1. Valore legale dei titoli al Senato: abolirlo, attenuarlo o sostituirlo? 2. Statuti: ‘partita truccata’
1. Valore titoli al Senato: abolirlo, attenuarlo o sostituirlo?
(Confindustria, CRUI, ANDU, Tranfaglia, Lavoce.info, Rossi e Toniolo, DS, ‘Imprenditori’, PD, Garavaglia, PDL, Grillo, Kostoris, Mancino, Mannucci, Ichino, Costantino, di Orio)
AL SENATO
Si sta intensificando la ‘campagna’ per l’abolizione del valore legale dei titoli di studio.
Al Senato la Commissione Istruzione ha iniziato una “indagine conoscitiva sugli effetti connessi all’eventuale abolizione del valore legale del diploma di laurea” ed ha già svolto le audizioni formali della CRUI (4 maggio), della Confindustria (25 maggio) e degli ordini professionali degli ingegneri (5 maggio) e degli avvocati (18 maggio). Il 7 giugno saranno ascoltate le Organizzazioni universitarie (v. convocazione con il testo dei quesiti posti dalla Commissione che sembrano già un ‘programma’).
CRUI Nell’audizione la CRUI, ovvero il suo nuovo presidente Marco Mancini, reputa “necessario rendere preliminarmente efficace la selezione mediante qualità al fine di innescare la valutazione all’interno del sistema. In tal modo il processo virtuoso potrebbe essere messo alla prova ed eventualmente costituire una precondizione per una transizione morbida verso l’abolizione del valore legale del titolo di studio.”
CONFINDUSTRIA Nell’audizione la Confindustria ha affermato che “il valore legale dovrebbe essere sostituito da un meccanismo di accreditamento capace di garantire i contenuti dei titoli, imperniato su una o più agenzie indipendenti che verifichino i cosiddetti requisiti minimi dei corsi di studio.”
E’ UNA VECCHIA STORIA
ANDU L’abolizione del valore legale dei titoli ‘comprende’ anche l’abolizione dello stato giuridico nazionale dei docenti, la ‘liberazione’ delle tasse e la differenziazione degli Atenei.
Come la ‘nuova’ governance degli Atenei, imposta dalla legge 240/10, anche queste ‘riforme’ vengono da lontano e sono volute dalla Confindustria e condivise da tutti i partiti e dall’accademia che conta, con in testa i ‘soliti’ economisti.
L’ANDU da sempre ha documentato e denunciato il PROGRAMMA e l’OPERA di smantellamento dell’Università statale da parte di una lobby trasversale accademico-confindustriale che condiziona Governi, Parlamento e ‘grande’ stampa.
Anche nel dicembre 2006 l’ANDU ha denunciato quanto già avvenuto, quanto è poi accaduto e quanto accadrà se non si mobiliteranno in tempo coloro che vogliono difendere l’autonomia della ricerca e dell’insegnamento e il diritto allo studio e quindi la democrazia nel nostro Paese. Si è scritto allora:
“Da decenni si opera impunemente per demolire l’Università statale: falsa autonomia finanziaria per ‘gestire’ la progressiva riduzione dei fondi, finta autonomia statutaria, abolizione di fatto del CUN, finti concorsi locali, imposizione del fallimentare “3 + 2”, moltiplicazione degli Atenei, aumento a dismisura del precariato, legge Moratti, ecc. E proprio coloro che hanno lavorato con successo contro l’Università statale sempre più propongono soluzioni ‘rivoluzionarie’ per farla definitivamente finita con l’idea stessa di una Università di massa e di qualità: delegificazione del reclutamento dei docenti e dell’organizzazione degli Atenei, Agenzia di valutazione ‘forte’ che decida sulle strutture, sui finanziamenti e sui singoli docenti, concentrazione delle risorse pubbliche in pochi “centri di eccellenza”, abolizione del limite alle tasse studentesche, abolizione del valore legale del titolo di studio.”
TRANFAGLIA Nel novembre del 1995, in un seminario, Nicola Tranfaglia aveva sostenuto che per “creare tra gli atenei una competizione a chiamare i migliori lo strumento più diretto è l’abolizione del valore legale del titolo di studio” e aveva aggiunto che “se non si affronta questo nodo mi pare assai difficile pensare ad una competizione effettiva tra gli atenei”. Poi nel luglio 1996 lo stesso Tranfaglia auspicava una vera autonomia degli atenei per la quale “non si può non ipotizzare proprio l’abolizione del valore legale del titolo di studio” (da Repubblica del 25.7.96).
LAVOCE.INFO Nel giugno del 2005 la ‘nuova’ Università è stata ben descritta in un articolo di Lavoce.info. Ecco il ‘decalogo’, con la ‘logica’ conclusione dell’abolizione del valore legale del titolo di studio:
“1. Liberalizzare le retribuzioni del personale accademico.
2. Liberalizzare le assunzioni: ogni università assume chi vuole e come vuole; di conseguenza, è abolito l’attuale sistema concorsuale.
3. Liberalizzare i percorsi di carriera: ogni università promuove chi e come vuole.
4. Liberalizzare completamente la didattica: ogni università è libera di organizzare i corsi come vuole e di offrire i titoli che preferisce.
