PD contro il voto di laurea – Abilitazioni e/o concorsi? Il testo del decreto

= 11 giugno 2012

1. IL PD VUOLE ABOLIRE SUBITO IL VALORE DELLA LAUREA. MONTI, LETTA, MELONI

2. ABILITAZIONI E/O CONCORSI? CAPRA E CAVOLI. MEGLIO UN ‘BUONO POSTO’. ICHINO, MARTINOTTI, BANFI

3. PERCHE’  CAMBIARE LE ABILITAZIONI. IL TESTO DEL DECRETO MINISTERIALE

 

1. IL PD VUOLE ABOLIRE SUBITO IL VALORE DELLA LAUREA. MONTI, LETTA, MELONI

        ”Il Governo vuole e DEVE abolire il valore del voto di laurea per accentuare e formalizzare la differenza tra gli Atenei.” Si vuole “non tanto – per il momento – abolire il valore legale del titolo, ma subito azzerare il valore del VOTO della laurea e sostituirlo con il valore (chi lo accerterà e come?) dell’Università che rilascia il titolo. E’ questa la via ‘dettata’ dalla Confindustria e, sostanzialmente, sostenuta dalla CRUI e, quindi, da tutti i partiti. (dal messaggio del 27.3.12 “Valore lauree: consultazione con ‘campagne’”).

       “Tutti i partiti”, compreso il PD, come ha recentemente ricordato Marco Meloni responsabile Università, componente della segreteria nazionale del PD e del direttivo dell’associazione Trecentosessanta, nata “da un’intuizione di Enrico Letta”.

      Marco Meloni ha dichiarato: “L’abbiamo proposto per primi: pensiamo all’abolizione del valore legale del voto di laurea, ad ampliare le classi di laurea che consentono di accedere ai concorsi, ecc. Farà discutere ma per noi non deve essere un tabù.” (dall’Unità del 7.6.12).

       Le dichiarazioni di Marco Meloni sono importanti perché egli riporta le posizioni del ‘vero PD’, cioè quello che da molti anni e in continuità con i DS e il PCI ha determinato i provvedimenti legislativi e ministeriali riguardanti l’Università.

      Il vice-segretario nazionale del PD Enrico Letta, nel marzo 2010, ha “apprezzato la linea della Confindustria sulla futura Legge 240/10. Letta ha recentemente partecipato al “meeting Bilderberg”, dove questa volta non ha potuto partecipare Mario Monti perché a capo di un governo. Lo stesso Letta fa parte della Commissione Trilaterale di cui Monti è stato presidente europeo.

       A Mario Monti, il 18 novembre scorso, Enrico Letta aveva inviato il seguente messaggio: «Mario, quando vuoi, dimmi forme e modi con cui posso esserti utile dall’esterno. Sia ufficialmente (Bersani mi chiede per es. di interagire sulla questione dei vice) sia riservatamente. Per ora mi sembra tutto un miracolo! E allora i miracoli esistono!»

       Ma non sarà per un miracolo che verrà abolito il valore del voto di laurea, atto finale dell’abolizione dell’Università statale aperta a tutti: sarà il risultato di un lungo e tenace lavoro ‘collettivo’ al quale il PD che conta ha sempre dato, per primo, un determinante contributo.

= Per approfondire la questione del valore del voto di laurea e, in particolare, conoscere la posizione del governo cliccare qui. Per conoscere le altre posizioni sulla stessa questione cliccare qui.

2. ABILITAZIONI E/O CONCORSI? CAPRA E CAVOLI. MEGLIO UN ‘BUONO POSTO’. ICHINO, MARTINOTTI, BANFI

– Ichino

       Andrea Ichino, sul Corriere della Sera del 5.6.12, preferisce quanto attualmente prevede la Legge: “dipartimenti autonomi nel chiamare i professori preferiti con procedure da essi liberamente stabilite, ma vincolati a scegliere solo i docenti abilitati dall’Anvur e sapendo che scelte meno felici avrebbero comportato tagli ai finanziamenti.” (In realtà i docenti non dovrebbero essere abilitati dall’ANVUR. Lapsus?, ndr). Ichino è contrario a quanto aveva ipotizzato il ministro Profumo che, “per impedire una proliferazione di abilitati”, “vorrebbe che prima le università scegliessero chi chiamare in base al loro budget e che poi, a scelte fatte, l’Anvur certificasse la loro bontà, con tagli ai finanziamenti degli atenei di cui l’Anvur ritenesse inadeguate le chiamate.” In realtà Profumo prevedeva, prima della scelta definitiva (la “chiamata”), un concorso formalmente internazionale-nazionale-locale, che – ha ragione Ichino – sarebbe in realtà una “chiamata” diretta. Andrea Ichino aggiunge che “la certificazione ex post oltre ad essere molto onerosa per l’Anvur, che dovrebbe ricontrollare l’operato di ogni commissione locale, ripetendo un lavoro già fatto, sarà fortemente soggetta a pressioni per evitare dinieghi.”

