= Segnaliamo l’articolo di Anna Maria Sersale sul Messaggero del 12 marzo 2010 che fa il punto sul DDL, riportando anche le posizioni dell’ANDU.
AGGIORNAMENTO del 23.3.10: Il Relatore del DDL, sen Giuseppe Valditara, ci ha segnalato una imprecisione nel documento (v. al paragrafo “3. La ‘nuova’ docenza” al punto 2) quando si attribusce a un suo emendamento (rt. 5-bis, comma 1) l’introduzione per i ricercatori di un orario minimo di attività didattica. In realtà tale minimo era già presente, in maniera ‘contorta’, nel testo governativo (art. 5, comma 4, let. c).
AGGIORNAMENTO del 26.3.10: il Ministro Gelmini, alla fine della sua intervista al Sole 24-ore del 26.3.10, dichiara: “Se si vuole solo tutelare i baroni invece la riforma è meglio non votarla”. Evidentemente il Ministro non ha avuto ancora modo di leggere la (non) sua riforma: appena la leggerà certamente non avrà difficoltà a comprendere che “è meglio non votarla”.
AGGIORNAMENTO del 30.3.10: segnaliamo l’intervento di Dario Antiseri, sul Corriere della Sera del 29.3.10, che commenta le posizioni della Confindustria sulla ‘governance’. Non condividiamo l’entusiasmo di Antiseri per l’abilitazione nazionale e il reclutamento locale (una inutile ‘libera docenza’ nazionale e il rafforzamento dell’arbitrio locale). Ancor meno condividiamo la sua richiesta di “lasciare la più ampia autonomia alle Università”, che si tradurrebbe in una maggiore autonomia di quelle oligarchie che hanno portato gli Atenei al dissesto. Condividiamo invece la critica di Dario Antiseri all””eccessivo potere concesso ai Rettori”, all'”esorbitante potere concesso al Consiglio di amministrazione” e alla presenza in esso degli ‘esterni’. Presenza che invece “il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ritiene vada aumentata auspicando che “la maggioranza dei membri del C.d.a. non provenga dai ruoli dell’Ateneo, elevando l’attuale soglia minima del quaranta per cento.” Una incredibile e gravissima ‘intromissione’ da parte di un’Istituzione che non dovrebbe avere interesse a trasformare gli Atenei in ASL lottizate dai poteri forti accademico-politico-confindustriali. Una presenza quella degli ‘esterni’ che, diversamente da quanto proposto da Antiseri, non va accetatta nemmeno in cambio di “quote di denaro”. Gli ‘esterni’, come previsto dallo Statuto di Camerino, potrebbero utilmente dare il loro contributo in un Organo consultivo.
AGGIORNAMENTO del 6.4.10: dopo l’intervento di Dario Antiseri sul Corriere della Sera (v. sopra) che, a differenza del PD (v. dichiarazione), criticava le posizioni della Confindustria sulla ‘governance’, sono seguiti l’articolo di Dario Fertilio “Se il profitto conquista l’Università” del 3 aprile 2010 e la lettera di Alberto Burgio “Università, ricerca e mercati” del 6 aprile 2010. Sulla stessa questione l’intervento di Massimo Egidi e Fabio Pammolli “L’università alla prova della governance” sul Sole 24-ore del 6 aprile 2010. Invitiamo a leggere l’interessante intervento di Fulvio Vassallo Paleologo che fa il ‘punto’ sul DDL.
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Abbiamo già commentato i contenuti del DDL sull’Università presentato dal Governo (‘governance’ e docenza) e del DDL del PD. Alla luce degli emendamenti presentati dal Relatore i contenuti del DDL governativo sono ulteriormente peggiorati, come risulta dall’analisi che segue.
Considerando anche gli emendamenti presentati dal PD e dall’IDV, risultano ancora più evidenti la natura e le finalità dell’operazione bipartisan in corso in Parlamento: scardinare e confiscare il Sistema nazionale delle Università statali, assegnando a una ristretta oligarchia nazionale la gestione delle risorse pubbliche e alle oligarchie locali la gestione degli Atenei.
Contro questo progetto di distruzione dell’Università statale occorre opporsi in tempo, contrapponendovi un progetto di riforma democratica. L’ANDU da tempo propone una piattaforma, alternativa a quella della lobby accademico-politico-confindustriale, che più sotto si richiama.