5. Liberalizzare le tasse universitarie: ogni università si appropria delle tasse pagate dai propri studenti.
6. In alternativa alla proposta precedente, mantenere il controllo pubblico sulle tasse universitarie aumentandole però considerevolmente.
7. Utilizzare i risparmi statali così ottenuti per istituire un sistema di vouchers, borse di studio e prestiti con restituzione graduata in base al reddito ottenuto dopo la laurea.
8. Allocare ogni eventuale altro finanziamento statale alle università in modo fortemente selettivo sulla base di indicatori di produttività scientifica condivisi dalla comunità internazionale.
9. Consentire l’accesso a finanziamenti privati senza limitazioni.
10. Abolire il valore legale del titolo di studio.”
ROSSI E TONIOLO Nel luglio 2005 Nicola Rossi e Gianni Toniolo, dei DS, hanno sostenuto che “l’abolizione del cosiddetto valore legale del titolo di studio costituirebbe una precondizione” per chi vuole che gli Atenei “possano trasformarsi in Fondazioni universitarie e godere della più completa autonomia finanziaria, gestionale, didattica e scientifica”.
DS Nel dicembre 2005i DS proponevano:
1. di “affievolire (sic!) il valore legale dei titoli”;
2. che, “in prospettiva”, per il reclutamento “le regole selettive” rientrino “nella sfera di autonomia del singolo ateneo”, che stabilirà anche “le procedure di chiamata (o di non chiamata)”;
3. che, una volta garantito il diritto allo studio, si debba “rimuovere il vincolo budgetario sull’entità complessiva delle tasse e contributi universitari stabiliti da ciascuna università”;
4. di “delegificare completamente la strutturazione interna di un’università”.
‘IMPRENDITORI’ Nel marzo 2006 la Confindustria assieme ad altre 17 sigle ‘imprenditoriali’ (dall’ABI alla Legacoop), poneva “il tema del superamento del valore legale del titolo di studio” che “si configura come un ostacolo alla concorrenza e in prospettiva la sua sostituzione con un sistema di accreditamento è un elemento necessario per un rilancio di una formazione di qualità fondata sulla effettiva creazione di competenze scientifiche e professionali.”
PD Nel marzo 2008 al punto 7 del Programma del PD si legge:
“Ciascun ateneo deve essere libero di assumere personale docente italiano e straniero, di darsi il sistema di governo che ritiene più adeguato, di stabilire le norme per l’ammissione degli studenti, di fissare liberamente le rette.”
GARAVAGLIA Nel luglio 2008 Mariapia Garavaglia, senatrice e “ministro ombra” del PD, ha definito lo “stato giuridico dei docenti universitari” una “palla al piede delle università autonome” (intervento sul Sole 24-ore).
PDL Nel luglio 2010 il PDL ha presentato “una proposta di legge” per “abolire il valore legale del titolo di studio”, riprendendo quanto scritto “nel piano per l’occupazione di giovani” presentato dal Governo nel precedente autunno: “il valore legale dei titoli di studio ha dimostrato di non poter garantire la differenziazione dei percorsi formativi”. A favore dell’iniziativa si è espresso Italo Bocchino, allora del PDL, che si è appellato “ai colleghi affinché la appoggino in Parlamento.”
GRILLO Anche il Movimento di Beppe Grillo, in uno dei punti del suo Programma, chiede la “Abolizione del valore legale dei titoli di studio”,
Più recentemente:
KOSTORIS Fiorella Kostoris, nell’intervista del gennaio 2011 dal titolo “Kostoris: ‘All’Italia serve un Marchionne stile Usa’” sul CorrierEconomia, oltre a fornire la sua ricetta per fare uscire dalla crisi l’Italia, ha sostenuto che “nel nostro Paese la vera riforma sarebbe l’abolizione del valore legale del titolo di studio e la fine di ogni appiattimento burocratico”: “in Italia le differenziazioni di status qualitativo o di salario tra università sono inesistenti”.
MANCINI Marco Mancini, nuovo Presidente della CRUI, all’indomani della sua elezione ha dichiarato: “In futuro dovremo consentire alle università di chiamare i professori che vogliono” (intervista al Corriere della Sera dell’8 aprile 2011).
MANNUCCI Pier Mannuccio Mannucci il 14 aprile 2011, scrive che “la vera riforma dell’Università si può fare solo con tre abolizioni: cancellando il valore legale del titolo di studio, i concorsi e il posto fisso”. Mannucci nel suo sito chiarisce quale è “La vera riforma per il Gruppo 2003“: “università di eccellenza (dedite principalmente alla ricerca e alla formazione dei ricercatori), e università che abbiano come missione principale quella di aumentare il numero di laureati, da noi ancora largamente insufficiente rispetto ai paesi con cui siamo in competizione”. Il tutto affiancato da “un serio intervento dell’ANVUR in termini di valutazione”.