      Insomma Andrea Ichino teme le degenerazioni dell’autonomia dei dipartimenti e perciò vuole un filtro nazionale (le abilitazioni), ma non si fida completamente dell’ANVUR e perciò non vuole che le sia affidata “la certificazione ex post”.

– Martinotti

Guido Martinotti è contro “il sistema dei concorsi” e, in particolare, contro la presenza del “’membro esterno” straniero” che – ed ha ragione – è segno di “provincialismo”. La giusta soluzione per Martinotti? “Un sistema più decentrato con autonomie reali e responsabili”, alternativo all’”orrido prodotto centralistico del ‘mentecatto burocrata’ romano”. E quindi “un sistema universitario autonomo, basato su una discrezionalità responsabile, con forte mobilità, e con il minimo di rapporti feudali”.

       Guido Martinotti, come l’ANDU ha sempre sostenuto ma con soluzioni opposte alle sue, ritiene indispensabile eliminare “radicalmente fin dall’inizio i rapporti feudali (di servizio e di potere) tra maestri e allievi.”

      Ma neanche per Martinotti “la discrezionalità responsabile” delle “comunità scientifiche di ateneo” è totale. Infatti “la nomina (di un professore, ndr) può essere contestata da chi ha un interesse accertato, presso apposita commissione di revisione nominata dagli organi CENTRALI del sistema.” E ancora: “la nomina nel sistema vale 5 anni, allo scadere dei quali il docente deve essere confermato e dal dipartimento in cui è inquadrato in quel momento e da una commissione di revisione NOMINATA DALL’ANVUR; gli atti sono pubblici e impugnabili da eventuali concorrenti. La revisione viene fatta una seconda volta dopo 10 anni. E una terza dopo 15. Alla fine di questo percorso il docente riceve una tenure di sistema. Ove fallisca in una delle revisioni deve ricominciare da capo, ma gli anni passati nel sistema gli vengono riconosciuti.”

     Infine, “in ogni caso l’Ateneo non potrà chiamare come nuovi docenti ovvero concedere la venia docendi a persone che si siano laureate, abbiano conseguito un dottorato o esercitato attività didattiche di ogni tipo nell’ateneo stesso.” E se “i boss si mettono d’accordo”? “Può darsi, ma diventa molto complicato”.

Guido Martinotti, vuole eliminare “il sistema di reclutamento nazionale che sarà sempre rigido e corrotto”, prevedendo l’intervento almeno per tre volte della più micidiale struttura NAZIONALE, l’ANVUR, pensata per commissariare il sistema nazionale degli Atenei. Una struttura NAZIONALE che nel 2006 ‘impauriva’ persino il vice-presidente di Confindustria. Infatti allora Gianfelice Rocca, riferendosi al Direttivo dell’Agenzia proposta da Luciano Modica e Walter Tocci, aveva parlato di “cavalieri dell’Apocalisse che si trovano a maneggiare uno spazio gigantesco dell’economia e della conoscenza” e di non opportunità di “inventare qualcosa di nuovo”, di “chiamare il podestà” (v. video dell’intervento di Rocca ad un convegno a Milano del febbraio 2006).

     Inoltre Martinotti prevede che per almeno 15 anni il professore reclutato ‘dipenderà’ dal Dipartimento e dall’ANVUR, con prevedibili conseguenze sulla sua autonomia didattica e scientifica.

– Banfi

Antonio Banfi, come Ichino e a differenza di Martinotti, vuole mantenere ma modificandolo, il filtro nazionale delle abilitazioni: “sarebbe opportuno inserire un vincolo alle abilitazioni, rendendole a numero chiuso: si eviterebbe la concessione di abilitazioni a pioggia e si renderebbe il numero degli abilitati proporzionale alle disponibilità degli atenei.”

       Insomma per salvare comunque un sistema nazionale-locale che sta bloccando il reclutamento e le carriere, Banfi arriva a proporre di abolire di fatto le abilitazioni nazionali trasformandole in semi-concorsi nazionali, senza eliminare la scelta (quella vera) locale, illudendosi che, fissando regole, “le Università procederanno ai reclutamenti per garantire che il merito prevalga sul nepotismo e il localismo, anche, e soprattutto, nella fase cruciale: quella che porta gli abilitati a diventare professori.”

