7 DOMANDE ALL’ANDU – NUOVI TAGLI? – CRUI DI GOVERNO

= 5 luglio 2012

                    6.7.12 Aggiornamento sui tagli: 

“I – PUBBLICA ISTRUZIONE,UNIVERSITÀ, ENTI DI RICERCA

Per quanto riguarda la pubblica istruzione, l’Università e gli Enti di ricerca le misure principali sono le seguenti: (…)

“Vincoli al turn over per il sistema universitario statale e per gli enti di ricerca. Si prevede per le università e gli enti di ricerca l’adeguamento alla normativa già in vigore preso le altre pubbliche amministrazioni, in materia di limitazione alle nuove assunzioni. In questo modo si calcola la possibilità di una riduzione di spesa a favore dei bilanci delle università e degli stessi enti di ricerca di circa 200 milioni nell’anno in corso, e di circa 300 milioni negli anni successivi. ” (dal Comunicato Stampa del Consiglio dei ministri).

  1. SEMPLICI, UNO DEI 4 AUTORI DEL ‘DDL PD+PROFUMO+4′, CI CHIEDE PERCHE’ SAREBBE DEVASTANTE PER L’UNIVERSITA’

  2. 200 MILIONI MENO ALL’UNIVERSITA?

    INTERVISTA A PUGLISI

  3. CRUI DI LOTTA (FINTA) E DI GOVERNO (VERO)

 

1. SEMPLICI, UNO DEI 4 AUTORI DEL ‘DDL PD+PROFUMO+4′, CI CHIEDE PERCHE’ SAREBBE DEVASTANTE PER L’UNIVERSITA’

     a) Abolizione valore laurea: “una truffa antidemocratica”

    b) Aumento a 100 ore della didattica frontale e premio ai docenti “pregevoli”

    c) Abolizione di fatto delle abilitazioni nazionali

    Stefano Semplici, uno dei quattro autori del Disegno di legge che l’ANDU aveva ‘intitolato’ “Decreto PD+Profumo+4”, ha commentato le critiche dell’ANDU, rivolgendo all’ANDU stessa sette domande.

   Ringraziamo Stefano Semplici per l’attenzione che ha dedicato alle nostre opinioni, per la pacatezza del suo intervento e per l’occasione che ci offre di chiarire e approfondire questioni vitali per l’Università italiana.

   Stefano Semplici ritiene che le sue proposte abbiano come obiettivo “l’ampliamento di una offerta formativa di qualità per tutti”, l’inscindibile unità tra didattica e ricerca, “procedure di selezione che siano davvero trasparenti e rigorose” e che evitino “la creazione di sacche di precarietà senza speranze.”

    Obiettivi certamente condivisibili, ma riteniamo che le proposte dei 4 professori vadano invece nella direzione opposta e completerebbero la demolizione dell’Università statale.

   Proviamo, comunque, a proseguire utilmente il confronto rispondendo a quelle domande di Stefano Semplici che si riferiscono a critiche effettivamente da noi rivolte al suo Disegno di legge. Per questo non risponderemo alle domande 3), 5), 6) e 7).

    Risponderemo quindi alle domande 1) (valore laurea), 2) (100 ore ai professori) e 4) (abilitazioni). In realtà le critiche dell’ANDU riguardavano anche altri importanti contenuti del Disegno di legge: i punti b. (didattica obbligatoria per assegnisti), c. (albo dei ‘migliori’ studenti) – su questo segnaliamo un interessante intervento di Ferdinando di Orio – e d. (più poteri all’ANVUR), questioni che Stefano Semplici ha ritenuto di non dovere prendere in considerazione.

a) Abolizione del valore della laurea: “una truffa antidemocratica”

= Stefano Semplici all’ANDU. “Non ho mai condiviso la posizione di coloro che vogliono a tutti i costi stabilire corsie privilegiate per chi ha frequentato alcune università autoproclamatesi di serie A, costringendo alla marginalità tutti gli altri.” E chiede “perché sarebbe devastante per l’Università che voglio di tutti e per tutti togliere a chi vuole ad ogni costo una competizione darwiniana fra gli atenei l’alibi che c’è ‘chi regala i voti’ e permettere semplicemente a tutti di presentarsi a parità di condizioni, a prescindere da dove la laurea è stata conseguita e dunque conservandone il valore ‘legale’”