ICHINO Il sen. Pietro Ichino del PD, per “ridare ossigeno ai nostri atenei”, ha presentato “l’interrogazione sulla possibilità di sperimentare anche in Italia il metodo inglese per il finanziamento delle università, promossa dal Gruppo 2003, con le firme di Ceccanti (Pd), D’Alia (Udc), Germontani (FlI), Leddi (Pd), Ignazio Marino (Pd), Morando (Pd), Poli Bortone (Udc), Nicola Rossi (Gruppo misto), Rusconi (Pd), Rutelli (ApI), Tonini (Pd), Treu (Pd), Valditara (FlI)” (dal sito di Ichino).
Nell’interrogazione si legge che “il Governo inglese dopo appena un mese, il 3 novembre 2010, ha accolto le raccomandazioni del Rapporto Browne, con tre sole modificazioni importanti:
i) le tasse universitarie non potranno essere aumentate oltre le 9000 sterline;
ii) le università che scelgono di innalzare le tasse universitarie fino ai livelli più alti devono dimostrare ex post, dati alla mano, che il numero di studenti meno abbienti e non provenienti da scuole private è aumentato;
iii) il tasso di interesse (dei prestiti agli studenti, ndr) è stato innalzato al 3% rispetto al 2.2% previsto dal rapporto”.
Nell’interrogazione non viene segnalato che le scelte del Governo inglese hanno scatenato una vera e propria rivolta degli studenti e non informa che il sistema dei prestiti negli USA ha prodotto un immenso indebitamento (v. “La bolla universitaria“).
Da questa interrogazione ha preso le distanze il PD.
CONTRO l’abolizione del valore legale del titolo di studio:
DI ORIO Nel gennaio 2009 Ferdinando di Orio, rettore dell’Aquila.
COSTANTINO In un recente intervento Nicola Costantino, rettore del Politecnico di Bari.
2. Statuti: ‘partita truccata’.
Nell’audizione al Senato la Confindustria non ha mancato di auspicare “che nella fase di redazione degli statuti, gli atenei abbiano il coraggio di inserire un numero consistente di stakeholder esterni i quali non rappresentano a suo giudizio una minaccia, ma si configurano quali consiglieri indipendenti in grado di offrire un contributo essenziale.”
E ieri, 2 giugno, sul Sole 24-ore, giornale della Confindustria, Daniela Venanzi, “ordinario di Finanza aziendale”, ha denunciato la “tendenza a limitare il ruolo degli esterni, quando la legge li impone, nel consiglio di amministrazione o nel nucleo di valutazione”.
Daniela Venanzi, che peraltro svolge un’interessante analisi sull’elaborazione in corso degli Statuti, scrive anche che “a volte i componenti della commissione statuto sono indicati dagli organi che la riforma esautora.” Venanzi evidentemente non ha presente che la Legge volutamente assegna agli “organi che la riforma esautora” la scelta della commissione e l’approvazione del ‘nuovo’ Statuto, anziché, come l’ANDU ha chiesto, prevedere un organo ‘costituente’ composto esclusivamente da rappresentanti direttamente eletti da tutte le componenti.
Ma la stessa Venanzi, visto che i ‘nuovi’ Statuti non saranno elaborati dagli Atenei, ma dalle oligarchie che li dominano, invece di chiedere l’interruzione della ‘partita truccata’, chiede al Miur di ‘aggiustarla’ invitandolo a non farsi ingannare “da statuti (che dovranno passare al suo vaglio) snelli e deliberatamente reticenti”. Insomma, sia l”arbitro’ (il MIUR) a decidere i risultati delle ‘partite truccate’, e questo nonostante la Legge non glielo consenta (v. il punto 3 del messaggio del 7 maggio 2011).
come risposta a Kostoris vorrei sottolineare che a mio avviso lo status qualitativo degli atenei e fra gli atenei DEVE essere minimo, ma con un significativo livellamento ai massimi livelli possibile. Le affermazioni della Kostoris sono una palese confessione di incapacità politica di gestire il fenomeno.
A proposito dell’intervento di Mannucci che sostiene come nell’università si debbano abolire tre cose e cioè” il valore legale del titolo di studio, i concorsi ed il posto fisso”, vorrei dire che tale panorama sarebbe il presupposto per la trasformazione degli atenei in dittature perfette, completamente nelle mani dei vertici universitari, il cui potere, allora diventerebbe incontrollabile, anche perchè fortemente implementato dalla influenza finanziaria dei “PRIVATI”, che avrebbero così acquistato un vivaio manageriale “A demande”.
per fare un esempio pratico, il valore legale del titolo è stato abolito “di fatto”, nella nomina dei Direttori Generali delle aziende sanitarie, per i quali è previsto solo che siano forniti di un diploma di laurea, qualunque essa sia. E come sappiamo, i DG, per la maggioranza dei casi adottano provvedimenti atti a conseguire il pareggio di bilancio e non la qualità delle prestazioni. La soluzione al problema delle università consiste nell’espletare concorsi “VERI” e non geneticamente modificati,valutare con spietatezza le capacità didattiche, di ricerca e ove previste, assistenziali,e fare in modo, che il valore di una laurea, quallunque essa sia, veda un riscontro qualitativo uniforme, da pantelleria a pordenone. Mi rendo conto che tale affermazione può sembrare utopica, ma non vedo alcun beneficio per l’università, nella sua trasformazione in una jungla di statuti, meccanismi di assunzione e retribuzione dei docenti. Tale fenomeno, trasformerebbe il confronto fra docenti per la copertura di una cattedra in un ateneo di serie A, in una lotta fra galli , lotta senza esclusione di colpi.E con l’ipotetica abolizione del posto fisso, la prestazione ed il futuro del docente sarebbe nelle mani di chi lo ha assunto e che potrebbe, se non fa il bravo, licenziarlo.
