Alla Camera è cominciato l’iter parlamentare del Decreto Legge “Rilancio” che dovrà concludersi entro 19 luglio 2020, pena la sua decadenza.
In sede di conversione potranno essere apportate delle modifiche al testo del Decreto.
Si ricorda che con il DL, nella versione attuale, si stanziano 55 miliardi, di cui 22 “ispirati” da Confindustria e 3 per salvare ancora una volta Alitalia. Inoltre lo Stato garantirà il prestito di 6,3 miliardi richiesto dalla FCA.
Invece per l’intero comparto dell’Università e della Ricerca sono stati stanziati soltanto 1,4 miliardi; una miseria, dopo decenni di definanziamenti e di devastanti controriforme per abolire l’idea stessa di una Università statale autonoma e libera, democratica e aperta a tutti, cardine per il rilancio culturale, sociale ed economico del Paese e pilastro fondamentale del suo assetto democratico.
L’Università che si sta realizzando è caratterizzata da: pochi Atenei cosiddetti eccellenti (chiudendo o emarginando tutti gli altri), riduzione del numero degli studenti sempre più discriminati sulla base del censo, precariato sempre più vasto e continuamente “rinnovato” (usa e getta), netta riduzione dei docenti di ruolo sempre più gerarchizzati, finti concorsi locali per assicurare la cooptazione personale con i “connessi” fenomeni di nepotismo “avallati” dalla foglia di fico delle ASN (concorsi senza posti), perdita totale dell’autonomia del sistema nazionale universitario, gestione iper-verticistica degli Atenei con i rettori-sovrani assoluti.
Questo piano di demolizione dell’Università statale non viene certo messo in discussione dal “Piano Colao” che anzi lo accelererebbe: contrattualizzazione dei docenti, costituzione di “veri (sic!) poli di eccellenza”, premialità per strutture eccellenti, “lauree professionalizzanti”, nuovi corsi di dottorato applicati e paralleli a quelli attuali con borse maggiorate, ecc. Tutto in una logica pseudo-meritocratica e competitiva dettata da quel “mercato del lavoro” che punta ad azzerare la libertà di insegnamento e di ricerca e a mettere l’Università al servizio degli interessi concreti e immediati delle aziende e di coloro che vogliono gestire una Istituzione pubblica in maniera privatistica (atenei aziende).
Il progetto di smantellamento dell’Università va arrestato e va avviata la sua rifondazione a partire dal DL “Rilancio” e dei finanziamenti europei. Una rifondazione che deve comprendere la profonda riforma dell’organizzazione e della gestione del Sistema nazionale universitario e dei singoli Atenei e la ristrutturazione della docenza e dei meccanismi del reclutamento e degli avanzamenti di carriera. Senza una contestuale trasformazione dell’intero assetto dell’Università il necessario corposo finanziamento si tradurrebbe in un consolidamento, anzi in un aggravamento, dei mali propri dell’Università italiana.
Rifondare l’Università è un’impresa poderosa che deve fare i conti con poteri e interessi consistenti, esterni e interni.
Per rifondare l’Università è perciò necessario un adeguato e tempestivo impegno che veda unite tutte le componenti del mondo universitario (studenti, precari, tecnici-amministrativi, docenti), abbandonando logiche corporative o sub-corporative. Un movimento unitario e forte si può realizzare solo se si assume una visione complessiva e solo se si condividono obiettivi precisi e coerenti che vadano al di là delle appartenenze e delle compatibilità politico-accademiche (v. nota).
COSA OCCORREREBBE CAMBIARE NEL DL “RILANCIO”
= STUDENTI
– Borse di studio
Vanno azzerate le tasse per il prossimo anno e va ampliato il numero dei beneficiari delle borse di studio, garantendo che vengano attribuite a tutti gli idonei, con criteri uguali per tutti gli Atenei.
– Numero chiuso
Occorre deliberare immediatamente un programma per l’abolizione del numero chiuso entro pochi anni (4-5), periodo durante il quale ogni anno si dovrebbe aumentare il numero degli accessi e si dovrebbero adeguare i corsi di laurea per accogliere gli studenti.
In particolare, considerando anche che a breve mancheranno 45.000 medici, per quest’anno dovrebbero essere consentiti almeno 20.000 accessi a medicina, tenendo conto che lo strumento di selezione attraverso i test è, a giudizio di tutti, una vera e propria lotteria; una lotteria ancora più strampalata se si dovesse ricorrere ai test online.
= DOTTORANDI, ASSEGNISTI, DOCENTI A CONTRATTO E RTDA
E’ indispensabile prevedere la proroga, a domanda, per tutti gli attuali precari fino all’espletamento dei concorsi straordinari a professore di ruolo.
