Un gruppo di professori dell’Università di Palermo è intervenuto con una lettera aperta al Rettore ed al Senato Accademico dichiarandosi contrario ad alcune modifiche dello Statuto dell’Ateneo intese ad elevare la durata di alcune cariche accademiche estendendone la validità anche retroattivamente. I sottoscrittori della lettera precisano che essa è stata inviata al Rettore per renderla nota anche ai componenti del Senato prima della seduta che avrebbe dovuto approvare le modifiche contestate.
Su richiesta dei sottoscrittori della lettera ne rendiamo noto il testo integrale, precisando che il Senato Accademico non ha tenuto conto dell’istanza ed ha approvato le modifiche statutarie oggetto della contestazione.
Interrogazione sul tema presentata in Commissione dal deputato Alessandra Siragusa il 19 aprile 2010
LETTERA APERTA
I sottoscritti, alla vigilia della seduta del Senato Accademico ove all’Ordine del giorno si riporta Approvazione modifiche di statuto, prospettano la necessità che le cariche accademiche in atto vigenti si mantengano per la durata prevista all’atto delle loro elezioni, essendo esclusa la possibilità di proroga di cariche pubbliche elettive, come dispone la sentenza della Corte Costituzionale n. 208 del 4 maggio 1992. Alla luce di queste considerazioni, destano preoccupazione e perplessità le proposte di modifiche statutarie, soprattutto quelle aventi carattere transitorio, che oggettivamente si pongono in violazione dei principi enunciati dalla Corte Costituzionale, così compromettendo la legittimità delle modifiche stesse.
I sottoscritti invitano pertanto il Magnifico Rettore ed il Senato Accademico a soprassedere all’approvazione delle modifiche e ad avviare un dibattito sul nuovo assetto statutario, anche su punti diversi da quelli legati alla durata delle cariche, nell’inderogabile rispetto dei principi di legalità di cui sopra.
Carlo Argiroffi, Mario Aricò, Aldo Brigaglia, Paolo Colombo, Mario di Paola, Francesco di Quarto, Antonio Maria Greco, Franco Lo Piparo, Dario Luzio, Renato Noto, Francesco Maria Raimondo, Antonio Restivo, Santi Rizzo, Marco Sammartino, Mario Serio, Settimo Termini
Franco Lo Piparo
Il comportamento del Rettore non lo capisco. Sono tra i pochissimi elettori che non lo hanno votato. E però non ho problemi a dire a voce alta che alle prossime elezioni, se avessero la bontà di farci votare, quasi sicuramente aggiungerei il mio voto a quello degli altri. Non lo farei per conformismo o per salire sul carro del vincitore. Figuratevi. Che Lagalla fosse il vincitore era chiaro da subito e, quando l’esito della votazione era chiaro a tutti, fui anche sollecitato a firmare un manifesto di cosiddetti pentiti dell’ultima ora. Un’occasione d’oro per saltare in tempo utile sul carro in corsa del vincitore.
Quindi lasciamo perdere questi argomenti. Voterei adesso Lagalla perché ritengo che nell’insieme stia governando bene questo difficile momento della nostra Università. Onore al merito.
Faccio questa lunga premessa per dire con convinzione che l’impegno profuso dal Rettore in merito alla modifica dello statuto che consenta alle tre cariche apicali dell’Ateneo (rettore, presidi, direttori di dipartimento) il prolungamento, in corso d’opera, della carica da tre a cinque anni, naturalmente non rinnovabili, non lo capisco. Enumero qui le ragioni del mio non capire e del mio dissenso.
1. Correttezza formale e sostanziale vorrebbe che modifiche di questo tipo siano valide a partire dai successivi mandati. Anche se non sono un giurista (ma trovo convincente l’analisi del collega Serio) non credo proprio che un Parlamento possa votare una legge che gli consenta di dilatare il proprio mandato di alcuni anni. Potrebbe naturalmente votare una legge in tal senso che sia valida a partire dalle successive elezioni. Mi sembra lapalassiano e non capisco perché non lo sia altrettanto per un uomo intelligente come Lagalla.
