Decleva – Valditara – Rottamazione

1. Intervista al Presidente della CRUI del 21 febbraio 2010.

2. Lettera del sen. Giuseppe Valditara del 21 febbraio 2010.

3. Documento dell’Assemblea dei Ricercatori dell’Universita’ di Siena del 19 febbraio 2010 (con aggiornamento).

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1. Intervista al Presidente della CRUI del 21 febbraio 2010.

         Nell’intervista ad Enrico Decleva, presidente della CRUI, “La mia universita’? Questa sinistra l’ha abbandonata”, sul Giornale del 21 febbraio 2010, tra l’altro si legge che egli esprime sul DDL governativo un giudizio nel complesso positivo e chiede al ministro Gelmini di “fare in modo di portarsi a casa il disegno di legge con una serie di modifiche che non lo stravolgano”. In particolare, Decleva sostiene che nel DDL governativo “un punto molto positivo, se si riesce a portarlo fino in fondo, è l’abolizione della figura del ricercatore a tempo indeterminato per uno a tempo determinato. Il quale, se è bravo, diventerebbe professore associato. Ciò significherebbe finalmente un vero ringiovanimento dell’Università.” “Molto positivo” per il Presidente della CRUI è quindi l’aumento ulteriore, nel numero e nel tempo, del già intollerabile – per gli interessati e per l’Università – del precariato. E “molto positivo” è per lui anche l’emarginazione degli oltre 20.000 attuali ricercatori, messi ad esurimento (v. l’analisi dell’ANDU). D’altronde le posizioni del Presidente della CRUI sono perfettamente in linea con il documento della CRUI stessa che nel febbraio 2009 ha ‘anticipato’ il DDL governativo. Una CRUI che si è attribuito (e svolge) il compito di “garantire la tenuta politica” del sistema universitario, come si legge alla fine della ‘ragionieristica’ Mozione approvata, all’unanimità, dalla stessa CRUI il 17 dicembre 2009. I Rettori, che – almeno finora – sono stati eletti dai docenti e dalle altre componenti, sulla base di quale mandato hanno deciso di sostenere il progetto di demolizione finale del sistema degli Atenei statali? Un progetto che, tra l’altro, attribuisce proprio alla figura del Rettore poteri immensi (rettore-sovrano assoluto).

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2. Lettera del sen. Giuseppe Valditara del 21 febbraio 2010.

          La lettera del sen. Giuseppe Valditara, relatore del DDL governativo sull’Universita’, “Non cambio idea sul DDL Gelmini”, sul Riformista del 21 febbraio 2010, è in risposta ad un precedente intervento del sen. Mauro Ceruti del PD. Valditara, in particolare, scrive che “l’impianto di fondo del testo governativo (…) è stato peraltro giudicato positivamente da quasi tutta l’opposizione” e esprime la preoccupazione che si possa “allontanare quella convergenza che sin  qui deliniata in commissione e nel più generale dibattito politico.” Il sen. Valditara ha ragione: basta leggere gli interventi in Commissione (v. al punto 7) per constatare la convergenza tra il PDL e il PD. Peraltro gli interventi degli esponenti del PD (compreso quello del sen. Ceruti) sono perfettamente in linea con il DDL presentato dal PD stesso prima di quello del Governo e i cui contenuti fondamentali anticipano quelli del DDL governativo, ed entrambi i DDL ‘corrispondono’ alle richieste della Confindustria.

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3. Documento dell’Assemblea dei Ricercatori dell’Universita’ di Siena del 19 febbraio 2010.

          Riportiamo il documento dell’Assemblea dei Ricercatori dell’Universita’ di Siena del 19 febbraio 2010 contro la rottamazione dei ricercatori:

“DOCUMENTO APPROVATO IL 19 FEBBRAIO 2010 DALL’ASSEMBLEA DEI RICERCATRI DELL’UNIVERSITA’ DI SIENA convocata dal COORDINAMENTO DEI RICERCATORI SENESI

 Le seguenti sigle sindacali appoggiano il documento dell’Assemblea dei Ricercatori dell’Università degli Studi di Siena: ANDU, CIPUR,  CISL Università, FLC-CGIL, SNALS  Università

          L’assemblea dei Ricercatori dell’Università degli Studi di Siena esprime il suo totale dissenso sul pensionamento anticipato  dei ricercatori Universitari disposto dall’Ateneo Senese, che giudicano un attacco alla dignità di coloro che hanno svolto fino ad oggi funzioni di didattica, ricerca ed assistenza  al pari dei colleghi professori Ordinari ed Associati.