Salvatore Nicosia,Facoltà di Lettere, Palermo Palermo
12 anni fa
UNA TRUFFA ANTIDEMOCRATICA
L’abolizione del valore legale del titolo di studio è in Italia uno di quei temi che, lungo un percorso carsico, da alcuni decenni attraversano il dibattito politico emergendo di tanto in tanto, sempre rinforzati da un generico richiamo a Luigi Einaudi, senza mai essere sottoposti ad un reale e competente dibattito. E poiché ora il governo Monti, nella sua foga liberista non sempre bene indirizzata (ci vuole tanto a capire che il “pane fresco” la domenica toglierà il riposo domenicale a tutti i fornai, che per paura di perdere i clienti non potranno lasciare la postazione neppure quel giorno?), ha aperto la consultazione in materia, vedrò di spiegare perché, a mio giudizio, si tratta di una truffa antidemocratica.
1. A determinare il livello di un titolo di studio concorre innanzitutto il soggetto, con le sue maggiori o minori capacità e attitudini, con il suo maggiore o minore impegno e studio; e dall’altro lato, i giudizi di un certo numero di persone abilitate ad emetterli: una decina per qualsiasi diploma (gli insegnanti, con una valutazione sottoposta ad un “controllo etico” da parte della classe), una trentina per un titolo universitario (i titolari delle singole materie di studio ed esame). La valutazione finale (un 60 o 100 al diploma, un 66 o 110 alla laurea) è il risultato di un percorso di studi pluriennale sottoposto al giudizio di una pluralità di soggetti: e costituisce perciò una misura del merito individuale che in un’epoca di millantata “meritocrazia” non può essere ignorata al momento dell’immissione del soggetto nella realtà produttiva del paese. (E’ chiaro che mi riferisco esclusivamente al sistema della formazione pubblica: perché quella privata si esplica, con qualche lodevole eccezione, in centri di malaffare che qualsiasi autentico “liberista” dovrebbe cercare di sopprimere).
2. Togliere valore a questo parametro di giudizio, in linea di massima obiettivo, significa ricondurre le scelte unicamente al sistema di reclutamento: che comunque avvenga, offrirà sempre un minore sistema di garanzie. E non tanto nel mondo dell’imprenditoria privata, che ha tutto l’interesse a selezionare il personale in relazione alle sue esigenze, quanto piuttosto nel settore pubblico (penso alla scuola, alla magistratura, alla pubblica amministrazione): qui nel migliore dei casi una “commissione di concorso” opera per un breve periodo, è sovraccaricata da un immane lavoro, è “aperta” ad interventi esterni: raccomandazioni, posizione sociale della famiglia, intrusioni di “politici” e di sindacalisti. Per non dire dei molti casi in cui l’immissione nel lavoro dipende esclusivamente dall’arbitrio incontrollato di un potente, perlopiù “politico” disposto a concedere qualcosa ai sindacati e a non ignorare del tutto il ruolo delle mafie. A questo stato di cose la valutazione preventiva di un titolo differenziato oltre che specifico può porre un qualche rimedio.
3. In altri termini, non tenere conto di una differenziazione di base (il voto di diploma o di laurea, da valutare adeguatamente assieme agli altri elementi specifici) fondata sulle capacità individuali, su un sistema di valutazione prolungato nel tempo, sul tipo di formazione ricevuta, avrà effetti disastrosi perché finirà col vanificare ogni criterio di merito, col potenziare le ingiustizie, col moltiplicare le discriminazioni sociali. E sono certo che a sposare il provvedimento saranno in primo luogo le scuole e le università private di ogni ordine e grado.
E’ perciò interesse precipuo dei soggetti socialmente deboli, e di ogni sincero sostenitore della democrazia, opporsi in tutti i modi a questo provvedimento che si configura come una vera e propria truffa antidemocratica.
Ammonitore
12 anni fa
L’unica demagogia è pensare che il mercato sia la soluzione a tutti i mali e che intrinsecamente sia buono e favorevole verso i più bravi e meritevoli. In un mondo di accumulazione finanziaria vince chi è più forte e fa più profitto, tutto il resto è solo ideologia neoliberista.
Antonio S.
12 anni fa
Come al solito ci troviamo di fronte alla solita assura demagogia tutta italiana (socialista) che contraddistingue il nostro paese, non facendogli più fare passi in avanti in senso di libertà lavorative e d’impresa.