2. Ci saranno altri motivi? Continuo a non raccapezzarmi lo stesso. Se Lagalla si ripresenta alla prossima scadenza elettorale sarà con certezza matematica eletto al primo turno a grande maggioranza. Escluderei quindi questa spiegazione.
3. Si dice in giro che nei prossimi anni attendono Lagalla importanti incarichi politici. Non ho nessun modo di verificare queste dicerie. Ammettiamo che le voci siano vere. E allora? È necessario ricorrere a una modifica di statuto? Esiste l’istituto delle dimissioni, in questo caso tra l’altro per nobili motivi. Forse che il nostro Rettore ignora di avere in mano questa importante carta? Ogni persona ragionevole lo escluderebbe.
4. Altro argomento che mi capita di sentire: un Rettore che sa che governerà per cinque anni senza possibilità di essere rieletto sarà più libero e meno condizionato di un Rettore che dopo tre anni dovrà sottomettersi al giudizio degli elettori. È un argomento che, oltre ad essere fragile, non fa molto onore a chi è stato Rettore e ai Rettori in carica. Sono fermanente convinto (l’ho sperimentato più volte sulla mia pelle) che si è liberi da condizionamenti solo e solo se si vuole essere liberi da condizionamenti. I condizionamenti, grazie a Dio e per fortuna, non mancano mai e non è detto che siano sempre cattivi condizionamenti. E, poi, a un argomento capzioso consentitemi di opporre un argomento altrettanto sofistico: un Rettore che voglia fare, legittimamente, della propria carica un trampolino di lancio per altre carriere che grado di libertà potrà mai avere? Dovendo scegliere tra un condizionamento interno (proveniente dal territorio che si governa) e uno esterno (proveniente da poteri che stanno fuori dal territorio che si governa) molti di noi preferiscono il primo.
5. Il Rettore ha ricordato che questa modifica di statuto si trova nel suo programma elettorale. Vero. Ma era una modifica da proporre per il dopo non per il durante. Almeno così molti abbiamo capito.
6. Prendo comunque atto che Lagalla aveva nel programma elettorale l’estensione della carica di Rettore da tre a cinque anni. E i presidi? E i direttori di dipartimento? Che c’entrano loro con gli impegni elettorali del Rettore in carica? Chi ha eletto presidi e direttori sapeva che stava dando un voto a un preside e un direttore che sarebbero stati in carica tre anni. Quest’ultimo è il punto scandaloso della questione.
Che vantaggi l’Ateneo trarrebbe da un preside e un direttore che senza verifica elettorale intermedia regni sovrano per cinque anni? Cinque anni ininterrotti sono tanti. Presidi e direttori svolgono il lavoro, modesto ma fondamentale, di coordinare attività e energie intellettuali di colleghi. È giusto che se non sono stati all’altezza del loro compito dopo tre anni lascino spazio ad altri. Un preside o un direttore che sa che starà in carica cinque lunghi anni cambia status: da coordinatore diventa monarca con la tentazione di ubriacarsi del proprio modesto potere. E non si sente nessun bisogno di presidi e direttori monarchi ubriachi di potere. (Per evitare fraintendimenti e doppie letture di quello che sto dicendo, ricordo a chi non lo sapesse che sono attualmente direttore di un dipartimento e non rientra nei miei attuali progetti di vita candidarmi a preside della mia facoltà).
Mi permetto di dare due consigli al Rettore. (a) Faccia cadere l’estensione ai presidi e ai direttori della carica da tre a cinque anni. (b) Faccia valere la modifica di statuto solo per il Rettore ma a partire dal prossimo mandato.