         L’assemblea denuncia con forza il mancato rispetto delle relazioni sindacali che prevedono tra l’altro la preventiva consultazione delle OO.SS. per i problemi e le decisioni inerenti il personale e i conseguenti effetti sulle attività garantite.

         Seppur pienamente coscienti dell’attuale difficile situazione in cui versa l’Ateneo, si è d’accordo con le organizzazioni sindacali che hanno già manifestato, sia a livello nazionale che locale, contrarietà all’applicazione delle nuove norme in materia (decreto Brunetta) che fanno due pesi e due misure tra il personale docente, stabilendo età di pensionamento diverse in base allo status giuridico di appartenenza, che giudichiamo ipocrite, ingiuste e anticostituzionali. L’assemblea unanime chiede agli Organi di Ateneo di sospendere qualsiasi forma di pensionamento “coatto”, se non su base volontaria, come accade per il resto della Docenza (prof. Ordinari e Associati) e si riserva, qualora tale richiesta non fosse accolta, di attuare tutte le forme di lotta a salvaguardia della propria dignità professionale, riservandosi anche di esperire le vie legali per tutelare i diritti costituzionali.

          Evidenziamo come i Ricercatori per l’attività didattica contribuiscano al possesso dei requisiti minimi dell’offerta formativa dell’Ateneo, utili alla validità dei titoli di studio rilasciati. Come è possibile accettare che i Ricercatori, da organismi ministeriali come il CINECA, vengano considerati a tutti gli effetti come Professori mentre per l’applicazione in sede locale del “famigerato”  decreto Brunetta  vengano considerati al pari del Personale Contrattualizzato?

          Facciamo presente le contraddizioni contenute nel pensionamento “forzoso” messo in atto a Siena, come non dia certezza all’Amministrazione di un effettivo risparmio. Le nostre attività di ricerca e didattica si fondono in alcuni casi anche con quelle dell’assistenza sanitaria. La perdita di personale, non essendo possibile un nuovo reclutamento in questo anno e nei prossimi, causerebbe seri problemi all’offerta formativa, alla ricerca e ai servizi assistenziali, con evidente calo dell’offerta dei servizi e della qualità che oggi anche noi contribuiamo a garantire.

         Non crediamo nella cosiddetta “rottamazione” coatta dei Ricercatori, che riteniamo deleteria per l’Ateneo e le sue missioni: didattica, ricerca e assistenza.

          In altre sedi universitarie sono state trovate e attuate soluzioni diverse non lesive dei diritti acquisiti dei lavoratori.

          Qualora l’amministrazione rifiuti di riconoscere l’equiparazione alla funzione di professore dei Ricercatori Universitari saremmo costretti a chiedere l’annullamento per illegittimità di tutti gli atti formali relativi alla didattica che si basano sul conteggio delle unità di personale ricercatore, un atto molto più che simbolico, per dimostrare il possesso dei requisiti minimi dei Corsi di Laurea previsti dalla normativa.

         I Ricercatori denunciano altresì che a fronte di un inquadramento giuridico a carattere nazionale, si sta a creando una situazione di disparità che penalizza i Ricercatori senesi rispetto agli altri colleghi.

          L’assemblea all’unanimità chiede con forza all’Amministrazione di rivedere la Sua posizione che giudichiamo impropria e dà mandato ai propri rappresentanti di contattare le forze politiche e sociali della città, per trovare ogni soluzione capace di tutelare l’affermazione dei nostri diritti e il riconoscimento del contributo dato alla didattica, alla ricerca e all’assistenza, riconosciuto dalle misurazioni e certificazioni di qualità anche da parte degli studenti e dalle valutazioni ministeriali con  le conseguenti attribuzioni di fondi per la produzione di brevetti e di lavori scientifici ad alto impatto internazionale.

           l’Assemblea dei Ricercatori Senesi”

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Felice Menicacci
Felice Menicacci
14 anni fa

