= 7 novembre 2012
1. ABILITAZIONI: “PROFUMO AVEVA RAGIONE”?
2. CATANIA: COSA PUO’ FARE IL RETTORE PER IL SUO ATENEO
3. LECCE, MESSINA, PISA, ROMA 1: ALTRE 4 STORIE
1. ABILITAZIONI: “PROFUMO AVEVA RAGIONE”?
Stefano Semplici, all’inizio del suo recente intervento (“Profumo aveva ragione”), ricorda che “alcuni mesi fa il Ministro Profumo era intenzionato a sospendere l’applicazione delle nuove procedure previste dalla legge n. 240/2010 (legge Gelmini) per l’istituzione della “abilitazione scientifica nazionale””.
– Cosa voleva Semplici
Prima di commentare l’intervento, è forse opportuno ricordare che nel giugno scorso Stefano Semplici e altri tre professori – tutti appartenenti a strutture alle quali “si accede in base a rigorose prove selettive” – hanno presentato al Ministro un disegno di legge, con il quale hanno riproposto “quasi per intero il testo delle ultime bozze ministeriali”, hanno accolto ”alcune delle proposte del Pd (compresa quella sul valore legale del voto di laurea)” e inserito “soluzioni originali” (dall’articolo dell’Unità del 23.6.12).
L’ANDU allora sostenne che, con l’approvazione di quel disegno di legge (“Decreto PD+Profumo+4”) si sarebbe attuato “il completamento della demolizione dell’Università statale portata avanti da oltre 30 anni da una potente lobby trasversale confindustriale-accademica che ha ‘utilizzato’ tutti i partiti e la CRUI.”
Infatti nel disegno di legge si prevede l’abolizione del valore del voto di laurea, la didattica obbligatoria per gli assegnisti, l’albo dei ‘migliori’ studenti, maggiori poteri all’ANVUR, l’aumento a 100 ore della didattica frontale e un premio ai docenti “pregevoli”.
Stefano Semplici ha commentato le critiche, rivolgendo all’ANDU sette domande alle quali si sono date puntuali risposte, senza alcun riscontro.
– Cosa vuole Semplici
Il recente intervento di Stefano Semplici questa volta riguarda ‘soltanto’ l’abilitazione nazionale, la cui gestione – egli sostiene – comincerebbe a far capire agli “studiosi che da tanti anni sono in attesa di un segnale di speranza” “che saranno ancora una volta illusi e abbandonati.”
Semplici prevede che, anche nel caso dovessero essere superati tutti i problemi (mediane, ecc.), le liste degli idonei “in quasi tutti i settori, saranno lunghe, molto lunghe.” E questo perché non si vuole introdurre “un ‘tetto’ al numero delle abilitazioni”, con la conseguenza che “le università continueranno a chiamare i ‘loro’ abilitati” e che non ci sarà “nessuna garanzia che ad avere il posto saranno in questo modo i migliori” e, quindi, “di queste abilitazioni non abbiamo proprio bisogno.”
– Semplici ha ragione e ha torto.
Stefano Semplici ha ragione nel sostenere che queste abilitazioni sono inutili e che lasceranno intatta, anzi accresceranno la cooptazione-arbitrio personale locale.
L’ANDU ha ripetutamente denunciato che “con questo sistema, dopo l’inutile e onerosa (impegno dei commissari e dei candidati, costi economici, ecc.) foglia di fico delle abilitazioni, la ‘sostanza’ sarà decisa dagli Atenei, ovvero a scegliere chi reclutare e promuovere sarà come sempre il singolo maestro, al quale sarebbe invece meglio (più rapido, meno costoso e più trasparente) consegnare un “buono posto” (v. al punto 2. il documento “Abilitazioni e/o concorsi? Capra e cavoli. Meglio un ‘buono posto’. Ichino, Martinotti, Banfi”).
Semplici ha invece torto nel ritenere che i problemi si risolverebbero contenendo per legge il numero degli abilitati (abilitazioni a numero chiuso), trasformando le abilitazioni (che per definizione dovrebbero essere il risultato di un giudizio individuale-non comparativo) in ‘concorsi’ senza posti.
– La soluzione: abolire le abilitazioni e i concorsi locali per semplificare, accelerare e qualificare il reclutamento e le promozioni
In alternativa ai finti concorsi locali e alle inutili abilitazioni nazionali, l’ANDU da anni propone, distinguendo finalmente il reclutamento dalle promozioni, CONCORSI veramente nazionali per l’ingresso in ruolo e IDONEITA’ nazionali per gli avanzamenti di carriera (v. proposta organica).
Con questo sistema, per la prima volta in Italia, con i concorsi nazionali il reclutamento sarebbe sottratto interamente alla scelta del singolo maestro. Con le abilitazioni nazionali e il riconoscimento, immediato e a tutti gli effetti, della promozione agli idonei, oltre a non far dipendere più la carriera dei docenti di ruolo dai singoli maestri, si eviterebbe anche la follia accademico-giuridica che oggi consente che un associato dichiarato idoneo a ordinario svolga attività didattica e di ricerca come un ordinario ‘vero’, ma senza il relativo riconoscimento economico e normativo (e così anche per un ricercatore dichiarato idoneo ad associato o a ordinario).
Questo meccanismo avrebbe anche il vantaggio di essere più semplice e più rapido ed eviterebbe inoltre la produzione degli ‘abilitati a perdere’, cioè di coloro che pur abilitati non saranno reclutati o promossi perché non preferiti da un maestro o per mancanza di fondi.