Franco Lo Piparo
È alquanto inconsueto che si scriva un commento ad una lettera alla cui scrittura si è partecipato e che si è sottoscritta. Ma il silenzio assordante con cui la comunità universitaria ha reagito mi ha fatto riflettere a lungo. Mi sono chiesto perchè tanto silenzio e forse ho capito. Il fatto è che la lettera aperta e fuori dal tempo, anzi meglio, non coglie lo spirito dei tempi che viviamo. Si parla semplicemente di elementari regole di democrazia. Illusi i colleghi che con me hanno sottoscritto. Chi volete che si peroccupi della democrazia oggi? Ho sempre pensato che se quattro anni bastono per il Presidente degli Stati Uniti d’America, forse potevano bastare anche per una università medio grande. Via, non scherziamo. E poi il significato del rinnovo del mandato è stato illustrato da par suo da Mario Serio in un precedente commento. Mi si dice che il nostro Rettore durante la campagna elettorale, che lo ha visto eletto con un largo plebiscito, aveva chiaramente detto che riteneva insufficienti quattro anni e che avrebbe proposto di modificare per Statuto la durata del mandato a cinque. È vero. Per quel che può valere, non ero d’accordo allora e non lo sono ora. E poi, quando si cambiano le regole, se ci sono di mezzo mandati elettorali, di solito si azzera e si verifica o si rinvia l’applicazione alla naturale scadenza dei mandati in corso. Il Rettore è stato eletto per quattro anni e non per cinque. Comunque per il Rettore transeat. Ed i Presidi? Che c’entrano i Presidi. E come c’entrano! Sono ben dodici su ventiquattro componenti il Senato Accademico, se si escudono il Rettore, il Pro Rettore ed il Direttore Amministrativo. Che vogliamo, bisogna andare d’accordo, bisogna avere la maggioranza e poi c’è l’emergenza. L’EMERGENZA! Quante cose si stanno facendo in suo nome. Basta guardare ciò che succede in Italia e si capisce tutto. Dall’emergenza si può uscire in vari modi. Si può ad esempio rimboccarsi le maniche, fare sacrifici, lavorare da pazzi, rinunciare a tante piccole cose e alla fine, prima o poi, si torna alla normalità più motivati e più forti di prima. Ma l’emergenza può anche essere uno strumento per cambiare le istituzioni, sfigurandone l’essenza, e alla fine quando dall’emergenza si esce, l’oggetto che si voleva sanare, non esiste più o è diventato un’altra cosa. Questo sta prevalendo in Italia ai più alti livelli istituzionali, ed ora anche l’università c’è dentro. Può succedere, se non è già di fatto accaduto, che si passi dall’Università dello Stato liberale post illuminismo, libera sede della trasmissione critica del sapere, all’antica Università del Principe. Si tratterebbe proprio di un’altra cosa, anche se molti benpensanti forse neppure se ne accorgerebbero.
E torniamo a Palermo. Il rettore in campagna elettorale si era anche impegnato a cambiare lo Statuto sulla composizione del senato Accademico, non sulla durata. Ed su questo eravamo d’accordo in tanti. Un Senato che, a parte il macigno di dodici Presidi, è ancora costituito con rappresentanze quasi di tipo corporativo, i rappresentanti degli ordinari, degli associati e così via per categorie e dove la ricerca in quanto tale, cioè i dipartimenti, non trova luuogo formale alcuno, è veramente impresentabile. Era ben più importante muovere da queste modifiche. Ma quando mai! Sono passati anni ed aspettiamo, perchè non si è mai detto che non si vogliono fare, semplicemente non si fanno ancora. Si faranno? Aspettiamo, con la speranza di alcuni che ci pensi a modo suo Sua Eccellenza la Ministra Gelmini. I Presidi però, senza un minimo senso dello humor, si sono autocongelati subito. Bravi! Dicono che la situazione è grave, la famosa emergenza, e che non si può perdere tempo con campagne elettorali ed elezioni. Tutto questo dramma non riesco proprio a capirlo. Sono quaranta anni che vedo elezioni di cariche accademiche, e se si escludono quelle del Rettore, durante le quali grazie a Dio qualche dibattito si riesce a fare, tutte le altre scivolano assolutamente indolori, forse troppo. Perchè i costi della democrazia sono sacri e di questi fanno parte essenziale i momenti di dialettica e confronto. Ma oggi c’è l’emergenza e perciò i costi della democrazia sono diventati insostenibili. Ma la democrazia, senza pagarla, non c’è. Pensiamoci. E torniamo all’assordante silenzio. Ad oggi, dopo quattro giorni dalla pubblicizzazione della lettera aperta, soltanto quattro senatori hanno commentato solo per dire che non ne erano a conoscenza. Mi sono chiesto, e continuo a chiedermi, perchè su più di duemila docenti, fin qui nessuno ha sentito l’esigenza di dire qualcosa nel merito. Credo che tutto, più o meno, possa riassumersi in tre parole:
conformismo, acquiescenza, indifferenza.