1. IL COMMISSARIAMENTO DEL SISTEMA NAZIONALE CON l’ANVUR E IL MINISTERO
– Emendamento del Relatore all’art. 1, comma 2: il Ministero deciderà quali Atenei potranno “derogare alle norme previste in tema di organizzazione, reclutamento e stato giuridico”.
– Art. 5-bis del Relatore, comma 4: “Nel caso in cui la valutazione effettuata dall’ANVUR ai sensi del comma 3 sia negativa, i professori e i ricercatori sono esclusi dalle commissioni di abilitazione, selezione e promozione del personale accademico, di esame di Stato, nonché dagli organi di valutazione dei progetti di ricerca.” In tal modo si attribuisce all’ANVUR un potere improprio e immenso: valutare i singoli docenti. Un potere che nemmeno in UK (modello degli aziendalisti-statalisti nostrani) sono arrivati a prevedere per una struttura che in Italia con molta probabilità sarà una ‘grande’ ASL nazionale lottizzata dal potere accademico-politico-confindustriale, visti i ‘precedenti’ della costituzione dell’IIT di Genova, del SUM di Firenze e dell’IMT di Lucca.
‘Naturalmente’ né il DDL governativo né alcuno degli emendamenti presentati prevedono la costituzione di un nuovo e unico Organo nazionale di autogoverno, che rappresenti e coordini le Università e difenda l’autonomia del Sistema nazionale degli Atenei dai poteri forti accademico-politico-confindustriali. Un Organo composto da rappresentanti di tutte le componenti universitarie (docenti, tecnico-amministrativi, studenti), eletti in maniera diretta, non corporativa e non frammentaria.
2. LA NUOVA ‘GOVERNANCE’ DEGLI ATENEI
L’obiettivo principale del DDL e’ quello di azzerare la partecipazione democratica nella gestione degli Atenei, trasformandoli in aziende simili alle ASL.
L’Organo ‘costituente’ del Rettore
Art.2 comma 6: saranno di fatto gli attuali Rettori a modificare gli Statuti per adeguarli alla nuova Legge. Infatti le modifiche saranno predisposte da un organo presieduto dal Rettore e nominato da SA e CdA, entrambi presieduti dal Rettore, e approvate dagli stessi SA e CdA. Il Rettore, il SA e il CdA resteranno in carica fino alla costituzione dei nuovi Organi (art. 2 comma 10) e, grazie ad un emendamento del Relatore, molti Rettori anche oltre: il ‘vecchio’ Rettore, di fatto, decide i nuovi poteri del ‘nuovo’ Rettore, che in molti casi sarà lui stesso anche per diversi anni.
Insomma, per essere certi della ‘corretta’ applicazione della controriforma, si prevede che a predisporre e approvare il nuovo Statuto siano Organi presieduti (‘egemonizzati’) dal Rettore in carica, invece di prevedere la formazione di un Organo costituente di Ateneo (composto solo da rappresentanze paritetiche direttamente elette da ordinari, associati, ricercatori, tecnico-amministrativi e studenti); un Organo indispensabile se si volessero affidare le decisioni sul nuovo assetto dell’Ateneo all’Ateneo stesso e non alla sua ristretta oligarchia, la stessa che, in tanti casi, ha contribuito alla sua devastazione.
Il Rettore sovrano assoluto e giudice
L’art.2, comma 2, let. a), attribuisce al Rettore “funzioni di indirizzo, di iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche”, “nonché di iniziativa dei procedimenti disciplinari”. Procedimenti disciplinari per i quali, grazie all’art. 5-septies presentato dal Relatore, spetterà non più alla Corte di Disciplina nazionale, ma al Consiglio di Amministrazione “l’assunzione delle conseguenti deliberazioni” (art. 5-septies, comma 3).
Il Rettore fa parte del Consiglio di Amministrazione, ne potrebbe essere il presidente e ne potrebbe avere designato o scelto gli altri componenti. Insomma una casalinga giustizia sommaria, al di fuori di qualsiasi moderno elementare principio giuridico, tanto per fare capire fino in fondo a tutti chi comanda nell’Ateneo.
