori, con conseguente migrazione dei pazienti e anche degli stessi studenti.