Con l’autorizzazione degli Autori, diffondiamo i messaggi riguardanti il “3 + 2” inviatici da Carlo Bernardini (Roma La Sapienza), Leopoldo Ceraulo (Palermo) e Giacomo Rasulo (Napoli Federico II).
da Carlo BERNARDINI (Roma La Sapienza)
Cari amici dell’ANDU,
non mi meraviglia il bombardamento di umanisti contro il 3+2. Ma sono sbalordito del fatto che distribuiscano colpe così disinvoltamente senza mai chiedersi perché sono solo gli umanisti a protestare. La volgare posizione di Pietro Citati su Repubblica forse contiene il germe delle difficoltà: Citati è convinto che l’élite dirigenziale sia fatta solo di umanisti eruditi e che è sciocco ridurre i drop out restando così privi di fruttivendoli e falegnami. Noi dei settori tecnico scientifici non abbiamo certo vita facile, ma abbiamo cercato di “ottimizzare” la situazione:
Luciano Modica lo ha spiegato bene su Repubblica giorni fa. Ma noi, per tradizione, collaboriamo tra docenti, stiamo nei dipartimenti dove dialoghiamo con gli studenti, ci occupiamo di cose da capire e non solo da leggere (Citati e altri ne fanno sempre una questione di numeri di pagine; e sembra la sola). Poi ci sono gli screditati che si sentono offesi (4 crediti? al cocchier ne dà 6), sempre tra gli umanisti: bé, c’è qualcosa di comico in questo modo solennemente ingenuo di difendere il diritto acquisito di usare l’università il meno possibile per starsene in luoghi meno infestati da giovani. Perdonatemi lo sfogo, che è bonario e si rivolge solo a quei colleghi che non hanno ancora guardato nell’orto del vicino. Bussate
e vi sarà aperto: anche noi “tecnici” (absit injuria…) vorremmo qualche miglioramento, ma non pensiamo che tornare a lauree all’antica risolva i problemi.
Con saluti
Carlo Bernardini,
Dpt di Fisica, Università di Roma, la Sapienza
da Leopoldo CERAULO (Palermo)
Cari colleghi,
ho seguito con interesse tutti gli interventi sul 3+2. Mi pare che sia sterile una differenziazione tra lauree tecnico-scientifiche ed umanistiche ed anche limitare la discussione al 3+2. Come ricercatore in ambito scientifico, preferisco tentare un approccio sperimentale. Per la mia esperienza oggi i nostri laureati hanno una preparazione ed una capacità critica molto inferiore rispetto all’analogo “prodotto”
antecedente i provvedimenti sull’autonomia. Tralasciando l’aspetto relativo alle strutture (aule, laboratori, ect.), ciò può essere attribuito a:
* Una riduzione della qualità dell’insegnamento.
* Una minore preparazione degli studenti che accedono agli studi universitari.
* Una inadeguatezza dei nuovi curricula formativi.
Anche se penso che i primi due punti abbiano un certo rilievo, ed in particolare una inevitabile riduzione della qualità dell’insegnamento per l’enorme aumento (fittizio) dell’offerta formativa che comporta un sovraccarico didattico dei docenti, a mio avviso il punto più importante è che i nuovi curricula sono sicuramente peggiori di quelli precedenti. Indipendentemente dal numero dei crediti dei singoli insegnamenti, è impensabile che uno studente possa sostenere un numero di esami annuali superiore a 6, e tutti sappiamo come l’autonomia ha portato ad aumentare a dismisura il numero di insegnamenti. Sono convinto che l’impianto generale di un corso di laurea dovrebbe essere definito a livello nazionale, con poche varianti che rispecchino le specificità delle varie sedi. Credo che sia necessario affrontare in maniera seria e non affrettata una riorganizzazione dei percorsi formativi, ed in prima istanza preferirei il sistema precedente che permetteva una formazione adeguata ed apprezzata anche all’estero. Dopo si potrà pensare a come organizzare, se si vuole anche un 3+2, un 2+3 o quant’altro, fermo restando che il primo periodo deve fornire le conoscenze di base indispensabili, ed il secondo la formazione specialistica, mentre attualmente è esattamente il contrario.
Cari saluti,
Leopoldo Ceraulo
Professore Ordinario di Chimica Farmaceutica
Università di Palermo
da Giacomo RASULO (Napoli Federico II)
Cari Colleghi
Dopo tanto patire considerandomi un “asociale” poiché vedevo nella legge Berlinguer la totale distruzione dell’insegnamento universitario di qualità, oggi sono sollevato dallo scoprire di non essere solo. Altra cosa che non ho mai compreso bene è cosa sia l’autonomia universitaria: significa autonomia del pensiero? principio fondamentale! ma questo, per fortuna non era stata mai messa in dubbio;
significa libertà d’insegnamento? principio basilare per l’insegnamento universitario che non è dottrinale ma formativo, ma anche questo, per fortuna, non era stato mai messo in dubbio da nessuno, ma sta fortemente vacillando con la riforma Berlinguer, per la quale agli studenti dei tre anni iniziali non posso che dare molte nozioni informative e pochi principi formativi. significa libertà di programmi? ma questa è sbagliata se avulsa dalle richieste del mercato del lavoro, e pertanto un processo autonomo non è detto che debba essere libero da qualsiasi vincolo.
Pensando, però, al grande successo di mercato che hanno avuto, nel campo
della medicina, i corsi triennali, completamente avulsi dai corsi di sei anni della laurea magistrale, mi viene in mente che il principio di autonomia universitaria potrebbe essere quello che, volendo discutere di una nuova legge universitaria, questa parti dalla considerazione che le leggi possano essere diverse, per i diversi tipi di laurea, e poi, magari, vi sia una legge quadro che ne unifichi i soli principi di base.
Molti saluti
Giacomo Rasulo
Professore ordinario di Costruzioni Idrauliche presso la Facoltà d’Ingegneria Dell’ Università di Napoli “Federico II”