- I tredici normalisti contro la differenziazione degli Atenei
- Il Presidente della CRUI per la differenziazione degli Atenei
- IMT, SUM, IIT, Human Tecnopole, SSM. E ora?
- “Centri di eccellenza” e potentati accademico-confindustriali
- Un progetto devastante. Rettori e Professori in silenzio?
- I RTI e i PA con abilitazione
- I TREDICI NORMALISTI CONTRO LA DIFFERENZIAZIONE DEGLI ATENEI
Le tre diplomate della Normale, a nome di un Gruppo di tredici colleghi, hanno, tra l’altro, messo in discussione il progetto di smantellamento dell’Università diffusa nel territorio: “Le disuguaglianze sono dunque stridenti: il divario di genere; il divario territoriale tra Nord e Sud; e non da ultimo il divario tra i poli di eccellenza ultra-finanziati e la gran parte degli atenei, determinato dalla diminuzione dei fondi strutturali e dall’aumento delle quote premiali”. (v. documento “Le tre ragazze che sconvolgeranno l’Università?”).
- IL PRESIDENTE DELLA CRUI PER LA DIFFERENZIAZIONE DEGLI ATENEI
Ferruccio Resta, rettore del Politecnico di Milano e presidente della CRUI, insiste nel suo progetto che prevede di puntare su 3-5 atenei per competere a livello internazionale.
Il Presidente della CRUI l’aveva detto con chiarezza: “Dobbiamo distinguere le sedi per la loro vocazione, quelle generaliste e quelle specializzate, quelle rispondenti a criteri locali e quelle che hanno una dimensione internazionale” (da “Università, sfida futura” sul Corriere della Sera del 24 marzo 2021).
Poi Ferruccio Resta è stato ancora più chiaro: “Dobbiamo decidere se ci interessa avere quattro o cinque (non una) università le fra le prime cento o no.” E ancora: “Se sì, si scelgono queste università e si fa un accordo quadro dando loro regole diverse: mobilità internazionale, con un docente su due reclutato all’estero; numero minore di studenti senza danno finanziario; programmi di ricerca incardinati su alcuni laboratori unici, che richiamino le migliori menti internazionali.” “È un progetto che va intrapreso a livello centrale; è una decisione politica, non tecnica.” (da “Università bocciata” sul Foglio del 30 luglio 2021).
E il Presidente della CRUI ha continuato a insistere: entrare tra le prime cento università al mondo, modello svizzero con 3-4-5 università di ricerca per correre e competere a livello internazionale. Università con programmi e valutazione diverse dalle altre università, con meno studenti e con docenti internazionali pagati diversamente, con possibilità di superare i limiti di spesa. Alle altre università il compito di fare alta formazione e di supportare il proprio territorio. (intervista del 3 agosto 2021 a Radio24 – minuti da 9.49 a 19.04).
- IMT, SUM, IIT, HUMAN TECNOPOLE, SSM. E ORA?
Nel passato, a colpi di provvedimento blindati e a discapito dell’Università italiana, sono stati inventati “Centri di eccellenza” come l’IMT di Lucca, il SUM di Firenze e l’IIT di Genova (v. il documento “Genova, Lucca e Firenze”) e, più recentemente, l’ Human Technopole di Milano (v. anche il documento “IIT anche a Milano”) e la SSM di Napoli (v. il documento “Il caso della Normale è normale?”).
- “CENTRI DI ECCELLENZA” E POTENTATI ACCADEMICO-CONFINDUSTRIALI
Già nel settembre 2006 l’ANDU scriveva :
“La costituzione dei cosiddetti “Centri di eccellenza” è uno degli obiettivi principali che i potentati accademici hanno per ottenere la gestione completa e diretta delle risorse pubbliche per l’Università. Un obiettivo che contempla la distruzione dell’Università statale, di massa e di qualità, in atto da anni ad opera di una lobby accademica trasversale che ha già imposto la falsa autonomia finanziaria, la finta autonomia statutaria, l’abolizione di fatto del CUN, i finti concorsi locali, la riforma didattica, l’aumento a dismisura del precariato, la legge Moratti, etc.”
