ANCHE LO STATUTO DELL’UNIVERSITA’ DI PARMA BLOCCATO DAL TAR
E GOVERNO E PARLAMENTO RESTANO A GUARDARE?
Il TAR dell’Emilia e Romagna – accogliendo la richiesta di sette professori ordinari della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma contro lo Statuto di quella Università – ha sospeso la partecipazione di tutti i ricercatori ai Consigli di Facoltà.
I ricorrenti, richiamando le sentenze in materia del Consiglio di Stato e del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia (CGA), avevano chiesto che venga rispettata “la regola della legge statale, non eludibile in sede statutaria,” che prevede “che del Consiglio di facoltà facciano parte solo tre rappresentanti dei ricercatori e degli assistenti del ruolo ad esaurimento e non tutti.”
Dopo i ricorsi contro gli Statuti delle Università di Perugia (accolto dal Consiglio di Stato – dec. n. 506/1998), di Palermo (accolto dal CGA – dec. n. 564/1999), di Roma 1 (accolto da TAR del Lazio), e’ ora lo Statuto dell’Università di Parma ad essere colpito dall’intervento della giustizia amministrativa, mentre sullo Statuto dell’Università di Milano si deve ancora pronunciare nel merito il TAR della Lombardia.
La demolizione già avvenuta degli Statuti di quattro Atenei e il concreto rischio che altri Statuti vengano colpiti da sentenze amministrativo-accademiche contro l’autonomia degli Atenei, impongono un intervento legislativo urgente a salvaguardia di tutti gli Atenei.
Per questo è indispensabile che il Governo emani un decreto legge che ponga fine allo Stato di pesante incertezza istituzionale che grava sugli Atenei proprio nel momento in cui viene loro richiesto di fronteggiare l'”emergenza” della riforma dei percorsi didattici e di rilanciarsi anche sul terreno della ricerca scientifica.
A tal fine il decreto legge deve definire gli elettorati e la composizione degli organi e che ribadisca inequivocabilmente l’autonomia degli Atenei su ogni altra materia statutaria.
Con questo provvedimento, tra l’altro, si metterebbe fine a una situazione estremamente differenziata tra gli Atenei per la quale docenti (associati e ricercatori) che hanno uguali mansioni e retribuzioni in tutti gli Atenei, si trovano ad avere un trattamento differente sul piano della partecipazione alla gestione degli Atenei stessi.
Con le sue sentenze la magistratura amministrativa ha deciso che gli Atenei non hanno l’autonomia di modificare quanto previsto DPR 382 del 1980 e ciò nonostante una successiva legge del 1995 abbia esplicitamente previsto che “gli statuti degli atenei stabiliscono anche la composizione degli organi collegiali, assicurando la rappresentanza degli studenti in misura non inferiore al 15 per cento” (ex art. 6 D.L. 21 aprile 1995, n. 120, convertito in legge 21 giugno 1995, n. 236).
Per togliere ogni dubbio in proposito, il Consiglio di Stato ha affermato che “poiché la quasi totalità delle norme censurate coinvolgono la materia dell’elettorato attivo e passivo del personale docente e dei ricercatori, la questione da risolvere è se la materia da ultimo citata rientri nello Stato giuridico del personale e, di conseguenza, la sua disciplina sia sottratta alla competenza statutaria. Il Collegio ritiene che al quesito debba darsi risposta positiva” (pag. 17 della citata sentenza).
Nella stessa direzione, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia – organo equivalente al Consiglio di Stato – fa affermato che vanno escluse “‘fughe in avanti” da parte dei singoli atenei, attraverso un uso incontrollato della propria autonomia statutaria e regolamentare, al di fuori dei limiti ad essa assegnati dalla fonte legislativa primaria (la cui funzione, come ovvio, è anche quella, indeclinabile, di assicurare omogeneità e coerenza di assetto organizzativo alle molteplici strutture accademiche sparse sull’intero territorio nazionale)” (pag. 22 della citata sentenza).
Di fronte a quello che si configura sempre più come un vero e proprio conflitto istituzionale tra la giustizia amministrativa, che ha fatto proprie le ragioni dell’accademia più vicina al Diritto, e la totalità degli Atenei, che hanno deciso di darsi norme dichiarate illegittime, il Parlamento, per volere della parte piu’ forte dell’accademia più vicina al Diritto, non è ancora intervenuto per riconoscere per legge il diritto dei ricercatori di partecipare ai Consigli di Facoltà e di tutti i docenti ad accedere alle cariche accademiche, decidendo così di fatto che tutti gli Atenei debbono continuare a stare sotto la spada di Damocle degli effetti devastanti delle sentenze amministrative.
11 dicembre 2000
ANDU – Associazione Nazionale Docenti Universitari