Gli italiani come al solito non comprendono le capacità del libero mercato, della possibilità che esso da a ciascuno di realizzarsi. Credono ancora nel posto fisso, nella “garanzia” che lo stato deve dare nei confronti di qualcuno, magari raccomandato. Insomma, non capiscono che è proprio il mercato a dare questa garanzia, se è bravo ha i suoi clienti, indipendentemente dal pezzo di carta. La garanzia la da il feedback positivo (o negativo) del mercato. Altro che l’uva che è acerba, come il commento precendente, qui c’è tanta gente incompetente che lavora solo perchè un pezzo di carta la autorizza. nel libero mercato chi non è bravo, indipendentemente dai pezzi di carta, non lo vuole nessuno.
A questo punto le università, non più leggittimate nei loropezzi di carta, saranno costrette se volgiono iscritti a fornire veramente un servizio decoroso, che offra insomma un vero valore aggiunto al cliente, altrimenti se rimane come ora esse non hanno questo obbligo, si limitano a insegnare il minimo indispensabile,non esiste concorrenza tra di esse, ed i baroni rimangono al loro psto perchè la loro performance lavorativa nelle università non è fondamnetale perchè non esiste la concorrenza e gli iscritti tanto ci saranno sempre lo stesso, perchè ciò che serve non è la conoscenza nel mondo d’oggi, ma il pezzo di carta.
Il problema degli italiani è che si fidano troppo del pubblico e poco di loro stessi, demandano troppo allo stato, uno stato fatto di burocrati parassiti, clientelismi, raccomandati. Invece di fare come nei paesi che la sanno più lunga di noi ci limitiamo a fare i conservatori ed a vedere i privati come i potenti di confindustria. I privati siamo tutti noi, chiunque potrebbe aprire una forma di università, ed in assenza di legalità dei titoli di studio qualsiasi forma di insegnamento privato sarebbe possibile. Da un piccolo apaprtamento ad insegnamenti On-Line anche gratuiti, anche senza scopo di lucro ma solo per volontà di diffondere la cultura. Ci sarebbe una diffusione della cultura non più emanata solo da baroni universitari.
E poi basta col criticare il privato perchè fa quello che vuole, che c’è di male nel fare quello che si vuole? Quanli regole per forza dobbiamo rispettare? Siamo o non siamo liberi? Arriavano o no dal privato le menti più grandi negli ultimi anni?
Si discute alla morte di Steve Jobs se mai in italia avrebbe potuto realizzarsi come in america. La verità è no!
[…] v. anche Messaggio ANDU del 3 giugno 2011 “Valore legale dei titoli al Senato: abolirlo, attenuarlo o […]
Gaetano Panariello
13 anni fa
Il valore legale del titolo di studio, secondo me , và salvato per i seguenti motivi:
1) garantisce, almeno sulla carta, la professionalità di chi lo ha ottenuto (chi si fiderebbe di un medico o di un ingegnere “esperti” non certificati (senza titolo di studio conseguito presso l’università)e affiderebbe la propria salute e la sua sicurezza ad un pinco pallino qualsiasi?
2)L’abolizione del titolo di studio favorisce solo coloro che, non avendo raggiunto l'”uva” dicono che è acerba.La possibilità di lavorare da professionista in ambito pubblico deve essere supportata da titolo pubblico conseguito in università pubbliche o riconosciute tali.
3)Nel privato ognuno può fare quello che vuole, qualunque “trota di allevamento” può essere confusa e presentata per pesce raro ed eccezionale,la cosa importante è che tali privati non devono accedere a fondi pubblici con i quali strapagare “dirigenti” da loro nominati e scelti tra amici e parenti.
4)In ambito pubblico per avere risultati eccellenti bisogna( pagandoli bene) scegliere i migliori laureati segnalati dalle università e selezionati attraverso concorsi seri.
5)Infine auspico l’introduzione di una forma aggiornamento dei titoli conseguiti che, se non opportunamente supportati da ulteriori certificazioni di competenze a carattere almeno triennale,scadrebbero.
Silvana Collodo
13 anni fa
Sono sempre stata dell’idea che il valore legale del titolo potesse essere abolito, ma ora sono convinta che si debba opporsi a questa ipotesi perché, nelle circostanze in cui ci troviamo, l’abolizione sarebbe soltanto una manovra finalizzata alla sepoltura dell’università pubblica. Mi dichiaro decisamente contraria all’abolizione del valore legale del titolo di laurea.
Maurizio Canavari
13 anni fa
Circa l’articolo a firma di Daniela Venanzi del 2 giugno, sul Sole 24-ore, giornale della Confindustria, rilevo che ci sono parecchie incongruenze. L’analisi di ciò che vorrebbe la legge è superficiale, e l’analisi di ciò che realmente provocherà lo è ancora di più. Questo, da punto di vista di un docente che vede l’evolversi della situazione da una posizione defilata, in una (ormai quasi ex) Facoltà abbastanza marginale e in un Dipartimento che era già poco omogeneo scientificamente.
Tanto per fare un esempio, per effetto della legge Gelmini (che richiederebbe omogeneità scientifica?) questo Dipartimento DEVE ampliarsi ulteriormente per rispettare i requisiti minimi in termini di docenti afferenti.