Il progetto, già ampiamente realizzato, di differenziare nettamente gli Atenei è sempre stato il principale obiettivo degli attori economici neoliberisti (in primo luogo Confindustria) e delle forze accademico-politiche che hanno spianato la strada a questo progetto. Si vuole e si sta cancellando l’idea stessa di un Sistema nazionale di atenei statali di qualità, democratici, aperti a tutti e diffusi nel Paese, concentrando le più importanti risorse in quei pochi atenei che, in virtù anche della loro struttura, sono direttamente legati al mondo cosiddetto produttivo e che per ciò stesso si considerano immediatamente remunerativi!
- UN PROGETTO DEVASTANTE. RETTORI E PROFESSORI IN SILENZIO?
Il Presidente della CRUI non vuole ‘solo’ fare diventate iper eccellenti 3-5 Atenei (ricerca e insegnamento di livello internazionale), ma vuole anche che gli altri Atenei si occupino essenzialmente di didattica e siano “rispondenti a criteri locali” (sic!).
I Componenti della CRUI condividono questo progetto di smantellamento del Sistema nazionale statale del loro Presidente?
I professori e gli Organi di Ateneo continueranno a tacere sull’operato dei propri Rettori all’interno della CRUI?
È in gioco la natura e la esistenza stessa del Sistema universitario italiano. È in gioco una Istituzione che è un pilastro fondamentale dello stesso assetto democratico del Paese.
- I RTI E I PA CON ABILITAZIONE
Un Gruppo di docenti della Sapienza di Roma ci ha inviato la “Mozione nazionale per avanzamenti a Professore Ordinario e per il potenziamento dell’Università” con l’invito a darne notizia. Per leggere la Mozione cliccare qui.
Su questa stessa questione l’ANDU ritiene, ormai da anni, che occorra chiedere unitariamente che tutti i RTI e tutti i PA con abilitazione a una fascia superiore debbano essere inseriti, immediatamente e senza ulteriore verifica, in quella fascia, con l’eventuale differenza economica a carico di un apposito fondo nazionale.
È infatti una follia accademico-giuridica discriminare tra docenti aventi la stessa situazione (abilitazione a una fascia superiore) e che svolgono la stessa attività (didattica, ricerca, gestionale, terza missione) sulla base della disponibilità economica e della scelta dei singoli Atenei (di fatto del singolo ‘maestro’). V. la “Proposta per rifondare il Sistema nazionale universitario” nella Nota 1 di questo documento.
Vorrei segnalare che bisognerebbe smettere di definire Atenei le Scuole come la Normale e la S. Anna di Pisa, IMT, IIT, etc.,
Sono una ex allieva della S. Anna perciò non posso essere tacciata di partigianeria quando dico che queste Scuole non dovrebbero essere definite Atenei, visto che i loro studenti seguono i corsi delle Università (p.es. di Pisa) e si laureano come studenti Unipi.
Le Scuole rilasciano poi diplomi di allievo interno (subordinato al rispetto delle regole interne) e offrono posti di perfezionamento, ma l’impegno nella didattica, accoglienza agli studenti etc etc è assolutamente diverso da quello delle Università.
Grazie. Saluti.
Enrica Santarcangelo
Ma cosa dice il presidente della CRUI? Vuole trasformare l’ università italiana in una multinazionale, con regole e finanziamenti differenziati. Ma stiamo scherzando?!?!
È sotto gli occhi di tutti la vera soluzione al problema universitario.
Sarebbe sufficiente un corpo docente meno soggetto alle logiche nepotistiche e clientelari e più aderenti alle reali capacità dei professori.
Invece si propone una università di eccellenza “per definizione”, contrapposta ad una università “normale”. A ciò conseguirebbe una diversa posizione contrattuale per l’accesso al mercato del lavoro fra i laureati nelle une e nelle altre università.
Ed infine la cultura universitaria di qualità diventerebbe sempre più di nicchia, riservata ai ricchi e potenti. A parte altre considerazioni, la soluzione proposta, potrebbe anche rasentare l’ incostituzionalità.