SFIDUCIARE I RETTORI
di Felice Menicacci dell’Università di Siena

Giusta proposta.
Sfiduciare i Rettori da noi eletti poichè non hanno avuto alcun mandato per distruggere l’Univeristà Italiana. Hanno preso delle decisioni personali senza ascoltare le Organizzazioni Sindacali. Si muovono autonomamente. Decleva non è il padrone dell’Istituzione Universitaria pubblica. L’Università non è una azienda privata. Se la vogliono se la creino al di fuori di quella pubblica. Non possono dettare regole perchè Loro hanno portato al disastro attuale dell’Università (deficit di bilancio, nepotismo e via dicendo). Loro (i Rettori) se ne devono andare in pensione.

Francesco d'Ovidio
Francesco d'Ovidio
14 anni fa

70 ANNI O 65 ANNI… QUESTO E’ IL PROBLEMA
di Francesco d’Ovidio dell’Università di Bari

Mi presento: sono un associato di 55 anni, entrato tardi (nel 2001) nei ruoli di ricercatore… e nel caso che mi capitasse di diventare ordinario e di andare in pensione a 70 anni, mi mancherebbe solo un anno per completare la contribuzione pensionistica di anzianità. In caso contrario, non sapendo cosa mi aspetta, sto già muovendomi sul fronte della “pensione integrativa”. Detto questo (pecunia non olet), aggiungo che, a qualsiasi età mi capitasse di essere pensionato, anch’io gradirei, come lo stimatissimo prof. Tucci, di avere un angolino dove continuare a lavorare per le ricerche che avrò eventualmente in corso con i miei più giovani collaboratori (se ve ne saranno… le prospettive non sono rosee, ed i migliori fra i “precari” fuggono a lavorare nel settore privato). Della didattica non so se me ne curerò, ma, d’altra parte, con il perdurare del blocco
di turnover ed assunzioni è prevedibile che dovranno essere assegnati contratti di insegnamento a destra e manca. Perché non ai docenti pensionati?
Il problema, come è stato ricordato dai colleghi, non sono le persone come il prof. Tucci (e, grazie a Dio, come alcuni altri che ho conosciuto… non moltissimi, ma abbastanza), ma le persone che, dopo una certa età (che può essere anche inferiore ai 65 anni…), nulla più danno alla ricerca, poco alla didattica, ma continuano a prendere molto alle strutture accademiche.
Ben venga dunque, anche a mio discapito, la riduzione dell’età pensionabile per i docenti universitari, ma da subito!
Ancora oggi vi sono in ballo ricorsi di 71-enni, 72-enni ed oltre per rimanere in carica, e di questi non molti hanno titolo nella ricerca (né europea né niente… l’anno scorso, per evitare costosi ricorsi presumibilmente perdenti, la mia Università ha mantenuto in ruolo, al modico costo di duemilionicinquecentomila euro per un anno, ben 16 vegliardi, di cui un associato, e di questi non più di due o tre erano attivi nella ricerca… gli altri solo nell’attività di lobby).
Se il Governo avesse compilato come si deve qualche legge o regolamento e se avesse predisposto strumenti per mantenere le capacità di ricerca di quei docenti ancora attivi, molti di loro potrebbero decidere diversamente, ed i Rettori non avrebbero da temere ricorsi.
Ovviamente, sarebbe da evitare il caso assurdo di un docente (anche attivo) obbligato ad andare in pensione a x anni, mentre un suo pari (soprattutto se inattivo nella ricerca, ma attivissimo in politica) rimane fino a x+1, x+2 e oltre per un cavillo burocratico o perché entrato “in ruolo” quando vigeva un ordinamento diverso…

