Aggiornamento. “Si’, i concorsi vanno aboliti”
Si invita a leggere in calce gli interessanti due commenti al sottostante messaggio che, diversamente dalle posizioni dell’ANDU, sono favorevoli all’abolizione dei concorsi.
Qui si aggiungono alcune considerazioni:
a) l’abolizione dei concorsi ‘comprende’ l’abolizione dello stato giuridico nazionale dei docenti (mansioni, cariche, retribuzione, ecc.) e l’abolizione del valore legale della laurea (differenziazione tra gli Atenei, con emarginazione o chiusura della maggior parte);
b) l’abolizione dei concorsi ‘regge’ se funziona una qualsiasi forma di valutazione ex-post che consenta di punire le scelte sbagliate. Chi effettua e con quali criteri la valutazione? L’ANVUR? E chi (il maestro, il dipartimento, il CdA) e quando e come sarà punito?
= 31 ottobre 201
“Meglio lasciare agli atenei la libertà di assumere quando serve e chi”, ovvero aboliamo i concorsi e diamo al maestro-barone un “buono posto”
Dopo l’intervento di Michele Ainis sull’Espresso (“Macché raccomandati, aboliamo i concorsi”), ora anche Dario Braga interviene sul Sole 24-ore sullo stesso tema (“Docenze ‘frenate’ dai concorsi”).
Sia Ainis che Braga vogliono l’abolizione dei concorsi e vogliono “che ogni ateneo si scelga i propri professori” (Ainis), ovvero “che le università assumano chi serve e quando serve” (Braga).
Michele Ainis chiedeva “che ogni professore si scelga il suo assistente”, visto che “ogni giovane studioso s’avvia alla ricerca sotto la guida d’un docente, che poi lo aiuta a fare carriera” e dato che “la cooptazione non è un peccato né un reato, è la legge non scritta dell’università.”
Dario Braga sostiene che quella da lui indicata è “l’unica strada che non abbiamo ancora imboccato”.
La verità è, invece, esattamente l’opposto: nell’università italiana si è SEMPRE praticata la “scelta dell’ateneo”, ovvero la cooptazione personale, con il ‘maestro’ che sceglie – spesso fin dalla tesi di laurea – il “giovane studioso”, ne coltiva la formazione, decidendo se e quando fargli avere un posto di ruolo e se e quando farlo poi avanzare nella carriera. Tutto questo in un rapporto di dipendenza anche umana dell’allievo dal suo maestro-barone.
In realtà, nell’università italiana “l’unica strada che non abbiamo ancora imboccato” è quella di iniziare (subito dopo la laurea) il percorso di reclutamento con scelte sottratte TOTALMENTE all’Ateneo, ovvero al singolo ‘maestro’.
E in Italia l’unico modo – MAI adottato – per instaurare fin dall’inizio un rapporto ‘professionale’, caratterizzato da autonomia di ricerca e di insegnamento, è quello di esercitare ESCLUSIVAMENTE a livello nazionale – con commissioni interamente sorteggiate – TUTTE le scelte: dottorati, contratti di formazione, entrata in ruolo, progressione.
In questo modo ci guadagnerebbe la qualità della ricerca e della didattica, oltre che la qualità della vita del ‘discepolo’ e anche del maestro-barone.
Inoltre, il notevole tempo impiegato dal ‘maestro’ per reclutare e far fare carriera al proprio allievo, potrebbe essere impiegato per più’ utili attività istituzionali.
Va aggiunto che SOLO con questo nuovo percorso interamente e sempre nazionale avrebbe un valore altamente positivo l’introduzione del docente unico, che altrimenti risulterebbe un ‘docente plurimo’, dato che la formazione, l’ingresso in ruolo e gli avanzamenti del docente, dipenderebbero di fatto dalla cooptazione personale.
In alternativa a questa ‘soluzione nazionale’ vi è il mantenimento della cooptazione personale, con gli ‘annessi’ fenomeni di localismo, clientelismo e parentopoli, al di là delle foglie di fico dei finti concorsi locali e delle inutili abilitazioni nazionali.
E allora, come chiedono Ainis e Braga, semplifichiamo tutto, rendendo più facile e più ‘trasparente’ l’esercizio del potere baronale. In questa direzione, l’ANDU (v. più sotto) da tempo sostiene che se “si vuole ad ogni costo salvaguardare la “scelta responsabile” locale, è più serio, più rapido, più chiaro e meno costoso assegnare al maestro un ‘buono posto’ che gli consenta di scegliere, direttamente e senza infingimenti, chi vuole.”
Insomma, aboliamo tutti concorsi e ogni abilitazione e, introducendo il ‘buono posto’ per il maestro-barone, facciamo finalmente diventare legge dello Stato quella che finora e stata ‘solo’ “la legge non scritta dell’università” italiana.
Sulla riforma generale della docenza (pre-ruolo, entrata in ruolo e promozioni) l’ANDU ha da anni elaborato una PROPOSTA ARTICOLATA (cliccare qui).