Le università, in un paese moderno a profonda caratterizzazione sociale, come il nostro, devono essere tutte ricondotte ad un livello qualitativo degno di questo nome e per far questo l’ unico modo è di INNALZARE IL LIVELLO CULTURALE DELLA CLASSE DOCENTE, di TUTTA la classe docente, DI TUTTE LE UNIVERSITÀ D’ITALIA.
Questo sarebbe un progetto.
Quello proposto è una rapina.
A proposito delle dichiarazioni su Il Foglio da parte del presidente della CRUI, rettore Ferruccio Resta, pochi giorni fa riguardo alla posizione delle università italiane nelle classifiche internazionali, credo che andrebbe per prima cosa spiegato quale vantaggio comporterebbe per il paese scalare queste classifiche che già per la loro caleidoscopica varietà dimostrano che l’obiettivo non è del tutto chiaro.
Lo scorso anno ho voluto fare un piccolo approfondimento sulla QS 2021, e questo è quello che scrivevo a giugno del 2020:
Qs World University Rankings 2021 – 1.368 atenei in 83 paesi.
36 Università italiane (86 UK, 45 De, 28 Fr, 26 Spagna)
Italia settima al mondo, terza EU, 19 Very High.
8 università italiane nella Top 10 di settore.
Occupabilità laureati: 2°posto in EU dopo la Francia
A seconda del parametro ciascuno può mettersi le sue stellette, chi didattica, chi ricerca, chi internazionalità, chi servizio agli studenti, chi mercato del lavoro post-laurea, chi nelle triennali, chi nelle magistrali o dottorati…
Ad es. la prima EU è Oxford la quale però ha un indice di cit solo 81,3, mentre la seconda ETH Zurigo ha 96,4 o EPSL che è 14ma ha 98,5.
Molto si gioca sull’indicatore Academic reputation che ovviamente è un parametro discrezionale e già alla sfilza di Usa e UK nelle prime decine, si capisce che i parametri sono costruiti a loro uso e consumo: fino al 49mo posto solo UK e Svizzera (!!!), la prima italiana è Polimi al 137mo posto, su 1.000.
https://www.topuniversities.com/university-rankings/world-university-rankings/2021
Si dovrebbero fare comparazioni rispetto al numero di laureati, rispetto alla % sul Pil, rispetto al finanziamento pubblico, distinguere pubblico e privato, vedere in % quante delle università paese per paese sono nelle prime 1.000, o nelle prime 500 ecc.
Però anche i numeri si possono addomesticare, perciò dovremmo capire che cosa vogliamo dimostrare oltre al fatto che siamo terzi in EU, 7mi nel mondo, malgrado moltissimi dei ns laureati siano all’estero a incrementare le loro classifiche, ecc.
A me pare che 36, nelle prime 1.000 del mondo, delle quali 19 Very Hight , non sia affatto male rispetto a 82 paesi.
Molto all’ingrosso, su 1.000 università a ciascuno degli 82 paesi considerati toccherebbero 12 università, mentre l’Italia ne ha ben 36, il triplo, confermando che l’università italiana è una eccellenza diffusa.
Quello che invece ci vede “fanalino di coda” NON è affatto la qualità, ma la DIMENSIONE: risorse in termini assoluti per abitante, per laureato, per dottorato, % del pil, risorse private, rapporto docenti/studenti, ricercatori attivi/popolazione, immatricolati/diplomati, laureati, dottorati, ecc.
Per questo è fondamentale il potenziamento dell’intero sistema, consolidando con la stabilizzazione coloro che GIA’ ora, da precari, contribuiscono ai nostri rankings.
Infine riguardo all’affollamento di studenti che starebbe soffocando gli atenei, frenandone la corsa all’eccellenza, va ricordato che il numero di studenti è precipitato dal massimo raggiunto nel lontano 2002-2003 (1,768 ml) al minimo del 2015-2016 (1,650 ml) per poi risalire lentamente ai 1,757 ml del 2019-2020, ancora però al di sotto del 2003-2004, mentre ci troviamo stabilmente in coda ai paesi UE e OCSE sia per numero di studenti che per numero di laureati, dottori di ricerca e ricercatori in attività rispetto alla popolazione.
Una riflessione su questi dati potrebbe chiarire all’opinione pubblica gli obiettivi e le azioni per il bene del paese inteso come intera collettività nazionale.