LE ABILITAZIONI NON VANNO CONTINGENTATE MA ABOLITE E SOSTITUITE DAI CONCORSI E DALLE IDONEITA’ NAZIONALI

 

  1. Tabù universitari: ASN, ANVUR, CUN, RTI, “3 + 2”, numero chiuso

  2. Paola Potestio: limitare il numero degli abilitati e semplificare i concorsi locali

  3. Perché si vogliono le abilitazioni a numero chiuso

  4. La ‘vecchia’ risposta a Stefano Semplici

  5. “Regole migliori” per peggiorare

  6. Una proposta organica di riforma della docenza universitaria

    (In calce le posizioni, PRIMA della approvazione nel 1998 della Legge Berlinguer sui concorsi locali, di Eco, Panebianco, De Rienzo, Schiavone, Pera, Tranfaglia e ANDU, e un recente giudizio di Bertoni)

1. Tabù universitari: ASN, ANVUR, CUN, RTI, “3 + 2”, numero chiuso

Il merito dell’intervento di Paola Potestio – che si segnala e si commenta al punto 2 – è quello di esaminare e discutere nel suo complesso l’attuale meccanismo di “selezione della docenza”, diversamente da quanto fanno molti che si ‘limitano’ a criticare i difetti e le contraddizioni delle ‘nuove’ abilitazioni nazionali, che ripropongono una procedura comparativa (simil-concorsi senza posti), il contrario di un giudizio individuale. L’abolizione delle abilitazioni è invece un tabù.

Altri tabù nell’accademia sono :

  • l’abolizione dell’ANVUR, uno strumento per commissariare la ricerca e la didattica: i più ‘radicali’ arrivano al più a richiedere le dimissioni dell’attuale direttivo o a proporre qualche candidato alternativo;

  • la costituzione di un organismo democratico di autogoverno universitario del Sistema nazionale, al posto dell’attuale CUN che, per compiti e composizione, è stato concepito per dare spazio assoluto alla CRUI, organismo che rappresenta il sistema di potere dei rettori, così come dettato dalla confindustriale “lobby trasparente” TreeLLLe che chiedeva di “assumere la Conferenza dei Rettori (Crui) quale referente per la consultazione, il confronto e la verifica del consenso sulle più rilevanti scelte di governo del sistema: ciò in quanto la Crui è espressione dei responsabili della gestione degli atenei e struttura istituzionalmente autonoma e indipendente (!) rispetto al Ministero.”

  • il ripristino del ruolo dei RTI, messo a esaurimento per creare un immenso precariato a tempo indeterminato;

  • il ripensamento profondo del “3 + 2”, difeso in più occasioni da Luigi Berlinguer e dal suo gruppo che l’hanno imposto (v., p.e., le dichiarazioni di Berlinguer su Repubblica nel 2014 e i tanti commenti). Una difesa ostinata che continua ancora oggi, nonostante da anni in tanti si chieda di rivedere una riforma disastrosa “passata nonostante buona parte del mondo accademico fosse contrario”, come si vanta lo stesso Luigi Berlinguer.

    Sul “3 + 2″  l’ANDU nel 2006 ha promosso un  Convegno Nazionale, un incontro tanto partecipato quanto inascoltato dai ‘padroni’ di quella riforma e di tutte le altre che, da anni in sintonia con Confindustria, stanno demolendo l’università statale (finta autonomia finanziaria, finta autonomia statutaria con imposizione dei rettori-padroni assoluti, finti concorsi locali, numero chiuso, svuotamento del CUN, ANVUR, cosiddetta Riforma Gelmini, ecc.);

  • l’eliminazione del numero chiuso in tutti gli atenei e in tutti corsi di laurea, per cancellare del tutto un meccanismo che rappresenta una vera e propria violenza nei confronti dei giovani.

2. Paola Potestio: limitare il numero degli abilitati e semplificare i concorsi locali

“Docenti, il nodo della selezione” è il titolo di un intervento di Paola Potestio sul Sole 24-ore del 27 giugno 2016.