La scelta autoreferenziale dei docenti non sarà quella LOGICA di costituire un Dipartimento unitario che si faccia carico dei compiti prima assegnati alla Facoltà, ma di creare due Dipartimenti praticamente gemelli dal punto di vista scientifico che, dal punto di vista pratico, visto che la legge assegna ai Dipartimenti le competenze sulla didattica, risulterà nella duplicazione dell’attuale Facoltà. Tutto ciò, non per un ragionamento di opportunità scientifica o didattica o organizzativa, ma semplicemente perché alcuni gruppi piccoli hanno paura di essere sopraffatti da altri gruppi più grandi nella politica di sviluppo della struttura e nella ripartizione dei futuri posti di ricercatore e docente.
Complimenti per il risultato.
alessandra ciattini
13 anni fa
Purtroppo noi vecchi, che non abbiamo apprezzato la legge sull’autonomia per quello che avrebbe ed ha comportato, sapevamo che sarebbe finita così: abolizione del valore legale del titolo di studio, deregolamentazione del sistema universitario, abolizione dei concorsi, abolizione dello stato giuridico nazionale, aumento delle tasse universitarie, i cosiddetti prestiti d’onore. Il tutto per rendere i lavoratori completamente inermi nelle mani dei datori di lavoro, per trasformare i docenti (lavoratori anch’essi) in strumenti acritici della politica scientifica e culturale decisa da organismi in cui sono e saranno sempre più determinanti i portatori di interessi (i loro non i nostri). Dal mio punto di vista,la cosa più svonvolgente è l’atteggiamento passivo e conformista dei docenti universitari, che ancora una volta mostrano di non essere capaci di difendere neppure la loro dignità.
Utilizziamo i cookie per essere sicuri che tu possa avere la migliore esperienza sul nostro sito. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie.AcceptRead More
Privacy & Cookies Policy
Privacy Overview
This website uses cookies to improve your experience while you navigate through the website. Out of these, the cookies that are categorized as necessary are stored on your browser as they are essential for the working of basic functionalities of the website. We also use third-party cookies that help us analyze and understand how you use this website. These cookies will be stored in your browser only with your consent. You also have the option to opt-out of these cookies. But opting out of some of these cookies may affect your browsing experience.
Necessary cookies are absolutely essential for the website to function properly. This category only includes cookies that ensures basic functionalities and security features of the website. These cookies do not store any personal information.
Any cookies that may not be particularly necessary for the website to function and is used specifically to collect user personal data via analytics, ads, other embedded contents are termed as non-necessary cookies. It is mandatory to procure user consent prior to running these cookies on your website.
come risposta a Kostoris vorrei sottolineare che a mio avviso lo status qualitativo degli atenei e fra gli atenei DEVE essere minimo, ma con un significativo livellamento ai massimi livelli possibile. Le affermazioni della Kostoris sono una palese confessione di incapacità politica di gestire il fenomeno.
A proposito dell’intervento di Mannucci che sostiene come nell’università si debbano abolire tre cose e cioè” il valore legale del titolo di studio, i concorsi ed il posto fisso”, vorrei dire che tale panorama sarebbe il presupposto per la trasformazione degli atenei in dittature perfette, completamente nelle mani dei vertici universitari, il cui potere, allora diventerebbe incontrollabile, anche perchè fortemente implementato dalla influenza finanziaria dei “PRIVATI”, che avrebbero così acquistato un vivaio manageriale “A demande”.
per fare un esempio pratico, il valore legale del titolo è stato abolito “di fatto”, nella nomina dei Direttori Generali delle aziende sanitarie, per i quali è previsto solo che siano forniti di un diploma di laurea, qualunque essa sia. E come sappiamo, i DG, per la maggioranza dei casi adottano provvedimenti atti a conseguire il pareggio di bilancio e non la qualità delle prestazioni. La soluzione al problema delle università consiste nell’espletare concorsi “VERI” e non geneticamente modificati,valutare con spietatezza le capacità didattiche, di ricerca e ove previste, assistenziali,e fare in modo, che il valore di una laurea, quallunque essa sia, veda un riscontro qualitativo uniforme, da pantelleria a pordenone. Mi rendo conto che tale affermazione può sembrare utopica, ma non vedo alcun beneficio per l’università, nella sua trasformazione in una jungla di statuti, meccanismi di assunzione e retribuzione dei docenti. Tale fenomeno, trasformerebbe il confronto fra docenti per la copertura di una cattedra in un ateneo di serie A, in una lotta fra galli , lotta senza esclusione di colpi.E con l’ipotetica abolizione del posto fisso, la prestazione ed il futuro del docente sarebbe nelle mani di chi lo ha assunto e che potrebbe, se non fa il bravo, licenziarlo.
UNA TRUFFA ANTIDEMOCRATICA
L’abolizione del valore legale del titolo di studio è in Italia uno di quei temi che, lungo un percorso carsico, da alcuni decenni attraversano il dibattito politico emergendo di tanto in tanto, sempre rinforzati da un generico richiamo a Luigi Einaudi, senza mai essere sottoposti ad un reale e competente dibattito. E poiché ora il governo Monti, nella sua foga liberista non sempre bene indirizzata (ci vuole tanto a capire che il “pane fresco” la domenica toglierà il riposo domenicale a tutti i fornai, che per paura di perdere i clienti non potranno lasciare la postazione neppure quel giorno?), ha aperto la consultazione in materia, vedrò di spiegare perché, a mio giudizio, si tratta di una truffa antidemocratica.