Il potere assoluto del Consiglio di Amministrazione
L’Art. 2, comma 2, let. f), attribuisce, tra l’altro, al Consiglio di Amministrazione “funzioni di indirizzo strategico, di approvazione della programmazione finanziaria annuale e triennale e del personale”, “della competenza a deliberare l’attivazione o soppressione di corsi e sedi”, “della competenza ad approvare la proposta di chiamata da parte del dipartimento”, oltre che la “competenza disciplinare relativamente ai professori e ricercatori, ai sensi dell’articolo 5-septies”.
L’art. 2, comma 2, let. g), prevede di attribuire allo Statuto, cioè, di fatto, ad Organi presieduti (‘egemonizzati’) dal Rettore, di decidere le modalità di “designazione o scelta” della maggioranza dei componenti del CdA, che debbono essere “in possesso di comprovata (da chi?, ndr) competenza in campo gestionale ovvero di una esperienza professionale di alto livello”, prevedendo inoltre la “non appartenenza di almeno il quaranta per cento dei consiglieri ai ruoli dell’ateneo a decorrere dai tre anni precedenti alla designazione” (forse per non escludere il ‘ripescaggio’ di qualche ‘eccellente’ pensionato dell’Ateneo).
Lo svuotamento del Senato Accademico
Al Senato Accademico, mero organo propositivo e consultivo, non rimane alcun reale potere (art. 2, comma 2, let. d) e, grazie ad un emendamento del Relatore alla let. e), viene consentita in esso la presenza di “membri di diritto”, così come lo sono oggi negli attuali Senati Accademici i Presidi, la cui presenza ha determinato la ‘non gestione’ degli Atenei e lo strapotere dei Rettori.
Lo svuotamento dei Consigli di Dipartimento e dei Corsi di Studio
Anche il ruolo dei Consigli di Dipartimento e dei Corsi di Studio è svuotato dalla “istituzione di un organo deliberante, composto dai direttori dei dipartimenti in esse (facoltà o scuole, ndr) raggruppati, e dai coordinatori di corso di studio” (art. 2, comma 3, lettera f).
3. LA ‘NUOVA’ DOCENZA
Gli elementi centrali contenuti nel DDL governativo, anche alla luce dell’emendamento presentato dal Relatore (art. 5-bis) che tra l’altro prevede l’immediata applicazione delle norme sullo stato giuridico, sono i seguenti:
- blocco dei concorsi, con drastica riduzione dei docenti di ruolo ed espulsione di gran parte degli attuali precari;
- anticipazione della messa ad esaurimento (binario morto) dei ricercatori di ruolo (art. 15, comma 1). Inoltre, mentre non si riconosce ai ricercatori il ruolo effettivamente svolto di professore (terza fascia), si prevede, con un emendamento del Relatore (art. 5-bis, comma 1), un notevole aggravio del loro carico di lavoro: essi saranno obbligati a svolgere, come gli ordinari e gli associati, almeno 350 ore di didattica (250 se a tempo definito), invece che non più di 350 ore (250 se a tempo definito) come attualmente previsto;
- nuova ‘categoria’ dei ricercatori a tempo determinato (art. 12) che, assieme alla messa a esaurimento dell’attuale fascia di ingresso nella docenza (ricercatori di ruolo) e alla riduzione a sole due fasce (associati e ordinari) dei docenti di ruolo, porterà all’ulteriore aumento del numero dei precari e all’ulteriore allungamento del periodo di ‘vita’ precaria;
- istituzione dei super-ricercatori a tempo determinato di “produzione ministeriale”, con il potere, di fatto, della commissione nazionale di scegliere le sedi alle quali attribuire i posti (art. 12, comma 9);
- accentuazione del localismo concorsuale (nepotismo, clientelismo, ecc.) con ‘concorsi’ letteralmente ‘fatti in casa’ (art. 9), preceduti da una inutile abilitazione nazionale (art. 8);
- ulteriore differenziazione tra gli ordinari e gli associati: questi ultimi non potranno più partecipare alla chiamata degli associati (art. 9, comma 2, let. f). Inoltre è prevista la prova didattica solo per l’abilitazione nazionale ad associato (art. 8, comma 3, let. a);
- riduzione della retribuzione dei docenti con la ‘triennalizzazione’ dell’attuale scatto biennale, la cui attribuzione non sarà più automatica, ma dipenderà da una valutazione “di competenza delle singole università” (art. 5-bis, comma 9).