= Stefano Semplici nel suo DDL (art. 9). “E’ fatto divieto di inserire un voto di laurea come requisito per la partecipazione a concorsi pubblici.” E ancora: “l’obbligo di possedere un titolo in una classe di laurea specifica per partecipare a concorsi pubblici è sostituito, ove necessario, da quello dell’iscrizione all’albo professionale al quale si riferiscono le competenze richieste. In tutti gli altri casi, in alternativa alle classi di laurea i cui titoli consentono la partecipazione, potrà essere indicato il requisito di un numero minimo di Crediti Formativi Universitari nei settori considerati essenziali.” Quindi, non solo il valore del voto di laurea viene abolito per legge, ma la stessa laurea viene ‘sostituita’ dall’iscrizione agli albi professionali o da un numero minimo di crediti.

= Risposta a Semplici. L’abolizione del valore della laurea non permette affatto “a tutti di presentarsi a parità di condizioni”, ma sposta il valore a quello degli Atenei in cui si è studiato. E sono stati gli stessi “quattro professori” (quindi anche Semplici) ad avere scritto che così si toglie “il puntello alla pretesa che le Università non debbano essere misurate e magari CLASSIFICATE secondo criteri di qualità”.

   E che la differenziazione tra gli Atenei ‘guidata’ dai poteri forti sia lo sbocco ‘naturale’ dell’abolizione del valore del voto di laurea o della laurea stessa, lo sostengono anche altri ‘esperti’: il solito Francesco Giavazzi (“Non diamo più agli atenei lo stesso peso”), la Voce.info (“pesare in maniera diversa le lauree a seconda dell’università/facoltà di provenienza”, sulla base di “una graduatoria di atenei riconosciuta, ad esempio quella dell’Anvur”), il Sole 24-ore (“sarà il sistema stesso (attraverso l’ANVUR), dunque, a riconoscere valore diverso tra l’uno e l’altro corso, e tra l’uno e l’altro ateneo”).

    Insomma, avendo i soldi per frequentare gli Atenei che saranno ‘nominati’ eccellenti ci si comprerà l’annesso alto valore della laurea comunque conseguita. E così gli Atenei primi classificati costituirebbero proprio quelle “corsie privilegiate” che Stefano Semplici sostiene di non volere.

   Peraltro va ricordato che una graduatoria degli Atenei per stabilire il valore delle lauree, oltre a essere “incostituzionale” e “insensata” perché “non si può stabilire l’eccellenza per legge” (Giliberto Capano), darebbe un potere ‘totale’ sugli Atenei all’ANVUR, che utilizzerebbe impropriamente l’accreditamento delle strutture, mentre dovrebbe invece limitarsi (e non è poco!) a stabilire il possesso dei requisiti minimi, senza formare gerarchie.

    E sono proprio questi requisiti minimi che lo Stato è tenuto a garantire per tutti gli Atenei statali con finanziamenti e norme nazionali adeguati (valore legale e reale delle lauree).

    Su questa questione, ci pare utile riportare le opinioni di un ‘insospettabile’. Il ministro Filippo Patroni Griffi ha dichiarato: “Scusate, ma quale segnale diamo ai nostri studenti? Gli diciamo che è inutile studiare perché se prendono 70 o 110 e lode è lo stesso e che alla fine la laurea non vale niente.” (Corriere della Sera del 28.1.12).

    Vogliamo concludere riportando ancora una volta i giudizi di Franco Frabboni, Giuseppe Scollo e Salvatore Nicosia.

    Franco Frabboni, nell’intervento “Laurea, un colpo a poveri e Sud” sull’Unità del 16.3.12, ha scritto, tra l’altro, che, con l’abolizione del valore legale delle lauree, “come criterio discriminante, sarà favorita la sede accademica che rilascia il titolo di studio, la cui autorevolezza (certificata come?) avrà per risultato una scontata valutazione gerarchica.”

Giuseppe Scollo ha, tra l’altro, scritto:”Il primo disastro che si profila con l’abolizione del valore legale del voto di laurea: perché spendere energie, un esame dopo l’altro, nello sforzo necessario a ottenere risultati di eccellenza, se l’eccellenza alla fine non è più riconosciuta? In verità, non è che l’eccellenza non verrebbe più riconosciuta: lo sarebbe nel modo in cui già lo è in molti ambiti di impiego, finora prevalentemente privato, ovvero sulla base dell’ateneo di provenienza.”