Conformismo. È un comportamento naturale. Direi quasi biologico. L’uomo è un animale sociale, vive in branco, e la sopravvivenza delle specie è anche legata ad un tasso rilevante di conformismo. Quando si esplica all’interno di regole va bene, quando invece diventa riflesso di adattamento alla forza succedono i guai. In questo Paese in un tempo non molto lontano più del 95% della popolazione è stata convintamente fascista. Non aggiungo altro.
Acquiescenza. È umano cercare il quieto vivere, in molti casi traendone pure qualche personale convenienza. Et de hoc satis.
Indifferenza. È finta o sciocca. Colui che dice io non ho niente da spartire con costoro mentre gli stanno cambiando il mondo, o ha paura, umanamente comprensibile, o non ha capito nulla.
Ringrazio coloro che con me hanno sottoscritto la lettera aperta, dando così soddisfazione a quel minimo di conformismo di cui ho bisogno ovviamente anche io, e voglio concludere con l’auspicio, ma senza illusione, che fra i più di duemila docenti di Palermo ci sia ancora qualcuno che voglia intervenire anche per dire che ho scritto un mucchio di stupidaggini. Magari!
Antonio Maria Greco
Incredibile ma vero è l’inizio della dittatura in nome della democrazia . lo statuto Universitario che pone le basi delle regole dell’autogoverno dell’Università perchè possa essere cambiato occore una costituente con partecipazione di tutte le componenti democratiche che vivono la vità sociale dell’ateneo.
Il Mandato del rettore è unico con la durata di sei anni con la sottoscrizione di un progetto approvato dalla costituente, e garanzia della minoranza.(in questa maniera è libero dai condizionamenti)
Naturalmente occore definire i poteri del rettore(rappresentanza ?).
Le commissioni elette democraticamente con la partecipazione di tutte le componenti,provvedono ad affiancare e condividere i poteri rettoriali in un perfetto equilibrio .
fose così si può immaginare una governace più vicina alle esigenze di domocrazia diretta che pervade gli atenei.
In merito all’articolo “Lettera aperta” di 16 ordinari contro la proroga delle cariche accademiche” pubblicato domenica 25 aprile 2010 i sottoscritti Ada Maria Florena, Giuseppina Campisi, Enrico Napoli e Daniela Piazzese, rappresentanti dei docenti e dei ricercatori in Senato desiderano precisare che durante i lavori del Senato Accademico del giorno 29 aprile 2010, in cui si sono approvate a maggioranza le modifiche statutarie oggetto della contestazione, nessuna lettera è stata resa nota ai componenti del Senato, perché ne potesse tenere conto durante la discussione.
Cordialmente
Ada Maria Florena, Giuseppina Campisi, Enrico Napoli, Daniela Piazzese
Mi dispiace rilevare che, nel momento in cui per la prima volta si procede ad un profondo riassestamento della “Governance” di Ateneo in cui vengono modificati profondamente i rapporti fra i vari organi e fra i vari rappresentanti politici negli stessi, non si sia ritenuto opportuno procedere a tali modifiche avviando un ampio e pubblico dibattito sui motivi e sugli obiettivi da conseguire con tali innovazioni statutarie. E’ motivo di maggiore rammarico che alcune innovazioni riguardanti le durate delle cariche elettive siano state proposte con procedura di dubbia legittimità politica ed istituzionale.