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LA PROPOSTA DELL’ANDU PER
ELIMINARE PRECARIATO E NEPOTISMO, RICONOSCIMENTO AI RICERCATORI, CONSENTIRE LA PROMOZIONE DEI RICERCATORI E DEGLI ASSOCIATI
Da anni l’ANDU ha elaborato una proposta per eliminare il precariato e il nepotismo, per riconoscere ai ricercatori il ruolo di professore e per consentire i passaggi di fascia.
– Per eliminare il precariato occorre sostituire TUTTE le attuali figure precarie con una SOLA figura pre-ruolo di durata massima di tre anni non rinnovabili, con un numero di posti proporzionato agli sbocchi in ruolo, e contestualmente bandire almeno 20.000 posti nella fascia iniziale della docenza, con uno specifico finanziamento straordinario dello Stato.
– Per eliminare il nepotismo occorre prevedere per il reclutamento in ruolo un CONCORSO NAZIONALE (senza chiamata locale) con commissioni interamente sorteggiate.
– Per riconoscere pienamente la funzione docente dei ricercatori occorre TRASFORMARE il loro ruolo in terza fascia di professori.
– Per consentire il passaggio dei ricercatori e degli associati nella fascia superiore occorre prevedere una valutazione nazionale individuale da parte di una Commissione interamente sorteggiata. Al superamento del giudizio nazionale deve corrispondere l’automatico passaggio nella fascia superiore, prevedendo a carico dello Stato l’incremento economico. La chiamata locale di chi è già in servizio e continuerà comunque a svolgere la stessa attività (didattica e ricerca) è ’solo’ una follia accademico-giuridica!
Per i dettagli v. il punto 2. della Proposta dell’ANDU “Per una Università democratica“.
Questa soluzione, lo ripetiamo, è l’unica possibile per riqualificare l’Università, liberandola finalmente dal nepotismo e dal clientelismo e, soprattutto, dall’intollerabile fenomeno del precariato.
Sono d’accordo con le vostre proposte
la mozione crui
” l’immissione ogni anno, all’interno di un sistema di reclutamento e di ordinamento tra le fasce finalmente stabilizzato nelle norme di riferimento, di non meno di 2000 abilitati alla posizione di professore associato, secondo le esigenze e la programmazione di ciascun ateneo, si rende necessario sia per far fronte alle numerose uscite dal ruolo che sguarniranno rapidamente gli atenei delle competenze scientifiche e didattiche indispensabili, sia per riconoscere e valorizzare gli oggettivi apporti dell’attuale personale ricercatore a tempo indeterminato (i cui obblighi didattici non possono comunque essere equiparati a quelli dei professori), già investito in larga misura del titolo di professore aggregato, di cui all’articolo 1, comma 11 della legge 230/05, e responsabile, in tale veste, di funzioni essenziali per la vita universitaria.
Roma, 25 marzo 2010
commento:
La CRUI riconoscere le funzioni assenziali dei ricercatori. adesso il governo nella riforma accolga tali indicazi0ni.
Per amor di precisione, riporto qui sotto un confronto tra DdL (presentato il 25 nov.) ed emendamento Valditara sul punto “quantificazione esatta o minima dell’impegno di docenza”. Non posso utilizzare grassetti e colori per attirare l’attenzione su certe parole, per cui invito i lettori stessi a fare attenzione all’utilizzo di: “quantificazione dell’impegno complessivo specifico da riservare ai compiti didattici e di servizio per gli studenti di trecento cinquanta ore annue” nel DdL e “sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti didattici e di servizio agli studenti almeno 350 ore” nell’emendamento. ALMENO in luogo della preposizione DI introduce eccome un “minimo” o no?)