Salvatore Nicosia, riferendosi al tentativo di abolire il valore delle lauree, ha scritto: “è interesse precipuo dei soggetti socialmente deboli e di ogni sincero sostenitore della democrazia, opporsi in tutti i modi a questo provvedimento che si configura come una vera e propria truffa antidemocratica.”

b) Aumento a 100 ore della didattica frontale e premio ai docenti “pregevoli”

= Stefano Semplici all’ANDU. “Perché dovrebbe essere devastante per l’Università che voglio di tutti e per tutti sottolineare la centralità della funzione didattica e pretendere dunque la certezza della presenza dei professori e il rispetto dei loro doveri?”

= Stefano Semplici nel suo DDL (art. 9). I professori a “tempo pieno” saranno tenuti a “non meno di 100 ore di didattica frontale tenute personalmente “ e quelli a “tempo definito” a “non meno di 70 ore”. Nello stesso articolo si prevede di premiare i docenti più bravi (“particolarmente pregevoli”), che non devono superare il 20%.

= Risposta a Semplici. La finalità vera dell’obbligo delle 100 ore di didattica frontale per i professori (a prescindere del numero degli studenti) è quella di far fronte alla carenza di nuovi docenti (chi va in pensione non può essere sostituito per il blocco del turn over), nonostante i tanti docenti precari (molti dei quali ormai ex-giovani) che dopo tanti anni sono espulsi dall’Università. Un’altra motivazione è quella di ridurre la necessità di ‘utilizzare’ i ricercatori per depotenziare il rischio di una loro indisponibilità come forma di lotta. Inoltre questo obbligo può portare a casi in cui si costringono i professori “a tenere corsi per i quali a volte sono scarsamente competenti”, come si legge in un intervento sul Manifesto del 10.6.12. I quattro professori, secondo una logica competitiva para-americana, pensano di spingere i docenti universitari non premiando tutti coloro che dovessero esprimere un impegno notevole nella didattica, ma premiando solo quelli “particolarmente pregevoli”, ma comunque non più del 20% (merito a numero chiuso).

c) Abolizione di fatto delle abilitazioni nazionali

= Stefano Semplici all’ANDU. “Perché sarebbe devastante per l’Università che voglio di tutti e per tutti proporre un ‘tetto’ per le abilitazioni che funzionerebbero in modo simile ai ‘concorsi veramente nazionali’ invocati poche righe dopo?”

= Stefano Semplici nel suo DDL (art. 13). Il numero degli abilitati non deve essere maggiore del “15% del totale dei docenti in servizio nella fascia alla quale la procedura stessa si riferisce, includendo gli studiosi già in possesso dell’abilitazione” “e non ancora chiamati”.

= Risposta a Semplici. Qui forse Stefano Semplici non ha prestato sufficiente attenzione alla critica e alle proposte alternative dell’ANDU o forse non siamo stati chiari.

     La comparazione/classificazione dei candidati è un aspetto fondamentale di un concorso pubblico bandito per individuare/scegliere un numero di VINCITORI pari (o inferiore) a quello dei posti da occupare. L’abilitazione è (dovrebbe essere) un accertamento individuale delle caratteristiche minime per svolgere delle mansioni (idonei possono anche essere tutti o nessuno dei candidati). Introdurre un numero massimo predeterminato di abilitati equivale a trasformare il giudizio individuale in una comparazione, in un ‘concorso’ senza posti. La realtà è che la contingentazione degli idonei è legata a motivi ‘altri’, come è stato evidenziato da molti, e cioè evitare la pressione degli eventuali troppi idonei e/o dovere constatare che in alcuni casi molti degli aspiranti alle fasce superiori della docenza hanno titoli superiori a coloro che già fanno parte delle fasce superiori.