Paola Potestio ripercorre criticamente la normativa che negli ultimi 15 anni è intervenuta sui meccanismi di “selezione della docenza”, meccanismi che con la Legge Berlinguer del 1998 aveva sostituito i concorsi nazionali (in realtà riguardanti i ruoli degli ordinari e degli associati e non quello dei ricercatori, ndr) con i concorsi locali con idonei (v. in nota quanto previsto PRIMA dell’approvazione di quella legge) e, successivamente, con le abilitazioni nazionali seguite dai concorsi locali.

Le critiche di Paola Potestio all’attuale meccanismo sono rivolte sia alle abilitazioni (“senza alcun vincolo sul numero degli idonei”), sia ai concorsi locali (non lasciano “agli atenei la facoltà di scegliere subito l’idoneo”, evitando di “impegnare tempo e risorse”). La stessa Potestio constata che finora gli idonei ‘reclutati’ negli atenei sono stati prevalentemente quelli interni.

Alla fine dell’intervento Paola Potestio scrive: “Il richiamato susseguirsi di regole è, in sostanza girato intorno al dilemma tra autonomia degli atenei nella scelta dei docenti e garanzie di una selezione indipendente. Il dilemma forse non ha soluzione.” E invece è la stessa Potestio a trovare la “soluzione”: il dilemma potrebbe essere sciolto “tentando di rendere più uniforme e limitato il primo livello e semplificando od opportunamente vincolando il secondo.”

Nel merito dell’intervento di Paola Potestio bisogna dire che la sua avversione ad un numero non controllato di idonei era stata manifestata da lei già nel 2002 quando, criticando la Legge Berlinguer sui concorsi locali, ha sostenuto che “la frammentazione dei concorsi e la gestione locale ha semplicemente eliminato ogni controllo (sic!) da parte della complessiva comunità scientifica dei singoli settori disciplinari.” E anche allora Potestio proponeva, in mancanza “di nuovi disegni”, una soluzione parziale: “la sostituzione del meccanismo degli idonei con il vincitore unico.” (v. l’intervento “Negli atenei un concorso senza qualità” sul Sole 24-ore del 5 ottobre 2005).

Va infine rimarcato come Paola Potestio proponga una “selezione della docenza” senza fare alcuna distinzione tra reclutamento (entrata nei ruoli della docenza da parte di chi non è già in ruolo) e progressione di carriera (passaggio da un ruolo all’altro della docenza), una distinzione che, almeno a parole, è ormai ritenuta necessaria da tanti.

3. Perché si vogliono le abilitazioni a numero chiuso

L’idea che la qualità della selezione della docenza non possa essere assicurata se è consentito un eccessivo numero di abilitati non è solo di Paola Potestio, ma nel 2004 è stata sostenuta dalla CRUI e inserita in un DDL dell’Ulivo e poi nella Legge Moratti, ricordata dalla stessa Potestio nel suo intervento.

La limitazione per legge del numero degli idonei è stata riproposta nel 2012 in un Disegno di Legge elaborato da quattro professori (v. art. 13, comma 1 di questo DDL).

Dopo le critiche dell’ANDU a questo disegno di legge, Stefano Semplici, uno dei quattro autori, ha rivolto all’ANDU 7 domande, una delle quali riguardante proprio la critica alla richiesta dell’introduzione del numero chiuso nelle abilitazioni nazionali

Si riporta per intero nel punto successivo la risposta dell’ANDU a Stefano Semplici, che contiene anche la proposta di sostituire l’attuale meccanismo abilitazioni+concorsi locali con solo i concorsi nazionali per la formazione e il reclutamento della docenza e con solo i giudizi di idoneità individuali nazionali per gli avanzamenti. Si ritiene che questo sia l’unico modo per superare la cooptazione personale, che caratterizza in maniera devastante l’accademia italiana, e si ritiene che una abilitazione nazionale – comunque congegnata –  la rafforzerebbe, costituendo ‘solo’ una foglia di fico alla scelta dell’ateneo, ovvero del ‘maestro’ che riesce a farsi bandire il posto (pre)destinato al suo allievo.