DdL n.1905:
Art. 5 (Delega in materia di interventi per la qualità e l’efficienza del sistema universitario)
4. Nell’esercizio della delega di cui al comma 1, lettere c) e d), il Governo si attiene ai seguenti princìpi e criteri direttivi:
c) disciplina dell’impegno, rispettivamente, dei professori e ricercatori a tempo pieno e a tempo definito per attività di ricerca, di studio e di insegnamento con i connessi compiti preparatori e di verifica, e organizzativi, anche con quantificazione dell’impegno complessivo, per i fini che lo richiedono, compresa l’attività di ricerca e di studio, di mille cinquecento ore annue e di quello specifico da riservare ai compiti didattici e di servizio per gli studenti di trecento cinquanta ore annue per il regime di tempo pieno e di duecentocinquanta ore per quello di tempo definito;
emendamento Valditara:
Art 5-bis (Stato giuridico)
1. Il regime di impegno dei professori e ricercatori universitari è a tempo pieno o a tempo definito. Essi svolgono attività di ricerca e di aggiornamento scientifico e, sulla base di criteri e modalità stabiliti con regolamento di ateneo, sono tenuti a riservare annualmente a compiti didattici e di servizio agli studenti, inclusi l’orientamento e il tutorato, nonché ad attività di verifica dell’apprendimento, rispettivamente, almeno 350 ore i professori e ricercatori a tempo pieno e almeno 250 ore i professori e ricercatori a tempo definito. Ai fini della rendicontazione dei progetti di ricerca, la quantificazione figurativa delle attività annue di ricerca, di studio e di insegnamento, con i connessi compiti preparatori e di verifica, e organizzativi, è pari a 1.500 ore annue per i docenti e ricercatori a tempo pieno e a 750 ore per quelli a tempo definito.
Il sen. Valditara ci tiene a precisare di non essere autore di un “peggioramento” della normativa nei confronti di noi ricercatori (ce ne vuole per peggiorare ancor di più la situazione, eh?!):
“AGGIORNAMENTO del 23.3.10: Il Relatore del DDL, sen Giuseppe Valditara, ci ha segnalato una imprecisione nel documento (v. al paragrafo “3. La ‘nuova’ docenza” al punto 2) quando si attribusce a un suo emendamento (art. 5-bis, comma 1) l’introduzione per i ricercatori di un orario minimo di attività didattica. In realtà tale minimo era già presente, in maniera ‘contorta’, nel testo governativo (art. 5, comma 4, let. c)”
A questo punto mi chiedo: sarà stato un diavoletto malefico ad aggiungere la parolina “almeno” nell’emendamento in questione??
Valditara può anche continuare a dire “non è colpa mia…” (e in effetti, da un certo punto di vista… come dargli torto? già così è tutto da stralciare questo DdL, altro che “da emendare”) ma i fatti restano: allo stato attuale la normativa obbliga i ricercatori a una terza fascia dei doveri senza dar loro i relativi diritti, né un riconoscimento formale, né un corrispettivo adeguamento economico. Nel limbo sporca categoria di fannulloni in esaurimento!! Via, via! Eh, già…”fannulloni” con un carico didattico che arriva alle 200 ore di didattica frontale e oltre in innumerevoli casi… già oggi, eh? mica bisogna aspettare le “almeno 350 complessive di didattica e servizi agli studenti” che Gelmini e Valditara… prospettano per il futuro. Solo che finora, in teoria, ce lo chiedevano (beh, mooolto in teoria… vatti a rifiutare poi…). Ora sarà “dovuto” per legge. E la ricerca – puppa! What’s ricerca?? Voi, poi, “umanisti del cavolo”, mica è ricerca la vostra!? No nanotecnologie, energie alternative, raggi laser… e chi più ne ha più ne metta? Allora NON fate ricerca, voi…
Già. E la piccola parola magicamente comparsa nell’emendamento in questione è solo una “ciliegina sulla torta”.
nel ddl è riportato
la quantificazione figurativa delle attività annue di ricerca, di studio e di insegnamento, con i connessi compiti preparatori e di verifica, e organizzativi, è pari a 1.500 ore annue per i docenti e ricercatori a tempo pieno e a 750 ore per quelli a tempo definito.
forse il relatore non è a conoscenza che i ricercatori sono docenti,perche questa distinzione….
Sono componenti della 7 commissione del senato che discute è approva il DDL governativo delle riforma universitaria :
n 4 imprenditori
n 3 giornalisti
n 3 insegnanti
n 1 cantante
n 1 medico
n 5 docenti Universitari (che spaziano tra filosofia delle scienze,e sistemi sanitari,e permanenza da oltre 3 legislature in parlamento).
si pone spontanea la domanda:
Quali sono le responsabilità di codesti docenti nel formulare una legge ingiusta che danneggia chi la subisce .
dice Seneca “Vivit is qui multis usui est, vivit is qui se utitur” per essere di utilità a qualcuno in modo consapevole, bisogna poter disporre di sè, della parte migliore di sè, cioè della propria ragione.