    Per quanto riguarda i concorsi veramente nazionali “invocati” dall’ANDU, si tratta di veri e propri concorsi: un numero di vincitori, cioè di coloro che prenderanno servizio, pari (al più) ai posti banditi. Nulla, quindi, a che vedere con le ‘abilitazioni’ a numero chiuso invocate dai quattro professori (e non solo), che non hanno alcun diretto rapporto con i posti che peraltro saranno ‘individuati’ dopo. L’ANDU, ormai da decenni, chiede – ESCLUSIVAMENTE per il reclutamento (cioè l’entrata in ruolo di chi non è già in ruolo e quindi oggi NON per i ricercatori a TI che aspirano a diventare ordinari o associati e non per gli associati che aspirano a diventare ordinari) – che sia previsto un concorso veramente nazionale (commissari esclusivamente e direttamente sorteggiati, esclusione dei docenti appartenenti agli Atenei dove sono ‘allocati’ i posti, presenza di commissari tutti appartenenti a sedi diverse, classifica dei vincitori per la scelta della sede in cui prendere servizio). Questo meccanismo in Italia non è stato MAI previsto per l’accesso nella fascia iniziale della docenza, perché il mantenimento della scelta comunque locale doveva/deve garantire la cooptazione personale dell’allievo da parte del suo maestro. E allora sarebbe più trasparente, più rapido e meno costoso introdurre il “buono posto”, e non è uno scherzo! (v. il punto 2. “Abilitazioni e/o concors? Capra e cavoli. Meglio un “buono posto. Ichino, Martinotti Banfidi un recente documento).

     Per l’avanzamento di chi è già in ruolo, l’ANDU invece propone un meccanismo ‘facile’ e sensato. Se oggi si vuole accertare che un ricercatore abbia raggiunto la ‘qualità’ di associato (o di ordinario) o un associato abbia raggiunto la ‘qualità’ di ordinario, questo lo si deve fare attraverso una valutazione INDIVIDUALE (un vero giudizio di idoneità) da parte di una Commissione nazionale composta come appena detto. Al riconoscimento della ‘qualità’ superiore deve corrispondere un AUTOMATICO riconoscimento, che non va legato a un’ulteriore chiamata in un posto che è già quello fino ad allora occupato dallo stesso idoneo. Un riconoscimento che deve, ovviamente, essere anche economico, a carico di un apposito fondo nazionale.

    Si deve uscire dalla follia accademico-giuridica che consente, p.e., che ad un associato venga riconosciuta la ‘qualità’ di ordinario (cioè di stare svolgendo ricerca e didattica ‘superiori’) senza che questo stato di cose possa essere ‘formalizzato’ per mancanza del posto. In realtà anche in questo caso si vuole mantenere la dipendenza dell’allievo dal maestro che prima l’ha fatto entrare in ruolo e poi deve gestirne gli avanzamenti di carriera, ottenendo il budget per un posto che già c’è e gestendo l’avanzamento attraverso finti concorsi locali.

    Invitiamo Stefano Semplici a leggere per intero la proposta organica dell’ANDU e certamente si renderà conto che la sua proposta non è per nulla “molto simile” a quella dell’ANDU.

 

2. 200 MILIONI MENO ALL’UNIVERSITA?

     INTERVISTA A PUGLISI

    Per non lasciare dubbi sul fatto che l’Università statale va seppellita, pare che si vogliano togliere altri 200 milioni al Fondo ordinario.

     Non sappiamo se i professori al governo hanno letto l’intervista a Giovanni Puglisi “Trascuriamo ricerca e sviluppo e abbiamo troppi atenei inutili”, su Repubblica del 2.7.12. L’intervistatore ricorda che Puglisi è “rettore della Iulm – una delle più importanti università private italiane – e vice presidente della Crui”. Giovanni Puglisi (che l’intervistatore chiama Giuseppe forse ‘influenzato’ dal fatto che è in corso la beatificazione del prete ucciso dalla mafia) fa l’autocritica alla sua “categoria” che “nel corso degli anni ha costruito, per interessi personali, centinaia di atenei, il 70% dei quali inutili.”

     Il giudizio di Gianni Puglisi va tenuto in alta considerazione dato che egli si intende non solo di Atenei (ne governa contemporaneamente due – unico e primo caso in Italia – essendo rettore anche dell’Università di Enna Koree), ma anche di tanti altri settori avendo ricoperto e ricoprendo innumerevoli e svariati incarichi, tutti importanti. (v. sito CRUI e Wikipedia).

 

3. CRUI DI LOTTA (FINTA) E DI GOVERNO (VERO)

    Ogni volta che si prospetta un taglio per l’Università la CRUI si lamenta. Per il resto la CRUI continua a ‘cogestire’ tutta la produzione normativa che ha portato, nel corso degli ultimi decenni, allo scempio attuale dell’Università.

