-
DOPO IL SONDAGGIO FARSA, A MAGGIO LA “PICCONATA” AL VALORE DELLA LAUREA. CONTROQUESTIONARIO
-
DURATA DEL MANDATO DEI RETTORI E PROROGHE
-
IL PROGETTO ‘LEGHISTA’ DI PROFUMO
-
STATUTI. L’OMBRA DI SCHIESARO
-
STATUTI. A PALERMO PER NON SOTTOMETTERSI AL MINISTERO
-
STATUTI. A PADOVA NUOVO CDA “NEL MIGLIOR MODO POSSIBILE”
Questa risposta a Giovanni Bonaiuti la propone uno che ha fatto, e molte volte, l’esperienza di passare da un Ateneo all’altro, sia come studente (dal Politecnico di Torino all’Università di Catania, nel lontano 1971, e non certo per questioni di larghezza di manica) sia come docente (posizioni di ruolo in tre atenei, di cui uno in Olanda, senza contare le posizioni temporanee di Research Fellow in altri tre atenei).
Chiedo innanzitutto scusa per la banalità di alcune delle osservazioni che seguono, per esempio la prima: l’assoluta oggettività della valutazione dell’apprendimento è un mito inutile, perché siamo tutti esseri pensanti, e il pensiero, fonte del giudizio, è soggettivo. Direi piuttosto che servano criteri standard di pubblicizzazione dei criteri di valutazione, con buon anticipo nello sviluppo dell’insegnamento, così che le regole del gioco siano chiare a tutti, ed esse stesse valutabili da tutti. Va da sé che anche lo svolgimento delle prove di valutazione deve essere pubblico, ma credo che questa sia routine quotidiana.
È vero, non c’è una regola generale per l’attribuzione dei punti aggiuntivi alla tesi di laurea, ma le regole nei sette atenei di cui sopra differivano poco, e in ogni caso riguardano una quota ridotta del voto di laurea, la cui quota largamente preponderante è ovunque (giustamente) determinata dalla media pesata dei voti di profitto conseguiti negli esami dei singoli insegnamenti. Ora, proprio da questo fatto emerge limpidamente il primo disastro che si profila con l’abolizione del valore legale del voto di laurea: perché spendere energie, un esame dopo l’altro, nello sforzo necessario a ottenere risultati di eccellenza, se l’eccellenza alla fine non è più riconosciuta?
In verità, non è che l’eccellenza non verrebbe più riconosciuta: lo sarebbe nel modo in cui già lo è in molti ambiti di impiego, finora prevalentemente privato, ovvero sulla base dell’ateneo di provenienza. E qui la sostanza delle differenze è fatta molto meno dalla larghezza delle maniche che dalla capienza delle tasche. Questa, naturalmente, è più ampia là dove abbondano i finanziamenti privati e dove alti livelli di tassazione non scoraggiano l’affluenza alle iscrizioni. Gli atenei più ricchi attraggono più iscrizioni, e questo li rende ancora più ricchi. La risposta all’interrogativo finale è dunque molto semplice, sta nel ben noto circolo vizioso (mi si perdoni l’inglese): popularity is attractive. Con buona pace dell’eccellenza “vera”, dimostrata dai risultati conseguiti in un lungo percorso di formazione e, forse male, riassunta dal voto di laurea. Considerate però le conseguenze della picconata in discussione, l’ultima banalità è d’obbligo: meglio male che peggio!
Scusate, ma non capisco cosa ci sia di scandaloso nell’abolire il valore legale del voto di laurea. C’è forse un criterio standard per cui docenti diversi valutano nella stessa oggettiva maniera i propri allievi? C’è una regola uguale per tutti i corsi di laurea con cui si attribuiscono punti alla tesi di laurea? Non so quanti abbiano avuto l’esperienza di passare da un Ateneo all’altro. Chi come me lo ha fatto sa bene che, anche in questo caso i pesi e i criteri sono diversissimi. Quindi, perchè proteggere gli studenti provenienti da Atenei di manica larga? Non ho neppure chiaro quale sia il nesso secondo il quale questa spallata porterebbe ad avere non più di 20 Atenei (auto)eccellenti. Secondo quale criterio?
Tra gli Atenei che hanno mantenuto l’eleggibilità dei membri interni del CdA va annoverata anche l’Università di Parma alla quale il Ministero ha rinviato per due volte lo Statuto (cosa peraltro singolare quanto incomprensibile). Infatti, Parma non solo ha ricevuto in due momenti diversi osservazioni dal MIUR, e sempre sulla prima versione dello Statuto, ma mentre la prima volta, quando era ancora Ministro l’On. Gelmini, il MIUR non aveva fatto rilievi sulle modalità di nomina del CdA, la seconda volta, quando era già insediato il Ministro prof. Profumo, veniva invece contestata l’eleggibilità dei membri interni del CdA. Con l’insediamento del nuovo Ministro l’atteggiamento del MIUR è forse cambiato?
Consoliamoci. Con l’abolizione del valore giuridico della laurea, avremo il piacere di vedere il Trota ministro anche alla Pubblica Istruzione e numerosi analfabeti come manager pubblici.