– Capra e cavoli

      E’ noto a tutti – e, ovviamente, anche a Ichino, Martinotti e Banfi – che il reclutamento (soprattutto) e le carriere avvengono per cooptazione personale: il maestro individua, spesso già al momento della laurea, il suo allievo che ‘accompagnerà’ attraverso il dottorato, le varie forme di precariato, l’ingresso in ruolo e poi nelle promozioni.

     I primi passi, quelli del pre-ruolo e dell’ingresso in ruolo, sono fondamentali per la ‘personalizzazione’ del rapporto subalterno dell’allievo nei confronti del suo maestro, dal quale dipende la possibilità di rimanere e di entrare in ruolo. Ed è proprio l’ingresso in ruolo l’obiettivo fondamentale-vitale, che sarà raggiunto solo se il maestro lo vorrà e quando egli lo potrà.

       Il controllo dell’ingresso in ruolo da parte del maestro (di una singola persona, non della struttura!) è lo snodo del potere baronale e in Italia non è stato messo MAI in discussione da NESSUNA legge (v. il reclutamento come assistente, poi come ricercatore, ora come associato). SEMPRE è stata garantita la cooptazione personale, con gli ‘annessi’ fenomeni di nepotismo, localismo e clientelismo. Naturalmente tutto questo è sempre stato (ed è) giustificato con la necessità di garantire la scelta responsabile degli Atenei, cioè del singolo maestro. Una scelta sempre ipocritamente coperta dalla presenza di commissari ‘nazionali’ da affiancare a quello locale (il maestro o chi per lui) e ora con le inutili abilitazioni nazionali.

      In Italia, se si volesse realmente combattere la cooptazione personale, si dovrebbe sottrarre INTERAMENTE al maestro qualsiasi possibilità di scegliere direttamente il suo allievo e di decidere, di fatto da solo, il percorso pre-ruolo, l’ingresso in ruolo, gli avanzamenti.

      Questo, in Italia, si può fare ‘semplicemente’ solo accorpando in un concorso nazionale i posti di ruolo banditi o assegnati nei vari atenei, facendo decidere i VINCITORI (pari, quindi, al numero dei posti) ad una commissione interamente sorteggiata, escludendo coloro che appartengono agli atenei dove sono allocati i posti e non consentendo la presenza di commissari appartenenti alla stessa sede. Inoltre, per ridurre ulteriormente il condizionamento dei maestri interessati, occorre prevedere che i vincitori scelgano la sede in cui prendere servizio sulla base di una graduatoria stabilita dalla commissione.

      Questo meccanismo, da prevedere solo per l’entrata in ruolo (per gli avanzamenti dovrebbe essere sufficiente una idoneità nazionale), in Italia non è stato MAI adottato. Per leggere la proposta integrale cliccare qui.

– Il ‘buono posto’

      In alternativa a questa proposta, se si vuole ad ogni costo salvaguardare la “scelta responsabile” locale, è più serio, più rapido, più chiaro e meno costoso assegnare al maestro un ‘buono posto’ che gli consenta di scegliere, direttamente e senza infingimenti, chi vuole.

3. PERCHE’ CAMBIARE LE ABILITAZIONI. IL TESTO DEL DECRETO MINISTERIALE

      Si segnala l’interessante intervento di Giuseppe Caputo “Navigare senza rotta. Riflessioni e anticipazioni sulle abilitazioni”, su Meno di Zero di oggi. Per leggere il testo del dcreto ministeriale cliccare qui.

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Marcello Del Verme
11 anni fa

Si comprende bene perché alcuni politici – specie quelli ‘impreparati’ o dalla laurea facile e, forse, comprata o mai conseguita – avuti nell’ultimo ventennio osteggino il voto di laurea ma almeno portino attenzione ai curricula degli studenti. Non tutti i ‘bocconiani’ saranno chiamati ad Oxford per fare luce nell’UK, né i laureati, ad es., presso università come la ‘Federico II’ di Napoli o altre sedi del sud e delle isole troveranno uno sbarramento all’estero, se dotati e preparati (soprattutto con titoli/pubblicazioni scientifici di qualità). E poi, se i docenti(mi si permetta, sia quelli in attività sia i pensionati come me) hanno preparato bravi allievi negli anni e non hanno badato ai loro ‘servigi’ da scudieri, perché dovrebbero poi abbandonarli al momento di una prova concorsuale? Certo, vincano i migliori! e – come si dice a Napoli: “I buoni cavalli li rivelerà la strada (più o meno così). Anche il sorteggio dei commissari (di uno stesso settore disciplinare, macro o micro che sia) potrebbe aiutare. Ma è la qualità dei concorrenti che conta; se mediocri, anche i c.d. maestri dovrebbero vergognarsi, se promossi. E il giudizio, in fine, dell’Accademia (italiana o straniera) prima o poi farà giustizia. mdv, cum parrhesia e dignità.

