GIÙ LE MANI DAI RICERCATORI
L’intervento di Antonio Padoa Schioppa sul Sole-24 ore del 23.11.02 (v. sul retro il testo integrale) ha il merito di affrontare il punto centrale della riforma dello stato giuridico della docenza universitaria, così come si sta delineando in sede accademico-ministeriale: la sostituzione del ruolo dei ricercatori con contratti di quattro/cinque anni rinnovabili.
Padoa Schioppa descrive, con pacatezza e onestà, lo stato attuale del ruolo dei ricercatori e le attese dei giovani che aspirano alla carriera universitaria, indicando anche le gravi conseguenze che comporterebbe lo spostamento dell’accesso alla docenza nel ruolo degli associati.
A queste argomentazioni ne aggiungiamo alcune altre:
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La validità di una terza fascia della docenza universitaria è comprovata dalle migliaia di nuovi ingressi nel ruolo dei ricercatori dopo la sua costituzione (1980), dal contributo determinante che i ricercatori, giovani e anziani, hanno dato e stanno dando allo svolgimento dei corsi e della ricerca, dai numerosi successivi riconoscimenti normativi dell’attività svolta (aggancio economico, mansioni, rappresentanze). Per un definitivo, completo e omogeneo riconoscimento delle funzioni docenti che i ricercatori stanno svolgendo è indispensabile e urgente la trasformazione del loro ruolo nella terza fascia dei professori universitari, così come prevedeva una legge approvata al Senato nella scorsa legislatura e poi bloccata per volontà di chi sta portando allo sfascio l’Università. Tale riconoscimento deve precedere la riforma complessiva della docenza.
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Lo svolgimento per un lungo periodo (10-15 anni) dell’attività didattica e di ricerca senza quel “minimo di stabilità” di cui parla l’Articolista, ne limita pesantemente la libertà e quindi la qualità.
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La logica ‘aziendalistica’ che mira a rendere possibile l’espulsione dei docenti dall’Università la si vuole estendere anche agli attuali professori e ricercatori, come dimostrano i contenuti del comma 6 dell’art. 14 del disegno di legge dei senatori, dei DS e della Margherita, Tessitore, Monticone, Acciarini, Coviello, D’Andrea e Villone e del comma 8 dell’art. 9 di quello presentato dal senatore di FI Asciutti. Queste norme prevedono che i docenti universitari si devono sottoporre ogni quattro anni ad una verifica che se non è superata ne comporta il licenziamento.
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Il blocco delle assunzioni del personale universitario previsto ancora oggi nella Finanziaria andrebbe oggettivamente nella direzione della messa ad esaurimento del ruolo dei ricercatori e dell’ampliamento dell’attuale fascia di precariato. Nella stessa direzione vanno le proposte emendative dell’Ulivo che richiede “5.000 nuovi contratti per giovani ricercatori nel prossimo triennio” e “contratti triennali (rinnovabili) di ricerca e avviamento all’insegnamento”. Anche per questi motivi è necessario modificare la Finanziaria eliminando il blocco delle assunzioni, così come richiesto da tutte le Organizzazioni della docenza universitaria e dal CUN.
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Anche alcuni associati vogliono che il ruolo dei ricercatori sia messo ad esaurimento, che non sia prevista la terza fascia dei professori e che nessun riconoscimento normativo dell’attività effettivamente svolta dagli attuali ricercatori preceda la riforma complessiva della docenza. “Questi associati si illudono che …, accettando lo smantellamento dell’Università pubblica – con annesse possibilità di licenziamento e creazione di ulteriore precariato – e affondando i ricercatori, si possa ottenere l’assimilazione degli associati agli ordinari. E’ una visione miope e perdente che può avere solo la conseguenza pratica di incrinare l’azione condotta unitariamente negli ultimi anni da quasi tutte le Organizzazioni della docenza per la difesa del sistema pubblico delle Università e per il riconoscimento di uguali mansioni e poteri a tutte le fasce della docenza.” (dal documento dell’ANDU “DDL Asciutti e il Club degli Associati sub-corporativi”).
25 novembre 2002
(di seguito il testo integrale dell’Intervento di Padoa Schioppa sul Sole-24 Ore del 23.11.02)
Da “Il Sole-24 Ore” di Sabato 23 novembre 2002, pag. 19:
INTERVENTO
Ricercatori, una specie “a rischio”
Molti giovani di valore rischiano di essere allontanati dagli atenei
di Antonio Padoa Schioppa
Dunque, la decisione sembra prossima: il ruolo dei ricercatori sarebbe sul punto di venire abolito. I ricercatori attuali verrebbero collocati in un ruolo a esaurimento, come già a suo tempo gli assistenti ordinari. I futuri aspiranti alla ricerca universitaria saranno assunti a contratto e perderanno il posto se entro un certo numero di anni non conseguiranno il titolo di professore associato o ordinario.
Una buona riforma? Se si chiede il parere di molti professori, la risposta è negativa: vi sono, è vero, ricercatori anziani e ormai demotivati (quanti professori lo sono anch’essi?), ma ve ne sono non pochi che assolvono con sicura professionalità i loro compiti scientifici e didattici pur non avendo conseguito – per le ragioni più varie e talora ingiustamente – il ruolo di professore. Se si chiede il parere dei giovani che oggi stanno seguendo i corsi post-laurea di dottorato di ricerca, la risposta è univoca e molto chiara: no, non è questo ciò che essi aspettavano, non è questa la prospettiva che si era configurata per loro quando si sono laureati. Oggi il dottorato si consegue intorno ai trent’anni e spesso più in là. E un trentenne brillante, magari già con carico di famiglia, può rinunciare a un impiego dignitosamente remunerato e scegliere per passione la via stretta e severa della ricerca. Ma a condizione di conseguire un minimo di stabilità.
Se questa viene a mancare, occorre allora quanto meno offrire condizioni contrattuali non eccessivamente disincentivanti, cioè una retribuzione decisamente superiore a quella degli attuali ricercatori di prima nomina. Altrimenti la conseguenza inevitabile sarà che molti dei migliori lasceranno la ricerca proprio nel momento in cui, dopo anni di investimento da parte loro e da parte delle università – dunque da parte della collettività nazionale – la loro preparazione ha raggiunto il livello in cui può diventare feconda per la scienza.
C’è di più. La ghigliottina del posto di associato – senza il quale il contrattista perderà il suo posto nell’università – finirà fatalmente per giocare a favore dell’anzianità e contro il merito. Chi se la sentirà di lasciare sul lastrico un quarantenne con figli? Proprio il contrario di quanto dovrebbe avvenire e di quanto sta avvenendo ora: negli ultimi anni, grazie alla riforma dei concorsi (certo migliorabile, ma ingiustamente vituperata da chi non conosce le cose) molti giovani di valore sono stati immessi nei ruoli di ricercatore, molti altri sono stati promossi a professore scavalcando colleghi più anziani che però non hanno perso né il pane né il posto. E questo dopo anni e anni di stasi. Perché fare marcia indietro? Perché non introdurre invece criteri più stringenti e severi – quanto alla carriera e alla progressione economica -per i ricercatori e per i professori che di fatto hanno smesso di fare ricerca e che in realtà si servono dell’università anziché servirla? I modelli ai quali ispirarsi non mancano.
Tutti gli osservatori concordano sul fatto che il futuro del Paese si gioca in gran parte sulla ricerca scientifica. E che l’Italia su questo fronte deve recuperare uno svantaggio notevole. Stiamo attenti a non allargare, anziché restringere, il fossato che ci separa dagli altri Paesi avanzati.