= SCUOLE DI SPECIALIZZAZIONE DI MEDICINA
E’ indispensabile l’abolizione immediata del numero chiuso per le scuole di specializzazione, consentendo a tutti i laureati in medicina di accedere ad esse, per assicurare un più adeguato numero di specializzati al Sistema sanitario (che nell’emergenza ha dovuto ricorrere ad aiuti esterni) e per impedire che ancora una volta si lascino senza sbocchi migliaia di laureati.
= RECLUTAMENTO NELLA DOCENZA (RTDB) E PRECARIATO
E’ indispensabile bandire a partire da quest’anno, su fondi nazionali e oltre al naturale turnover, almeno 20.000 (5000 all’anno) posti di professore di ruolo, unico modo per recuperare i circa 15.000 posti in ruolo persi in oltre un decennio (e ogni anno se ne perderanno circa 1500 per pensionamenti) e per dare un credibile sbocco a buona parte degli attuali precari, circa il 90% dei quali sarebbe altrimenti destinato all’espulsione dall’Università dopo anni e anni di sfruttamento. L’obiettivo non deve essere solo quello di fare rientrare chi è stato costretto a lavorare all’estero (“cervelli in fuga”), ma deve essere contestualmente quello di valorizzare e mantenere all’Università coloro che vi si sono formati e che da anni lavorano negli Atenei italiani, contribuendo in maniera determinate allo svolgimento della didattica e della ricerca.
Inoltre, per impedire la formazione di nuovo precariato, occorre superare tutte le attuali figure precarie per sostituirle con una sola figura pre-ruolo di breve durata (tre anni), in numero rapportato agli sbocchi in ruolo, autonoma e adeguatamente garantita e retribuita.
La distribuzione dei posti deve prescindere dalle indicazioni dell’ANVUR (Agenzia da abolire, assieme alle “connesse” ASN) e deve mirare a sostenere gli Atenei messi più in difficoltà dai definanziamenti e dalle ripartizioni volte a privilegiare gli Atenei cosiddetti eccellenti.
Bisogna altresì sottrarre la “gestione” dei concorsi (finti) agli Atenei e prevedere commissioni nazionali interamente sorteggiate tra tutti i professori, escludendo quelli che fanno parte degli Atenei direttamente interessati.
= RTI E ASSOCIATI
E’ necessario prevedere per tutti i ricercatori di ruolo e per tutti gli associati che hanno conseguito l’ASN, il passaggio di fascia, immediato e automatico (senza ulteriori verifiche), con i relativi eventuali incrementi economici a carico dello Stato. E’ infatti inaccettabile che ricercatori di ruolo e associati con ASN si trovino ingiustamente discriminati rispetto ad altri colleghi nelle stesse condizioni.
– Nota. Per leggere la Proposta organica dell’ANDU per rifondare l’Università cliccare qui.
==== La storia della devastazione dell’Università, iniziata da più di trent’anni, può essere approfondita in questo sito utilizzando la “ricerca avanzata”, in alto a sinistra.
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Io non sono per nulla d’accordo. Posto che nessun tipo di concorso nè regionale nè nazionale nè locale è potenzialmente immune da manipolazioni e posto che ci può essere interesse a cordate di professori e gruppi di potere, unico metodo possibile è intervenire a livello Costituzionale su art. 97 della Costituzione ultimo capoverso e togliere obbligatorietà dei concorsi pubblici per titoli ed esami per accedere a posti di tipo indeterminato nella PA. Lasciandolo all’inverso come residuale e non come regola generale. Si può fare in generale e toglierebbe di mezzo definitivamente questo banchetto inverecondo con situazioni cristallizzate per decenni e lauti onorari per avvocati e grande potere per i TAR e CDS. Accesso a domanda ed a chiamata diretta ma rigorosamente a tempo determinato, per tutti o quasi. E’ una riforma coraggiosa e ci avvicinerebbe alle patrie delle più prestigiose università mondiali che noi spesso vorremmo imitare. Bisogna togliere osso dalla bocca del cane, rapidamente. Perché qui ci sta da impedire affossamento definitivo della nuova classe dirigente (che nasce ovviamente dalle Università). Se si vuole fare in Parlamento, si può fare tranquillamente. Converrebbe a tutti nel medio termine.
Credo sia giunta l’ora di chiedersi cosa dovremmo fare di quei PO che non hanno i parametri che invece hanno i PA abilitati tenuti fuori per garantire al gruppo sempre più ristretto una spartizione oligarchica del potere accademico.
Poiché non si possono degradare sul campo, si potrebbe almeno proporre che per qualsiasi carica istituzionale, delegati del rettore compresi, sia richiesto il rispetto dei parametri da PA, così come per le commissioni di abilitazione, di concorsi vari?
Mi trovo molto in linea con il commento di Ciattini, compresa la chiusa.