Salvatore Nicosia
Salvatore Nicosia
12 anni fa

Sui concorsi sottoscrivo completamente le tesi dell’articolo intitolato “capra e cavoli”.
Sull’abolizione del valore legale vorrei dire due cose:
1- sia che il PD abbia ragione a volerlo abolire, sia che abbia torto, il suo zelo nel mostrarsi più liberista dei bocconiani suscita pena a chiunque (pena condìta da dileggio nella destra, e da rabbia nei progressisti).
Ma evidentemente Meloni e i dirigenti suoi superiori non vogliono sentirselo dire. Non dico da noi untorelli, ma nemmeno da firme importanti (a diverso titolo) come Raffaele Simone e Michele Serra;
2- questa situazione politica, nella quale un settore del Paese si sente pervicacemente trascurato, zittito e non-rappresentato da alcuna formazione politica, noi più anziani l’abbiamo già vissuto nel 1973 e anni seguenti.
Che furono gli “anni di piombo”: quel tempo cioè nel quale in Italia le scorciatoie del tumulto, della devastazione, dell’intimidazione fisica, del sequestro di persona, della ferita, dell’omicidio apparvero comprensibili e perfino giustificabili o addirittura legittime perchè l’espressione parlamentare dell’opposizione era stata sbarrata.
Mi sembra che, col loro ottuso conformismo, i nostri Partiti tutti stiano di fatto coltivando questa attuale “rinascita anarchica” in Italia.
Dimenticando che dell’Autonomia e del Brigatismo trent’anni fa i danni politici peggiori li sofferse proprio la sinistra.

gianni porzi
gianni porzi
12 anni fa

Non è giusto abolire il voto di laurea, ma piuttosto va abolita la “valutazione del voto di laurea” nei concorsi pubblici. In qualsiasi tipo di concorso pubblico i candidati dovrebbero essere valutati esclusivamente in base alle conoscenze e alle capacità dimostrate durante le prove del concorso.

Paolo Abrescia
Paolo Abrescia
12 anni fa

Niente e nessuno riuscirà mai a scalfire il potere dei “maestri”. Del resto, anche i finanziamenti (che servono a far produrre di più e, quindi, aiutare gli allievi) sono distribuiti con meccanismi di accordi e scambi di “favori” tra maestri autoreferenziali. A che servirebbe, poi, far chiamare un “promosso” da un’università diversa da quella in cui è cresciuto? Nell’Italia settentrionale ci sono una miriade di università che rendono sopportabili gli spostamenti tra siti vicini: sarà mai possibile obbligare un promosso del Nord ad andare al Sud e viceversa? E anche se così fosse, i maestri, col solito gioco di alleanze, troverebbero occasione (ed è già abbondantemente successo) per espandere la loro area di influenza personale. Il panorama futuro non sarà meno squallido di quello attuale, a meno che non si lasci un qualche potere decisionale agli studenti che, come in un tempo antico, potrebbero pagare solo chi dà lustro al titolo che conseguiranno o alla sede universitaria dove il titolo venga conseguito; il discorso è lungo ed andrebbe certamente precisato, ma è certo che gli studenti continueranno a subire gli effetti dei giochi di potere accademico (come se davvero fossero solo oggetti di produzione burocratica e non fabbri del loro futuro).

marco barchi
marco barchi
12 anni fa

ma perchè invece di abolire il voto di laurea non si valuta il percorso universitario di ciascuno, prescindendo dal voto di laurea?. Se si usasse come parametro la media dei voti riportati negli esami, vi sarà una probabilità assai inferiore di discrepanza da ateneo ad ateneo, visto che è la media derivante dalla valutazione di almeno 20 docenti diversi e non di una ristretta commissione di laurea che può “gonfiare” il voto di laurea e quindi di fatto eliminare le differenze tra studenti meritevoli e non. Ad oggi troppi arrivano ad un voto di laurea elevato pur non avendo medie curricola di studio eccezionali.