– Per leggere l’analisi e le proposte dell’ANDU v. “Abilitazioni e/o concorsi? Capra e cavoli. Meglio un ‘Buono posto’. Ichino, Martinotti, Banfi” cliccare qui.
Marcello Del Verme
Chiedo venia con il dictum: “Repetita iuvant(melius: iuvent!)”.
Il 19 ottobre 2013 alle 10:07 scrivevo e ripropongo:
Si può comprendere perché alcuni politici – specie quelli/tanti/troppi ‘impreparati’: dalla laurea facile, forse addirittura comprata o mai conseguita in un Ateneo italiano, avuti ahimè in particolare nell’ultimo ventennio – osteggino il voto di laurea o, così sembra, non diano la dovuta attenzione ai curricula dei laureati. Certo, non tutti i ‘bocconiani’ saranno chiamati o emigreranno nell’UK per fare luce ad Oxford or elsewhere, e i laureati – ad es. presso università come la ‘Federico II’ di Napoli o altre sedi del Sud e delle Isole – non troveranno uno sbarramento all’estero, se si siano rivelati dotati e preparati(soprattutto con presentazione di titoli/pubblicazioni di qualità). Inoltre – restando in Italia – se i docenti(sia quelli in attività sia, mi sia consentito, quelli in pensione come me) hanno preparato bravi allievi negli anni, non badando e profittando dei loro ‘servigi’ da scudieri, perché dovrebbero abbandonarli al momento di una prova concorsuale? Certo, vincano i migliori! E come si dice a Napoli: “I buoni cavalli li rivelerà prima o poi la strada (più o meno così)”. Anche il sorteggio dei commissari (dello stesso settore disciplinare, macro o micro che sia) potrebbe aiutare e favorire una scelta più equa. Ma è sempre la qualità dei concorrenti che conta: se mediocri, anche i c.d. maestri dovrebbero vergognarsi di loro (se promossi). E il giudizio ‘definitivo’ verrà presto o nel tempo (breve, si spera)-dall’Accademia (italiana o straniera) che conta. Mdv, cum parrhesia atque gravitate.
Mi sembra che sia Anis che Braga partono da un’analisi molto parziale della situazione dell’Università italiana per arrivare poi, a conclusioni totalmente avulse da ogni ragionevole sentire. A mio avviso, i ritardi e le difficoltà che si verificano nel reclutamento dei docenti universitari ancor prima che nelle faraginose regole concorsuali sono riconducibili alla sistematica riduzione dei fondi stanziati per le Università. Lo stanziamento per l’istruzione universiataria pubblica si attesta, in Italia, all’1,4% del PIL contro il 2.9% della media europea. Questa differenza consentirebbe di raddoppiare i ricercatori in organico, altro che l’attuale 5% di nuovi ricercatori. Inviterei Anis e Braga a confrontarsi prima sui finanziamenti e dopo sulle regole. Penso infatti che, dopo 20 anni di tagli ai fianziamenti e di messa a punto di sempre nuove regole, sia giunto il momento di cambiare ottica.
Vorrei aggiungere un commento a quanto a scritto da Prencipe: “andare a lavorare in altre realtà … molto distanti dalle tematiche che conosce approfonditamente”. Andare a lavorare in altri gruppi è positivo e dovrebbe condurre ad un ampiamento culturale. Certamente se la distanza è enorme allora vuol dire che si è sbagliata l’area concorsuale.
Un commento finale su talune comparazioni con le modalità di reclutamento adottate in altri paesi. Non si possono trasferire regole da un sistema ad un altro senza trasferire anche il contesto in cui queste sono supposte operare.
Sono in questo ambiente (università) da 43 anni. Che io ricordi, da sempre le carriere sono state assicurate per cooptazione, in certe fasi con correttivi più o meno efficaci (i concorsi nazionali ai tempi della 382), in altre fasi senza né correttivi né troppi pudori. Dalla metà degli anni ’90 ad oggi abbiamo avuto sostanzialmente solo cooptazione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: in troppi casi gente che lavora bene, con ottima reputazione internazionale, a livello locale conta zero o quasi: non ha pieno accesso a fondi, non si può permettere di tirar su allievi (con che prospettive per il povero allievo?). E’ già molto se ti lasciano lavorare. Mentre molti che godono di cospicua influenza a livello locale, e magari sfoggiano un folto codazzo di seguaci, a livello internazionale sono considerati zero. In questa situazione, la cooptazione può solo perpetuare questo triste stato di cose. Forse i concorsi nazionali non sono l’ ottimo, in astratto. Ma quando si tratta del mondo in cui si vive, quello reale, le considerazioni in astratto, i modelli, valgono poco. E’ meglio cercare i modi più efficaci di intervenire sulle cose come realmente sono.
Sono padre di un cervello in fuga. Visto che in Italia il “maestro”
non deve rispondere a nessuno della qualità della sua “scuola”, ed
è inamovibile, mi pare che la chiamata diretta sia solo la legittimazione della “pastetta”. Se proprio ci deve essere “pastetta”,
sia almeno illegale e se è illegale la si può combattere.