Al fine di rendere chiari i motivi che mi hanno personalmente portato a condividere la lettera aperta pubblicata sul sito ANDU, e su cui mi parrebbe opportuno conoscere le opinioni del maggior numero possibile di colleghi docenti, mi pare opportuno dichiarare che personalmente, sin da tempi non sospetti (Senato Accademico Integrato), ho sostenuto e sostengo che la figura apicale dell’Ateneo il Magnifico Rettore dovesse avere a disposizione un tempo sufficientemente lungo (cinque anni) non ripetibile per portare a compimento il programma su cui aveva chiesto la fiducia elettorale. Non credo di dire nulla di nuovo se affermo che i condizionamenti sul Rettore in cerca di una seconda nomina (e in qualche caso una terza !) siano stati nel passato una delle cause di cattiva gestione del nostro come di molti altri Atenei.
Alla luce della esperienza piu’ che quarantennale all’interno della Università non credo di essere lontano dal vero se immagino che i condizionamenti piu’ forti sull’operato dei passati Rettori sono da addebitare ai Senatori accademici e specificamente alla componente dei Presidi di Facolta’ i quali per la modalità di elezione e partecipazione all’organo di gestione non possono che essere portatori di interessi particolari (nel migliore dei casi di Facolta’).
La scelta di allungare solo il mandato rettorale credo che avrebbe potuto attenuare moltissimo questi condizionamenti, se il Rettore restava l’unica carica non rieleggibile e a mandato allungato. La scelta operata dal Senato Accademico di allungare anche nei confronti dei presidi la durata del mandato di fatto lascia invariate le condizioni di cui sopra che hanno portato alla attuale situazione.
Inoltre mi pare che si sia verificato un vulnus notevole nei confronti degli altri Senatori accademici di nomina elettorale. Questi ultimi, se passano le attuali proposte di modifica, sperimenteranno una “deminutio”, nella loro funzione di rappresentanza di esigenze di ateneo e del corpo elettorale, che li porterà nei fatti ad essere politicamente condizionabili (absit iniuria verbis) dai presidi delle facoltà a cui appartengono per motivi abbastanza ovvii. Non è trascurabile poi il fatto che un senatore accademico eletto a suffragio “universale” con un numero di consensi magari di gran lunga più alto di alcuni dei presidi membri di diritto si vedra’ posto, obiettivamente, in una condizione di minorità politica rispetto al preside espressione, magari, di un corpo elettorale piu’ ristretto. Questi soli motivi a me apparivano già sufficienti a motivare un chiaro no, alle modifiche proposte, da parte della componente elettiva in Senato. Spero che i rappresentanti in Senato spieghino ai loro elettori perché hanno ritenuto opportuno subire la “deminutio” di cui sopra.
Come menzionato nella lettera, infine, il modo in cui si è provveduto ad allungare il mandato dei presidi in scadenza o a giustificare il rinvio “sine die” dell’indizione dei comizi elettorali pone preoccupanti problemi di “salute democratica” all’interno della nostra istituzione. L’idea, espressa nel documento sulle proposte di modifica, che la breve campagna elettorale per il rinnovo della carica di Preside possa procurare turbamenti alla vita dell’Ateneo credo si commenti da sola e francamente lascia molto perplessi anche chi come il sottoscritto ha pubblicamente sostenuto che solo il Rettore poteva essere politicamente esentato da una seconda prova elettorale avendone fatto argomento di dibattito durante la campagna elettorale.
Spero che molti altri colleghi vorranno motivare pubblicamente il motivo della loro adesione a questa procedura di profondo cambiamento della Governance di Ateneo e che gli organismi istituzionali che hanno approvato le modifiche faranno conoscere a tutti noi elettori le ragioni che li hanno portati ad aderire a queste proposte di modifica dello Statuto vigente.
Lo spirito della lettera è, al tempo stesso, costruttivo – in quanto rivolta a suscitare lo scambio più ampio possibile di opinioni – e illustrativo del contesto nel quale la vicenda delle modifiche statutarie si svolge.
Nella lettera non si fa questione – ma si auspica che la questione venga discussa tra tutti i destinatari delle disposizioni di cui si tratta – della più opportuna durata delle cariche elettive e non si disconosce un possibile fondamento di razionalità nella previsione di periodi diversi in relazione a cariche diverse, soprattutto se di governo generale dell’Ateneo.