I MAESTRI DELLA COMPETIZIONE MERCATISTA, CON MIOPIA
di Fabio Tutrone dell’Università di Palermo
i maestri della competizione mercatista
Delle molte cose da dire su questo sconcertante disegno di riforma (o controriforma) dell’Università una merita forse di essere sottolineata con particolare attenzione, giacché attiene, credo, alla prospettiva generale, ideologica, dei nostri governanti. E’ evidente che le Università dello Stato – o, per meglio dire, l’Università dello Stato, visto che in Italia c’è da sempre, ‘de facto’, un solo grande organismo universitario, fittiziamente obbligato dai precedenti riformatori a far ‘competere’ i propri rami locali – saranno rese quanto più possibile simili al modello delle Università private. Segnatamente, il paradigma di riferimento è quello degli atenei anglosassoni, di cui però, come nella migliore tradizione politica italiana, si imitano ‘a copia e incolla’ spezzoni di funzionamento parziali (e spesso neanche i migliori). E’ palese che questa grande metamorfosi, presentata come una catarsi palingenetica, ma in realtà destinata a concretizzarsi in una semplice ‘de-strutturazione’, genererà un caos e un impoverimento senza precedenti: sul piano della qualità – e della quantità – della didattica, su quello della produttività scientifica, nonché – dulcis in fundo – sul terreno della partecipazione democratica alla vita dell’Università da parte delle sue diverse componenti. Mi viene solo in mente che esistono già oggi, in Italia, diverse istituzioni universitarie private, alternative agli atenei pubblici, oculatamente foraggiate negli anni precedenti. Esse, è chiaro, aspirerebbero a riempire, in un prossimo futuro, il vuoto lasciato dal tracollo del sistema di istruzione pubblico. Ma – ed è questo l’elemento su cui vorrei riportare maggiormente l’attenzione – penso che i nostri politici abbiano fatto i conti senza l’oste. Non esiste sullo scenario italiano, né potrà esistere, fattivamente, in tempi brevi, una rete di università private in grado di sopperire realmente alla voragine che si sta creando. Il risultato, quindi, potrebbe essere semplicemente quello di scardinare definitivamente il mondo della ricerca e dell’alta formazione in questo paese, proprio nel momento in cui, per uscire dalla crisi, tutti avremmo bisogno di un rilancio calibrato di tali ambiti. I sapienti riformatori che ci governano, i maestri della competizione mercatista tanto abili nelle loro prediche, potrebbero insomma cagionare inconsapevolmente – per pura insipienza e impreparazione – un ‘vulnus’ formidabile nel già malandato tessuto del paese. Non solo malafede, dunque, ma, forse, anche tanta miopia. Dinanzi a questo quadro credo occorra meditatamente reagire attraverso tutte le forme di protesta democratica e non-violenta. Nonostante tutto, penso ancora che il mondo della cultura italiano, nelle sue varie parti, abbia in sè le capacità e gli strumenti per promuovere una rinascita civile.
COSA E QUANTO OCCORRE PER DEFINIRE I RICERCATORI ‘MATURI’?
di Antonino Graziano dell’Università di Catania
Quanti anni di insegnamento ai ricercatori per essere “maturi in didattica”?
Quanti anni e numero di lavori scientifici per definire i ricercatori “maturi”?
Quanti concorsi e prove didattiche di II e I fascia devono svolgere i ricercatori per essere maturi scientificamente?
Occorre un’altra idoneità Nazionale dice il DDL poi si vedrà.
Il giusto prova vergogna e gli onorevoli e simili ……
APPELLO SULLE PROPOSTE DELL’ANDU?
di Giancarla Oteri dell’Università di Messina
Potrebbe servire a qualcosa chiedere a tutti i docenti di volere firmare, anche per email, il loro consenso sulle proposte dell’ANDU?