4. La ‘vecchia’ risposta a Stefano Semplici

     “La comparazione/classificazione dei candidati è un aspetto fondamentale di un concorso pubblico bandito per individuare/scegliere un numero di VINCITORI pari (o inferiore) a quello dei posti da occupare. L’abilitazione è (dovrebbe essere) un accertamento individuale delle caratteristiche minime per svolgere delle mansioni (idonei possono anche essere tutti o nessuno dei candidati). Introdurre un numero massimo predeterminato di abilitati equivale a trasformare il giudizio individuale in una comparazione, in un ‘concorso’ senza posti. La realtà è che la contingentazione degli idonei è legata a motivi ‘altri’, come è stato evidenziato da molti, e cioè evitare la pressione degli eventuali troppi idonei e/o dovere constatare che in alcuni casi molti degli aspiranti alle fasce superiori della docenza hanno titoli superiori a coloro che già fanno parte delle fasce superiori.

    Per quanto riguarda i concorsi veramente nazionali “invocati” dall’ANDU, si tratta di veri e propri concorsi: un numero di vincitori, cioè di coloro che prenderanno servizio, pari (al più) ai posti banditi. Nulla, quindi, a che vedere con le ‘abilitazioni’ a numero chiuso invocate dai quattro professori (e non solo), che non hanno alcun diretto rapporto con i posti che peraltro saranno ‘individuati’ dopo. L’ANDU, ormai da decenni, chiede – ESCLUSIVAMENTE per il reclutamento (cioè l’entrata in ruolo di chi non è già in ruolo e quindi oggi NON per i ricercatori a TI che aspirano a diventare ordinari o associati e non per gli associati che aspirano a diventare ordinari) – che sia previsto un concorso veramente nazionale (commissari esclusivamente e direttamente sorteggiati, esclusione dei docenti appartenenti agli Atenei dove sono ‘allocati’ i posti, presenza di commissari tutti appartenenti a sedi diverse, classifica dei vincitori per la scelta della sede in cui prendere servizio). Questo meccanismo in Italia non è stato MAI previsto per l’accesso nella fascia iniziale della docenza, perché il mantenimento della scelta comunque locale doveva/deve garantire la cooptazione personale dell’allievo da parte del suo maestro. E allora sarebbe più trasparente, più rapido e meno costoso introdurre il “buono posto”, e non è uno scherzo! (v. il punto 2. “Abilitazioni e/o concorsi? Capra e cavoli. Meglio un “buono posto. Ichino, Martinotti, Banfi” di un recente documento).

     Per l’avanzamento di chi è già in ruolo, l’ANDU invece propone un meccanismo ‘facile’ e sensato. Se oggi si vuole accertare che un ricercatore abbia raggiunto la ‘qualità’ di associato (o di ordinario) o un associato abbia raggiunto la ‘qualità’ di ordinario, questo lo si deve fare attraverso una valutazione INDIVIDUALE (un vero giudizio di idoneità) da parte di una Commissione nazionale composta come appena detto. Al riconoscimento della ‘qualità’ superiore deve corrispondere un AUTOMATICO riconoscimento, che non va legato a un’ulteriore chiamata in un posto che è già quello fino ad allora occupato dallo stesso idoneo. Un riconoscimento che deve, ovviamente, essere anche economico, a carico di un apposito fondo nazionale.

    Si deve uscire dalla follia accademico-giuridica che consente, p.e., che ad un associato venga riconosciuta la ‘qualità’ di ordinario (cioè di stare svolgendo ricerca e didattica ‘superiori’) senza che questo stato di cose possa essere ‘formalizzato’ per mancanza del posto. In realtà anche in questo caso si vuole mantenere la dipendenza dell’allievo dal maestro che prima l’ha fatto entrare in ruolo e poi deve gestirne gli avanzamenti di carriera, ottenendo il budget per un posto che già c’è e gestendo l’avanzamento attraverso finti concorsi locali.”

5. “Regole migliori” per peggiorare

Paola Potestio, in un suo intervento al Convegno dell’AIDU del 2009 ha, tra l’altro, detto:

“Non ritengo che l’insieme dei docenti riesca in modo autonomo e da solo a imprimere una svolta al sistema universitario. Ma le punte più avanzate e consapevoli di questa categoria possono fare molto: possono chiedere un esame di coscienza all’intera categoria, possono denunciare vizi e distorsioni e una certa arretratezza culturale, le cui radici si collocano in una ramificata cultura corporativa, possono denunciare l’arroccamento sui singoli interessi, personali o di gruppo, possono invocare regole migliori.”