Il punto sollevato è che, sia in termini di democrazia diretta che di regole formali, nessuna carica può avere durata ultrattiva e cioè espandersi per un periodo di tempo eccedente quello previsto dalle disposizioni rilevanti al momento in cui l’elezione stessa avviene.
In altri termini, a nessun elettore si può chiedere di rinunciare, alla scadenza della carica, al proprio diritto di esprimere la valutazione circa il modo in cui l’eletto ha esercitato il proprio ufficio. Privarlo, in pratica, di questo diritto imponendogli la permanenza in carica dell’eletto per un periodo superiore a quello noto e da lui previsto implica una notevole ed irreparabile lesione ai principi di democrazia che presiedono al governo degli organi accademici. Tanto più evidente è la lesione in quanto il meccanismo che si vorrebbe introdurre con le modifiche statutarie costringe l’elettore che sia in dubbio sulla proroga della durata della carica dell’eletto ad esporsi – in perfetta violazione del fondamentale diritto di segretezza delle proprie opinioni di voto – chiedendo che si svolgano ulteriori elezioni al fine di scongiurare la proroga automatica.
Si tratta di misura che aggrava la lesione, di oscura origine, capace di gettare un’ombra anche sulle migliori delle possibili intenzioni che l’hanno ispirata ed ingiustificatamente punitiva in quanto subordina, addirittura, la effettiva celebrazione delle elezioni ad una richiesta formulata dalla maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto.
Ma anche dal punto di vista del rispetto delle regole formali – in particolare di quelle tramandate dall’insegnamento della Corte Costituzionale – le modifiche statutarie segnalano la rottura della cornice normativa, in quanto rendono di fatto obbligatoria e meccanica la proroga delle cariche che, in linea generale, è esclusa ovvero circoscritta a gravi e specificamente enunciate ragioni ed è, in ogni caso, limitata in modo certo nel tempo.
Nessuno di questi indeclinabili requisiti sembra accompagnare le modifiche statutarie. Anzi, la loro portata, che qui si critica, è ulteriormente aggravata dalla deliberazione del Senato Accademico con cui vengono perfino sospesi i comizi elettorali obbligatoriamente da convocarsi, per statuto vigente, in prossimità della scadenza della cariche.
Ora, a prescindere dalla ovvia improprietà di una modificazione statutaria operata con procedimento ordinario e, per di più, con una disposizione di rango inferiore, non può sfuggire che la sospensione dei comizi elettorali rappresenta un costo intollerabile in democrazia e, per la straordinaria serietà delle sue conseguenze, rischia di compromettere in modo irreversibile l’armonia ed l’identico sentire su cui si deve reggere la comunità accademica.
Contro questo rischio, anzi con il dichiarato scopo di prevenirne la verificazione e di risvegliare il senso della comunità e del fondamentale rispetto delle regole, è stata pensata e scritta la lettera aperta.
Rifugge da essa qualunque intento irriguardoso, polemico, o surrettizio: non è un documento che preluda alla richiesta di un cambio di guardia ma semplicemente alla richiesta della verifica rigorosa e democratica della sussistenza dei presupposti per il mantenimento in carica della guardia esistente.
I sottoscrittori non hanno nulla da perdere o da guadagnare tuttavia: sarebbero mancati, individualmente e collettivamente, al proprio dovere di contribuire alla vita ordinata, legittima e di partecipazione democratica alla vita della comunità se non l’avessero scritta. In questo spirito, né avversario né ostile agli organi di governo, ma non rinunciatario né opportunistico, né conformistico, i sottoscrittori sperano che venga conseguito il più importante dei risultati affidati alla lettera stessa: che si esprimano in forma libera ed incondizionata le voci di tutti gli appartenenti alla comunità accademica palermitana. Quelli toccati, peraltro, costituiscono solo una quota dei problemi che toccano la nostra università e che tocca ciascuno di noi contribuire a risolvere.
Sarebbe un errore inescusabile se quest’opera venisse frustrata dal deterioramento del clima determinato da modifiche statutarie che non tengano conto di principi, regole ed aspettative.
Con molta cordialità,
Mario Serio