Prima di trasferirmi in Italia, dove sono ricercatore universitario da 7 anni, sono stato ricercatore (ossia ‘Lecturer’) in Inghilterra, dove i concorsi non ci sono, ma dove la meritocrazia regna comunque sovrana (con le eccezioni che ci sono sempre ovunque), visto che se un determinato dipartimento non produce ricerca di qualità, ne paga le conseguenze in termini di finanziamenti – semplice, razionale, e senza alcun concorso.
da Mauro Prencipe
Come ricercatore in campo scientifico capisco benissimo le posizioni di Ainis e di Braga. Chi non fa ricerca non ha la minima idea di cosa voglia dire farla, e di quanta fatica e tempo si debba investire nel formare adeguatamente una persona che, a partire da una tesi di laurea e proseguendo con un dottorato, sia poi in grado di affrontare da sola le problematiche di ricerca nel campo in cui si è specializzata. Col meccanismo dei concorsi, questa persona si troverà di norma ad andare a lavorare in altre realtà che, seppur nello stesso ambito generale, possono essere molto distanti dalle tematiche che conosce approfonditamente. In poco tempo le sue conoscenze tecniche peculiari vengono disperse e sprecate. D’altra parte, il docente che ha contribuito fortemente alla sua formazione deve ricominciare con qualche altra persona e la ricerca si sviluppa così molto lentamente; non solo… ma, sempre a causa del meccanismo dei concorsi, entro il dipartimento dove questi opera arrivano altre figure “estranee” alle linee di ricerca già impostate, specializzate a loro volta in problematiche lontane dagli interessi di un dipartimento che non è neppure attrezzato e/o ha risorse per affrontarle. In breve, anche gli interessi e le competenze di questa nuova persona vengono gettate al vento…
E’ come se si chiedesse a una fabbrica che produce automobili di cambiare linea e dedicarsi ai frullatori, perchè i nuovi assunti in base, ai “titoli”, di frullatori si sono occupati e nulla sanno di automobili! Oppure uno studio commercialista che abbia bisogno di un nuovo ragioniere, e che si ritrova invece con un geometra… bravo eh! Con tanta esperienza… basta che non gli si parli di “partita doppia”!
Come si può essere competitivi a livello internazionale con queste regole assurde?
I concorsi sono uno iattura. In moltissime altre parti del Mondo il personale universitario non viene reclutato in questo modo Ve lo siete chiesti il perché? La ragione ultima del concorso è evitare che il reclutamento venga fatto per fini diversi da quelli dell’efficienza e competitività della ricerca. Ma tanto, per quanto restrittive e farraginose vengano rese le regole concorsuali, se questi “fini diversi” esistono, la commissione troverà sempre il modo di perseguirli efficacemente… E allora? Non abbiamo risolto il problema della malafede e della disonestà intellettuale, e abbiamo semplicemente messo i bastoni tra le ruote di chi invece lavora seriamente.
Si, ha ragione Ainis, i concorsi vanno aboliti! Non ve lo dice un “barone” ordinario da vent’anni… ve lo dice un ricercatore che tale è da altrettanto tempo, che ha sempre lavorato (e si è guadagnato un nome e una notorietà a livello internazionale, nel campo ove egli opera), e a cui di diventare associato o ordinario non importa un bel niente, ma a cui importa invece fare ricerca con collaboratori esperti che non cambiano in continuo!
Per quanto riguarda la “malafede”… occorre rafforzare il meccanismo per cui se un dato dipartimento non “produce” (pubblicazioni su riviste ISI: non sarà il massimo dell’oggettività nella misura della produzione, ma è difficile fare di meglio) non viene più finanziato in termini di risorse umane ed economiche.
da Stefania Masci
Non condivido la vostra proposta riguardo ai concorsi. Anche io sono per la cooptazione diretta, e non perché è così che funziona e quindi questa sarebbe una sorta di “legalizzazione” di una pratica esistente, ma perché è così che funziona nelle università e centri di ricerca migliori: l’assunzione diretta permette di “responsabilizzare” chi assume, cosa che, con i concorsi truccati, non è mai stata permessa, perché la “colpa” era genericamente di un “sistema”.
Invece così, se il Prof. X (barone o non barone) assume Y e Y è bravo, ha i suoi meriti, sia a livello locale che nazionale o internazionale; se invece Y è un incapace, il Prof. X non avrà pubblicazioni e riconoscimenti e verrà pubblicamente reso noto. Questo non vuol dire assumere il locale, ma, dopo aver fatto i colloqui con sistemi simil-concorso, ma che concorso non sono (seminari, presentazione di progetti….), l’assunto potrà essere il locale o l’esterno…. Diverso è il discorso per i passaggi di carriera, dove, purtroppo, quello che conta maggiormente è l’aspetto economico, ma in fase di ingresso, non credo di essere un’illusa pensandola così: sono sicura, avendo frequentato abbastanza istituzioni estere, che si instaurerebbe (forse dopo qualche anno) un circolo virtuoso, così come spesso succede all’estero