Ma come si possono superare ”singoli interessi, personali o di gruppo” quando lei stessa invoca regole che prevedono il mantenimento e il contingentamento delle abilitazioni nazionali per mantenere i finti concorsi locali, che questi interessi rafforzano?

Come non rendersi conto che il dilemma non è “ tra autonomia degli atenei nella scelta dei docenti e garanzie di una selezione indipendente”, ma tra la cooptazione personale, con gli ‘inevitabili’ annessi di localismo e nepotismo, e un sistema il più lontano possibile da quello attuale che solo concorsi e idoneità nazionali – con commissioni interamente sorteggiate – possono consentire?

6. Una proposta organica di riforma della docenza universitaria

     Invitiamo a leggere per intero la proposta organica dell’ANDU su formazione, reclutamento e avanzamento di carriera dei docenti universitari.

NOTA

Il 27 giugno 1998, PRIMA dell’approvazione della legge Berlinguer, l’ANDU aveva scritto:

“Con questa legge i concorsi locali ad ordinario e ad associato risulteranno una finzione come da sempre lo sono quelli a ricercatore. Localismo, nepotismo e clientelismo, già ampiamente esercitati nei concorsi per l’ingresso nella docenza, saranno praticati anche nell’avanzamento nella carriera, in misura di gran lunga superiore a quanto sperimentato con gli attuali meccanismi concorsuali” (“Università Democratica”, n. 162-163, p. 5).

E nel dicembre 1998 l’ANDU ha aggiunto: “ora anche la carriera deve essere decisa attraverso una cooptazione personale da parte di quelli che una volta si chiamavano baroni ed è ad essi che bisognerà affidarsi, con adeguati comportamenti anche umani, per vincere concorsi che sono considerati, non a torto, una mera perdita di tempo, un fastidioso ritardo all’attuazione di una scelta già operata.” (“Università Democratica”, n. 168-169, p. 7).

Interessante è anche leggere le posizioni di coloro che allora hanno sollecitato l’approvazione della Legge: Eco, Panebianco, De Rienzo, Schiavone, Pera. Diversa invece la posizione di Tranfaglia.

Oggi

Sui concorsi locali si riporta un giudizio ‘fresco’, a valle delle normative che li hanno previsti: “Aboliti i concorsi vecchia maniera, perché baronali, è stato inventato un sistema che, nascosto dietro la maschera della valutazione, è più baronale di quello precedente, favorendo per ‘legge’ gli interessi locali.” (v. recensione di ‘Universitaly’, un libro di Federico Bertoni, su La Stampa del 30 giugno 2016).

 

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maria adele teti
maria adele teti
8 anni fa

cosa fare di tutti gli abilitati? ormai c’è un debito d’onore verso coloro che hanno sperato in un lavoro definitivo. Per coloro che , malgrado l’indeterminatezza, hanno continuato a lavorare a insegnare in condizioni pietose e senza alcuna remunerazione, non si possono dimenticare , bisogna indire concorsi riservati nazionali e verificare la continuità scientifica degli abilitati e dare loro un posto sopratutto a coloro che non sono ricercatori. Per i ricercatori concorsi nazionali di verifica delle attività scientifiche svolte. Ma sarebbe troppo facile se si facesse qualcosa di sensato. Si vuole affossare l’università statale e creare università private.

Ferdinando Sartucci
Ferdinando Sartucci
8 anni fa

le abilitazioni scientifiche nazionali devono tenere in considerazione non solo l’ IF ma anche l’attività didattica ed in alcune facoltà come Medicina e Chirurgia anche l’attività assistenziale; infatti è più facile starsene all’estero e divertirsi a fare ricerca o turismo, o anche curare le cooperative di produzione di papers che lavorare, costruire strutture o sezioni e laboratori, fare innumerevoli ore di lezione, esercitazioni, esami, curare decine di tesi, e poi sentirsi dire che fai 3-4 lavoro l’anno peer-review da solo, mentre altri ne fanno decine e poi rivendiocano il diritto di appropriarsi di quanto altri hanno costruito senza saper fare praticamente nulla (nel mio caso senza aver mai fatto una rachicentesi od un turno di guardia). La produttività consiste anche nel saper fare, purtroppo.
Ferdinando Sartucci