Qui a Udine l’atteggiamento dei colleghi è come al solito molto passivo e proprio l’attuale situazione (siamo ancora totalmente chiusi e in “smart working”) di grande difficoltà non sembra indurre nessuno a esporsi e a contestare i vertici dell’ateneo, che hanno a cuore di evitare qualsiasi rischio, anche se ciò significa non fare quasi nulla a parte la didattica e gli esami online.
Mi pare positivo che in ambito sindacale e non solo (penso al gruppo Roars.it) si alimenti un dibattito sullo stato dell’università post-Covid, ma sarebbe necessario unirsi e progettare qualche iniziativa forte, che possa andare sui giornali.
Almeno nel Piano Colao non si sono dimenticati della gender balance! La situazione nelle Università Italiane è devastante.
Basterebbe inoltre che chi ha i parametri per entrare nelle commissioni possa farlo indipendentemente dal ruolo; questo spezzerebbe molte delle storture oggi presenti.
Non consideratemi presuntuosa se vi dico che faccio parte di quei pochi per i quali la caduta del muro di Berlino (alcuni dicono giustamente l’apertura) non avrebbe apportato nulla di buono, per i quali non è credibile chi parla di solidarietà e di collaborazione dopo aver sventolato per anni la bandiera della competizione, per i quali le parole del papa servono solo a coprire la realtà brutale nella quale precipiteremo sempre più. Come lui stesso ha dichiarato, approfittando di un’occasione imperdibile dovuta alla crisi, con la quale si può giustificare tutto, semplicemente Colao mette in pratica per l’università il programma della TRELLE che rientra nel processo già avviato di ristrutturazione capitalistica, nella quale il lavoro anche quello docente sarà sempre più precarizzato, le competenze (non la cultura si badi bene) serviranno solo per produrre e aumentare i profitti ormai in forte calo, il telelavoro a scaricare sui lavoratori i costi della loro attività e ad aumentare il tempo di lavoro, le nuove tecnologie a controllare il malessere sociale e la dissidenza e potrei continuare con tante altre tristi previsioni. Ricordo solo che qualche scienziato isolato dice che le pandemie saranno ricorrenti e legate a come funziona il settore agroindustriale, che sarebbe troppo costoso cambiare (ovviamente non per noi). Infine sui ranking e sulle valutazioni. Sono arbitrari e discutibili solo per chi li prende sul serio, cioè chi va a ricercare in loro quello che non possono darci: il valore della conoscenza, i valori della convivenza umana, uno slancio etico-politico. La loro funzione è un’altra e del tutto razionale in questo mondo: hanno lo scopo di legittimare questa apparentemente apolitica ideologia delle competenze ed assegnare a coloro che ci dominano il ruolo incontrastato di manipolare le nostre menti. Dopo il famoso discorso sulla cortina di ferro, Churchill affermò a chiare lettere (forse mi ripeto) che bisognava imporre al mondo l’inglese,dominante nei nuovi strumenti tecnologici, perché come sanno i linguisti attraverso l’uso di una lingua si trangugia una precisa concezione del mondo. Insomma, a mio parere più che discutere se i ranking e le valutazioni possono esser fatti in maniera corretta, bisogna rifiutare drasticamente questi metodi, perché continuandone a parlare finiamo col legittimarli ed opporre ad esso la concezione dell’università depositata nella Costituzione, ovviamente tenendo conto delle trasformazioni sociali avvenute, ma non mettendo in discussione i principi individuati in un patto tra le diverse parti sociali, la più debole delle quali si vuole ora cancellare del tutto.
C’è qualche speranza? Spero di sì ma non viene dai professori universitari, forse dalle proteste violentemente represse che in questi giorni scuotono molti paesi, meno l’Italia che sembra addormentata in un declino letargico.
La forza dei numeri parla da sola.
Il Secondo governo Conte, come i precedenti e probabilmente i successivi, ha dichiarato guerra all’Università e alla scuola; uniche strutture che pur con i loro limiti sono ancora in grado di elaborare un minimo di pensiero critico sul mondo. Il resto è televisione, social network, stampa al servizio delle aziende che ne possiedono la proprietà.
Una guerra che vede molti collaborazionisti all’interno delle istituzioni educative. E solo per questo sarà persa da noi. Basti pensare alla miopia, quando non all’entusiasmo, con i quali si sta subendo la smaterializzazione dell’insegnamento.
Sono assolutamente d’accordo su tutte le proposte indicate.
Ma quali strumenti usare?
Loredana Postiglione
Forse stanno dimenticando che, dall’etimologia latina, il nostro ruolo e la nostra funzione significa:
“l’attività dell’insegnamento, lungi dal limitarsi alla trasmissione del sapere fine a se stesso, consiste nel “segnare” la mente del discente, lasciando impresso un metodo di approccio alla realtà, che va ben oltre lo studio”.