1. A determinare il livello di un titolo di studio concorre innanzitutto il soggetto, con le sue maggiori o minori capacità e attitudini, con il suo maggiore o minore impegno e studio; e dall’altro lato, i giudizi di un certo numero di persone abilitate ad emetterli: una decina per qualsiasi diploma (gli insegnanti, con una valutazione sottoposta ad un “controllo etico” da parte della classe), una trentina per un titolo universitario (i titolari delle singole materie di studio ed esame). La valutazione finale (un 60 o 100 al diploma, un 66 o 110 alla laurea) è il risultato di un percorso di studi pluriennale sottoposto al giudizio di una pluralità di soggetti: e costituisce perciò una misura del merito individuale che in un’epoca di millantata “meritocrazia” non può essere ignorata al momento dell’immissione del soggetto nella realtà produttiva del paese. (E’ chiaro che mi riferisco esclusivamente al sistema della formazione pubblica: perché quella privata si esplica, con qualche lodevole eccezione, in centri di malaffare che qualsiasi autentico “liberista” dovrebbe cercare di sopprimere).
2. Togliere valore a questo parametro di giudizio, in linea di massima obiettivo, significa ricondurre le scelte unicamente al sistema di reclutamento: che comunque avvenga, offrirà sempre un minore sistema di garanzie. E non tanto nel mondo dell’imprenditoria privata, che ha tutto l’interesse a selezionare il personale in relazione alle sue esigenze, quanto piuttosto nel settore pubblico (penso alla scuola, alla magistratura, alla pubblica amministrazione): qui nel migliore dei casi una “commissione di concorso” opera per un breve periodo, è sovraccaricata da un immane lavoro, è “aperta” ad interventi esterni: raccomandazioni, posizione sociale della famiglia, intrusioni di “politici” e di sindacalisti. Per non dire dei molti casi in cui l’immissione nel lavoro dipende esclusivamente dall’arbitrio incontrollato di un potente, perlopiù “politico” disposto a concedere qualcosa ai sindacati e a non ignorare del tutto il ruolo delle mafie. A questo stato di cose la valutazione preventiva di un titolo differenziato oltre che specifico può porre un qualche rimedio.
3. In altri termini, non tenere conto di una differenziazione di base (il voto di diploma o di laurea, da valutare adeguatamente assieme agli altri elementi specifici) fondata sulle capacità individuali, su un sistema di valutazione prolungato nel tempo, sul tipo di formazione ricevuta, avrà effetti disastrosi perché finirà col vanificare ogni criterio di merito, col potenziare le ingiustizie, col moltiplicare le discriminazioni sociali. E sono certo che a sposare il provvedimento saranno in primo luogo le scuole e le università private di ogni ordine e grado.
E’ perciò interesse precipuo dei soggetti socialmente deboli, e di ogni sincero sostenitore della democrazia, opporsi in tutti i modi a questo provvedimento che si configura come una vera e propria truffa antidemocratica.
L’unica demagogia è pensare che il mercato sia la soluzione a tutti i mali e che intrinsecamente sia buono e favorevole verso i più bravi e meritevoli. In un mondo di accumulazione finanziaria vince chi è più forte e fa più profitto, tutto il resto è solo ideologia neoliberista.
Come al solito ci troviamo di fronte alla solita assura demagogia tutta italiana (socialista) che contraddistingue il nostro paese, non facendogli più fare passi in avanti in senso di libertà lavorative e d’impresa.
Gli italiani come al solito non comprendono le capacità del libero mercato, della possibilità che esso da a ciascuno di realizzarsi. Credono ancora nel posto fisso, nella “garanzia” che lo stato deve dare nei confronti di qualcuno, magari raccomandato. Insomma, non capiscono che è proprio il mercato a dare questa garanzia, se è bravo ha i suoi clienti, indipendentemente dal pezzo di carta. La garanzia la da il feedback positivo (o negativo) del mercato. Altro che l’uva che è acerba, come il commento precendente, qui c’è tanta gente incompetente che lavora solo perchè un pezzo di carta la autorizza. nel libero mercato chi non è bravo, indipendentemente dai pezzi di carta, non lo vuole nessuno.
A questo punto le università, non più leggittimate nei loropezzi di carta, saranno costrette se volgiono iscritti a fornire veramente un servizio decoroso, che offra insomma un vero valore aggiunto al cliente, altrimenti se rimane come ora esse non hanno questo obbligo, si limitano a insegnare il minimo indispensabile,non esiste concorrenza tra di esse, ed i baroni rimangono al loro psto perchè la loro performance lavorativa nelle università non è fondamnetale perchè non esiste la concorrenza e gli iscritti tanto ci saranno sempre lo stesso, perchè ciò che serve non è la conoscenza nel mondo d’oggi, ma il pezzo di carta.