PERCHE’ NON SI SOSTENGONO LE PROPOSTE DELL’ANDU?
di Eugenio Muller dell’Università di Milano
Le proposte dell’ANDU per contrastare chi vorrebbe portare alla distruzione totale della Università Italiana (v. DDL governativo) appaiono ampiamente condivisibili e degne di essere supportate. Ci si domanda (ingenuamente) perchè ciò non avvenga. A parte le forze politiche di maggioranza e opposizione che in questo caso rarissimo si trovano accomunate in una azione bipartisan e chi a livello baronale o meno opera nella stessa direzione, ci si domanda perchè in Parlamento, al di fuori dele forze bipartisan, e nella Università dove sono moltissimi quelli che si riconoscono nelle posizioni dell’ANDU,non si possa unitariamente opporsi alla deriva in atto.
RETTORE PER DIVENTARE PARLAMENTARE O SINDACO
di Antonio Pasini dell’Università di Siena
Voglio dire due parole sulla situazione di Siena. Cosa c’ entra con il DDL? Qualcosa c’entra. Pazientate un po’.
Come tutti sanno, l’ università di Siena ha `scoperto’, un anno e mezzo fa, di avere un buco pauroso: si diceva 150 milioni di euro di debiti, poi 200. E ogni anno continua a creare ammanchi per una cinquantina di milioni. Cosa può essere successo? Tante cose. Le solite dinamiche interne, che possiamo ritrovare in quasi tutte le sedi universitarie: gli scorrimenti verticali, i poli decentrati, le spinte di novelli baroni o vecchi aspiranti baroni ansiosi di crearsi anche loro un proprio seguito. Sicché il corpo docente è passato dalle circa 900 unità degli anni ’90 alle a circa 1000 odierne. Ovviamente, nel conto sono inclusi anche i ricercatori. Forse c’ è anche una gestione contabile troppo spesso approssimativa. Anche i costi dovuti al ricorrere ad esterni per vari servizi. Per esempio la portineria, che mal si adatta alle qualifiche del nostro personale, oppure consulenze esterne su materie nelle quali, a quanto pare, nessuno si sa districare. Ma tutto questo non basta a spiegare un buco di quelle dimensioni, tanto più che per altri aspetti l’amministrazione è sempre stata oculatissima. Per esempio, per anni le riviste sono state tagliate e ri-tagliate, di libri ne sono sempre entrati pochi (però almeno lo staff delle biblioteche è andato crescendo ogni anno, ed oggi è di tutto rispetto), niente strumenti di lavoro al personale docente (niente computer, per esempio). Ci sono state anche spese enormi per acquisizione e ristrutturazione di immobili, alle quali si sono mescolati acquisti scriteriati per arredi ed altro (per esempio, spazzoloni da water da 50 euro l’ uno). Queste spese hanno pesato moltissimo, ma sono cose di qualche anno fa, e inoltre parte di quel patrimonio ora viene rivenduto. Come dire che il buco ripiana il buco. Comunque, quelle vecchie spese non spiegano il fatto che ogni anno il deficit cresca, che qualunque boccata d’ ossigeno si trovi venga immediatamente mangiata dalla spesa corrente. Che altro c’e’ stato, dunque? Questo: l’ aver gonfiato l’ organico tecnico-amministrativo oltre ogni ragionevolezza, portandolo in pochi anni dalle poco più di 800 unità degli anni ’90 alle circa 1250 attuali. E perché tutto questo? Forse pressioni politiche tese ad appagare le aspettative di folte clientele. E, mi duole dirlo, in questo i sindacati di categoria hanno giocato una parte non piccola. Inoltre, spesso succede che chi fa il rettore lo faccia anche avendo in serbo progetti più ambiziosi, vedendo nel rettorato un trampolino per una più appagante carriera politica: un seggio in Senato, per esempio. Oppure un poltrona da sindaco. Può capitare che chi si muove in questa ottica non resista alla tentazione di crearsi un suo seguito elettorale personale, da spendere poi nei modi opportuni al momento opportuno. E generalmente si ritiene che sistemare gente qua o là è sia il modo più efficace per ottenere quello scopo. Io credo che soprattutto queste siano le forze che ci hanno portato al disastro in cui ci troviamo. Forze impersonate nei rettori e ben rappresentate in Consiglio di Amministrazione. Proprio quei soggetti ai quali il DDL, nella sua commovente insipienza (?) vorrebbe affidare per intero la cura delle università.