Maria Vella
Avevamo capito che, se c’è qualcosa che la pandemia ci ha insegnato, è che nessuno si salva da solo. Avevamo capito che d’ora in poi avremmo puntato sulla cooperazione e sulla solidarietà più che sulla competizione e sul merito. Avevamo capito, per averlo solennemente udito addirittura dal Pontefice, che fosse ormai giunto il “tempo del nostro giudizio” ossia “il tempo di scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è”. In particolare, poi, avevamo capito che nella scienza è necessario il massimo coordinamento fra gli studiosi, che è di massima importanza rendere di pubblico dominio dati e ricerche, che quello che conta per fare una ricerca di qualità è ciò che si pubblica più che dove lo si pubblica, che è importante produrre conoscenza più che scalare ranking, che il sapere è un bene comune, che la ricerca di base può essere il più efficace antidoto contro le epidemie, che i dispositivi di valutazione premiale determinano distorsioni nel sistema della ricerca e dell’editoria scientifica, che non ci possono essere poli di eccellenza in un ambiente di ricerca depresso così come non fioriscono rosai in un deserto.
Ebbene, evidentemente ci eravamo sbagliati. Almeno questa è l’impressione che ricaviamo dalla lettura della sezione “Istruzione, Ricerca e Competenze, fattori chiave per lo sviluppo” del Rapporto finale del Comitato di esperti in materia economica e sociale, consegnato oggi da Vittorio Colao al governo. Su istruzione e ricerca i saggi di Colao ci fanno omaggio di ben 12 proposte di azione suddivise in quattro aree di intervento e perfino di uno spunto di riflessione (un vero lusso, quello della riflessione, nel sistema di istruzione che disegnano). Apprendiamo infatti che uno dei problemi del nostro sistema formativo, che più preoccupano la task force coordinata da Colao, è che esso occuperebbe il posto di “fanalino di coda nei ranking internazionali”. Tuttavia, sbaglierebbe chi pensasse che i componenti della task force siano così ingenui e poco avvertiti da non essere consapevoli che “i ranking sono esercizi molto arbitrari e discutibili”, tanto è vero che non si peritano di dichiararlo esplicitamente essi stessi, salvo poi fondare sorprendentemente le loro proposte di policy proprio sulla preoccupazione che “l’assenza di università italiane dalla top list [di tali ranking] può costituire un problema per il futuro del paese, perché sono ormai molti gli attori (dai vincitori dei prestigiosi grant ERC al venture capital) che orientano le proprie scelte in base alla reputazione di eccellenza di una struttura universitaria”. Insomma, i ranking internazionali non sono attendibili, e gli estensori del rapporto ne sono ben convinti, dunque si direbbe che non definirebbero mai le politiche universitarie di un paese sulla base di strumenti così inaffidabili, se non fosse per il fatto che i vincitori dei prestigiosi grant ERC e il ventur capital orienterebbero le proprie scelte proprio in funzione di tali ranking arbitrari e discutibili. C’è da chiedersi come facciano vincitori di così prestigiosi grant e lungimiranti venture capitalists ad essere così miopi da orientare le proprie scelte secondo ranking tanto palesemente fuorvianti da essere riconosciuti come tali perfino dai componenti della task force governativa. Il sospetto è che se non scelgono il nostro paese è perché non vi troverebbero un ambiente di ricerca sufficientemente attrezzato e finanziato, ma persone che li ritengono così sprovveduti da fidarsi di ranking arbitrari e discutibili.
In altre parole, la policy in materia di università suggerita dalla task force di Colao si muove nel solco del più classico e paradossale dei commi 22: fonderebbe le sue scelte sui ranking chi è folle, ma di fatto chi fonda le sue scelte sui ranking non è folle. Il fatto è che se non lo è, è solo perché non vuole comprensibilmente avere a che fare con soggetti che redigono programmi politici di questo genere.
Davide Borrelli
Ma è possibile che nemmeno il Covid-19 sia riuscito a spazzar via
l’insana idea di puntare tutto o quasi su poli di eccellenza?
Simonetta Soldani
Voi proponete; “Bisogna altresì sottrarre la “gestione” dei concorsi (finti) agli Atenei e prevedere commissioni nazionali interamente sorteggiate tra tutti i professori, escludendo quelli che fanno parte degli Atenei direttamente interessati”. Qualunque cosa potessimo inventarci i concorsi rimarranno “finti” fino a quando non ci decideremo a copiare cio’ che avviene negi USA e altrove, ovvero separare i giudizi per promozioni ed avnzamenti di carriera dei “locali” dai concorsi per chiamate dall’esterno. Questo è l’unico modo che conosco per impedire che i “migliori” vengano frequentemente sopravanzati dai locali. E questo avviene non solo a causa di favoritismi vari ma anche, nei dipartimenti più piccoli, per il fatto che non ci si può permettere di avere due docenti (di cui uno demotivato) al posto di uno.