Il problema degli italiani è che si fidano troppo del pubblico e poco di loro stessi, demandano troppo allo stato, uno stato fatto di burocrati parassiti, clientelismi, raccomandati. Invece di fare come nei paesi che la sanno più lunga di noi ci limitiamo a fare i conservatori ed a vedere i privati come i potenti di confindustria. I privati siamo tutti noi, chiunque potrebbe aprire una forma di università, ed in assenza di legalità dei titoli di studio qualsiasi forma di insegnamento privato sarebbe possibile. Da un piccolo apaprtamento ad insegnamenti On-Line anche gratuiti, anche senza scopo di lucro ma solo per volontà di diffondere la cultura. Ci sarebbe una diffusione della cultura non più emanata solo da baroni universitari.
E poi basta col criticare il privato perchè fa quello che vuole, che c’è di male nel fare quello che si vuole? Quanli regole per forza dobbiamo rispettare? Siamo o non siamo liberi? Arriavano o no dal privato le menti più grandi negli ultimi anni?
Si discute alla morte di Steve Jobs se mai in italia avrebbe potuto realizzarsi come in america. La verità è no!
[…] v. anche Messaggio ANDU del 3 giugno 2011 “Valore legale dei titoli al Senato: abolirlo, attenuarlo o […]
Il valore legale del titolo di studio, secondo me , và salvato per i seguenti motivi:
1) garantisce, almeno sulla carta, la professionalità di chi lo ha ottenuto (chi si fiderebbe di un medico o di un ingegnere “esperti” non certificati (senza titolo di studio conseguito presso l’università)e affiderebbe la propria salute e la sua sicurezza ad un pinco pallino qualsiasi?
2)L’abolizione del titolo di studio favorisce solo coloro che, non avendo raggiunto l'”uva” dicono che è acerba.La possibilità di lavorare da professionista in ambito pubblico deve essere supportata da titolo pubblico conseguito in università pubbliche o riconosciute tali.
3)Nel privato ognuno può fare quello che vuole, qualunque “trota di allevamento” può essere confusa e presentata per pesce raro ed eccezionale,la cosa importante è che tali privati non devono accedere a fondi pubblici con i quali strapagare “dirigenti” da loro nominati e scelti tra amici e parenti.
4)In ambito pubblico per avere risultati eccellenti bisogna( pagandoli bene) scegliere i migliori laureati segnalati dalle università e selezionati attraverso concorsi seri.
5)Infine auspico l’introduzione di una forma aggiornamento dei titoli conseguiti che, se non opportunamente supportati da ulteriori certificazioni di competenze a carattere almeno triennale,scadrebbero.
Sono sempre stata dell’idea che il valore legale del titolo potesse essere abolito, ma ora sono convinta che si debba opporsi a questa ipotesi perché, nelle circostanze in cui ci troviamo, l’abolizione sarebbe soltanto una manovra finalizzata alla sepoltura dell’università pubblica. Mi dichiaro decisamente contraria all’abolizione del valore legale del titolo di laurea.
Circa l’articolo a firma di Daniela Venanzi del 2 giugno, sul Sole 24-ore, giornale della Confindustria, rilevo che ci sono parecchie incongruenze. L’analisi di ciò che vorrebbe la legge è superficiale, e l’analisi di ciò che realmente provocherà lo è ancora di più. Questo, da punto di vista di un docente che vede l’evolversi della situazione da una posizione defilata, in una (ormai quasi ex) Facoltà abbastanza marginale e in un Dipartimento che era già poco omogeneo scientificamente.
Tanto per fare un esempio, per effetto della legge Gelmini (che richiederebbe omogeneità scientifica?) questo Dipartimento DEVE ampliarsi ulteriormente per rispettare i requisiti minimi in termini di docenti afferenti.
La scelta autoreferenziale dei docenti non sarà quella LOGICA di costituire un Dipartimento unitario che si faccia carico dei compiti prima assegnati alla Facoltà, ma di creare due Dipartimenti praticamente gemelli dal punto di vista scientifico che, dal punto di vista pratico, visto che la legge assegna ai Dipartimenti le competenze sulla didattica, risulterà nella duplicazione dell’attuale Facoltà. Tutto ciò, non per un ragionamento di opportunità scientifica o didattica o organizzativa, ma semplicemente perché alcuni gruppi piccoli hanno paura di essere sopraffatti da altri gruppi più grandi nella politica di sviluppo della struttura e nella ripartizione dei futuri posti di ricercatore e docente.
Complimenti per il risultato.
Purtroppo noi vecchi, che non abbiamo apprezzato la legge sull’autonomia per quello che avrebbe ed ha comportato, sapevamo che sarebbe finita così: abolizione del valore legale del titolo di studio, deregolamentazione del sistema universitario, abolizione dei concorsi, abolizione dello stato giuridico nazionale, aumento delle tasse universitarie, i cosiddetti prestiti d’onore. Il tutto per rendere i lavoratori completamente inermi nelle mani dei datori di lavoro, per trasformare i docenti (lavoratori anch’essi) in strumenti acritici della politica scientifica e culturale decisa da organismi in cui sono e saranno sempre più determinanti i portatori di interessi (i loro non i nostri). Dal mio punto di vista,la cosa più svonvolgente è l’atteggiamento passivo e conformista dei docenti universitari, che ancora una volta mostrano di non essere capaci di difendere neppure la loro dignità.