   Come da manuale, oggi su l’Unità Marco Mancini, ora presidente dell’attuale CRUI e prima segretario della CRUI che ha voluto e sostenuto la legge cosiddetta Gelmini, si lamenta per il ventilato taglio di 200 milioni al Fondo ordinario.

   Marco Mancini, tra l’altro, scrive: “oggi l’università va sostenuta, non uccisa”. Per la CRUI, l’unico modo di sostenere l’Università, dopo avere partecipato alla sua uccisione, è quello di sciogliersi.

    Al Sistema nazionale universitario – oggi più che mai – serve un Organo nazionale, democraticamente composto con l’elezione, diretta e per i docenti non frammentata per fasce e settori, dei rappresentanti di tutte le componenti. Un Organo di rappresentanza piena e di coordinamento degli Atenei, in grado di difendere l’autonomia del Sistema nazionale dai poteri forti politico-accademico-confindustriali.

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Luca Cerioni
Luca Cerioni
12 anni fa

Credo che le proposte dell’ ANDU sul reclutamento abbiano certamente più senso rispetto al sistema dell’ abilitazione, sia esso a lista aperta od a numero chiuso..nell’ottica di un qualunque candidato precario che dovesse valutare se tentare di restare in Italia o se emigrare direttamente all’estero, la sola prospettiva di dover rincorrere un’ abilitazione che scadrebbe dopo 4 anni, lasciandolo a mani vuote in caso di assenza di chiamata entro tale termine, costituisce già di per sé stesso (ed anche a maggior ragione se l’abilitazione fosse a numero chiuso) un formidabile incentivo alla fuga all’estero…d’altra parte, nella maggioranza dei Paesi esistono tre figure a tempo indeterminato (ed in Gran Bretagna vi sono quattro “permanent positions”: lecturer, senior lecturer, reader e professor).

gianni porzi
gianni porzi
12 anni fa

Condivido quanto dice Giliberto Capano e cioè che non avrebbe alcun senso una graduatoria degli Atenei per stabilire il valore delle lauree, in quanto non si può stabilire l’eccellenza per legge e darebbe un potere enorme all’ANVUR.
Pur ribadendo la mia contrarietà all’abolizione del valore legale del titolo di studio, per quanto concerne il valore del voto di laurea nei concorsi della P.A., riterrei opportuno un intervento del Governo affinchè tutte le Amministrazioni si astenessero dal prendere in alcuna considerazione il voto di laurea. Abolire certe prassi in uso presso le Amministrazioni pubbliche sarebbe un fatto positivo.

Luigi Guerra
Luigi Guerra
12 anni fa

E’ una vergogna che “la Repubblica” abbia dato spazio ad una intervista a Puglisi. E pure che il vostro sito la riprenda.

Filippo
Filippo
12 anni fa

Se si parla tanto di “incostituzionalità” delle decisioni prese nella riforma Gelmini o nella laurea senza valore, perché non si fa ricorso alla Corte Costituzionale? Dovrebbe essere la più adatta a decidere e taglierebbe la testa a parechi “tori”.

Francesca Petrocchi
Francesca Petrocchi
12 anni fa

Lo “sfascio” dell’università non è SOLO di natura FINANZIARIA

graziano
graziano
12 anni fa

A) Non si deve valutare l’Università nei posti di lavoro ,Quando poi se ho la fortuna di appartenere a famiglia che mi permette una retta di 6-7 mila euro annue allora posso frequentare Università eccellenti. Infine Il diritto allo studio è sancito dalla repubblica ogni titolo di studio acquisito nelle Università pubbliche Italiane è di pari valore. Se togliamo la validità allora i geometri faranno gli ingegneri, gli infermieri faranno i medici,l’idraulico espleta la professione del fisico il carpentiere la professione dell’architetto etcr siamo un popolo di grandi qualità nell’arte di vivere.
B) Mi chiedo come sia possibile che ricercatori confermati che insegnano da oltre 25 anni, e preparano la lezione ai propri maestri , con H -index ,necessitano di abilitazione .L’abilitazione nazionale prevede requisiti , i commissari sono disposti a perdere il controllo sui propri collaboratori(associati e ricercatori)?.Se si prevede un contigentamento è ovvio che sarà la soluzione adottata allora a che cosa servono i requisiti ….La progressione attuata con l’aquisizione di idoneità provova disparità di trattamento.la valutazione dei risultati raggiunti potrebbe essere più equa.

Giorgio Tassinari
12 anni fa

D’accordo al 100%