– Concorsi per reclutare
L’ANDU, ormai da decenni, chiede – ESCLUSIVAMENTE per il reclutamento (cioè l’entrata in ruolo di chi non è già in ruolo e quindi oggi NON per i ricercatori a TI c he aspirano a diventare ordinari o associati e NON per gli associati che aspirano a diventare ordinari) – che sia previsto un concorso veramente nazionale (commissari esclusivamente e direttamente sorteggiati, esclusione dei docenti appartenenti agli Atenei dove sono ‘allocati’ i posti, presenza di commissari tutti appartenenti a sedi diverse, classifica dei vincitori per la scelta della sede in cui prendere servizio). Questo meccanismo in Italia non è stato MAI previsto per l’accesso nella fascia iniziale della docenza, perché il mantenimento della scelta comunque locale doveva/deve garantire la cooptazione personale dell’allievo da parte del suo maestro.
– Abilitazioni per promuovere
Per l’avanzamento di chi è già in ruolo, l’ANDU invece propone un meccanismo ‘facile’ e sensato. Se oggi si vuole accertare che un ricercatore abbia raggiunto la ‘qualità’ di associato (o di ordinario) o un associato abbia raggiunto la ‘qualità’ di ordinario, questo lo si deve fare attraverso una valutazione INDIVIDUALE (un vero giudizio di idoneità) da parte di una Commissione nazionale esclusivamente sorteggiata. Al riconoscimento della ‘qualità’ superiore deve corrispondere un AUTOMATICO riconoscimento, che non va legato a un’ulteriore chiamata in un posto che è già quello fino ad allora occupato dallo stesso idoneo. Un riconoscimento che deve, ovviamente, essere anche economico, a carico di un apposito fondo nazionale.
– Emergenza reclutamento e terza fascia
Per assicurare un’adeguata e qualificata offerta formativa e rilanciare l’attività di ricerca, per rimpiazzare le migliaia di docenti di ruolo che sono andati in pensione e per interrompere l’espulsione di migliaia di precari (desertificazione), è necessario e urgente il bando, su nuovi specifici e aggiuntivi fondi statali, di almeno 20.000 posti di terza fascia di professore (nella quale, a domanda, inserire gli attuali ricercatori di ruolo).
Ai candidati devono essere adeguatamente riconosciuti i periodi di attività didattica e scientifica svolti a qualsiasi titolo: dottorato, assegni, borse, incarichi, ecc.
2. CATANIA. COSA PUO’ FARE IL RETTORE PER IL SUO ATENEO
Dopo l’affollata Assemblea che si è tenuta il 26 ottobre scorso, nella quale il Rettore si è impegnato ad aprire un confronto sui più importanti problemi dell’Ateneo catanese e, in particolare, a proporre al CdA di rideliberare sulle antidemocratiche “Linee guida comportamentali” (v. “Atenei caserme?”), sembrava che si fosse prodotta una svolta positiva nell’Ateneo.
Invece, appena tre giorni dopo, il 29 ottobre il Senato Accademico, con l’accordo del Rettore, ha deciso di limitare i poteri (solo attività “ordinaria, indifferibile e necessaria”) dello stesso Rettore fino a febbraio 2013, quando sarà eletto il nuovo rettore che subentrerà all’attuale dopo oltre 8 mesi, il primo novembre 2013. Per approfondire lo sviluppo del ‘caso Catania’ e leggere le posizioni espresse localmente cliccare qui.
Lo stesso Senato Accademico ha anche espresso “il proprio dissenso per l’approvazione (nell’Assemblea del 26 ottobre, ndr) di una mozione, avvenuta quando ormai, per l’ora tarda (le 13.30), la stragrande maggioranza dei presenti aveva lasciato l’aula”.
E, rimanendo sullo stesso ‘terreno’, il Senato Accademico “invita il rettore” a un rapporto con i Sindacati “meramente interlocutorio, giacché le decisioni saranno prese solo dopo l’elezione del nuovo rettore, in piena armonia, fino ad ottobre 2013, tra il rettore in carica, il rettore eletto, e gli organi collegiali di Ateneo (Senato accademico e Consiglio di amministrazione), ai quali ultimi, in ogni caso, spettano per statuto le decisioni finali.”
Tre considerazioni.
a) Pare che il Senato Accademico si sia preoccupato soltanto della quantità dei votanti e non dei contenuti della mozione (“una serie di punti oggetto di dibattito in Ateneo”, come riconosce lo stesso Senato Accademico). E se la mozione fosse stata votata dalla “stragrande maggioranza dei presenti”?
b) Se il potere reale (“le decisioni finali”) sta effettivamente nelle mani degli “organi collegiali di Ateneo”, a che serve allora limitare il ruolo del Rettore e rinviare la soluzione degli importanti problemi? E, in particolare, il ripensamento sulla gravissima questione delle “Linee guida comportamentali” non è comunque un’attività “indifferibile e necessaria”?
c) Sarebbe la prima volta che un Ateneo avrebbe due rettori (quello in carica e quello eletto, ma non ancora in carica) che “insieme” prenderebbero “decisioni”. E poi come si fa ad essere già certi che il nuovo rettore sarà “in piena armonia” con quello in carica?
Forse gli “organi collegiali” dell’Ateneo catanese si stanno sempre più avvitando su se stessi in maniera dannosa.
Forse solo l’attuale Rettore può fare uscire il suo Ateneo da una situazione ormai insostenibile. Lo potrebbe fare dimettendosi immediatamente, permettendo l’elezione di un nuovo rettore che eserciti al più presto e pienamente il ruolo e i compiti previsti per la sua carica.