Sergio Morra
Sergio Morra
14 anni fa

SFIDUCIARE I RETTORI?
di Sergio Morra dell’Università di Genova

“I Rettori, che – almeno finora – sono stati eletti dai docenti e dalle altre componenti, sulla base di quale mandato hanno deciso di sostenere il progetto di demolizione finale del sistema degli Atenei statali?” : condivido pienamente.
Com’è ovvio, non hanno ricevuto alcun mandato in tal senso e anzi si muovono in maniera diametralmente opposta alle richieste e alle proposte unitarie di tutte le organizzazioni sindacali e le associazioni della docenza.
In particolare trovo particolarmente stridente la dichiarazione di Decleva: “un punto molto positivo, se si riesce a portarlo fino in fondo, è l’abolizione della figura del ricercatore a tempo indeterminato per uno a tempo determinato”.
Di fronte a tanta arroganza, non sarà forse il caso di cominciare a “sfiduciare”, nelle mozioni delle assemblee di ateneo o in altre forme, l’azionista di riferimento, oh pardon, il Presidente della CRUI Prof. Enrico Decleva, magari anche chiedendo le dimissioni sue e, se è il caso, di quanti altri rettori si siano auto-attribuiti il mandato di sostenere con particolare sollecitudine la sua linea politica?

Miriam Del Salto
Miriam Del Salto
14 anni fa

PROF. TUCCI, SIAMO D’ACCORDO
di Miriam Del Salto

Ma infatti l’idea di portare l’età pensionabile a 65 anni per tutti e consentire agli studiosi che lo desiderassero di continuare a lavorare con contratti gratuiti o simbolici usufruendo delle strutture dell’ateneo è un ottima soluzione che dovrebbe andar bene a tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’università, del Paese e dell’equità generazionale.

Non possiamo che trovarci d’accordo col il prof. Tucci, che mostra di essere una persona particolarmente sensibile e ragionevole, e con tutte le persone che vivono l’università con gli stessi sentimenti positivi. Mi aspetto che le critiche arriveranno soprattutto dagli ambienti baronali, cui non interessa poter fare serenamente ricerca e didattica, ma gestire potere, concorsi e carriere.

Concludendo, nessuno le rimprovera di rappresentare un costo per la collettività se, come credo, ha percorso tutta la sua carriera in maniera proficua ed onesta, e neppure si ritiene che lei abbia rubato qualcosa a tre ricercatori. Come ho premesso nel post precedente, la questione va posta in termini di categorie e non di singoli. L’Italia di oggi, con le risorse che dedica all’università, può permettersi un esercito di 20000 prof ordinari che vanno in pensione oltre i 65 anni solo a patto di rinunciare a qualsiasi idea di sviluppo e innovazione. Se invece si vuole cercare di non rassegnarsi al declino, l’unica strada sono la pensione a 65 anni e la creazione di un sistema un po’ più piramidale.

Gianrocco Tucci
Gianrocco Tucci
14 anni fa

LE CAUSE VANNO CERCATE ALTROVE
di Gianrocco Tucci dell’Università di Roma “La Sapienza”

(In risposta a Miriam Del Salto)
Cerco allora di sintetizzare il più possibile, non ritenendo questo il luogo per rispondere punto per punto. Scelgo, tuttavia, un argomento. Lei ha efficacemente espresso quanto in modo prolisso ho precedentemente esposto. Mi riferisco in maniera specifica al suo brano quando sostiene che: “Oltretutto, si potrebbe tranquillamente fare in modo che……”
Nel mare delle accuse che mi vengono rivolte o di egoismo o forse sarebbe meglio dire di egocentrismo e di parlare come esponente di una famigerata categoria, provo sollievo per quella parte anzidetta che ci vede concordi, pur non avendo avuto ancora il modo di leggere il suo scritto odierno delle ore 10:05.
In fin dei conti si tratta di una proposta ragionevole e credo non molto ardua da rendere operativa. Personalmente desidererei che fosse affidata a voi per la sua realizzazione. Non ho infatti alcun genere di potere nè – ed è la cosa per me più importante – quello spirito vitale che mi ha aiutato in gioventù a sopportare la mia dose di “nerbate accademiche”.
Per non abusare della cortesia di chi ci ospita, rimanando ad alcune parti della mia risposta ad Ugo ed Alessandra e che ciascuno sarà in grado di estrapolare autonomamente per pertinenza.
Ora, permettetemi tutti voi di aggiungere un ultimo elemento a cui tengo molto. Affermo con decisione che la mia coscienza non mi rimprovera affatto di rappresentare quel costo per la collettività e mi autorizza a dire che non ho rubato nulla nè a tre ricercatori nè alle “equivalenti” risorse in termini di P.O. come ora barbaramente si fa. Credetemi, non per fare il Pilato della situazione; le cause vanno ricercate altrove se si ragiona con un minimo di obiettività. Anche i giovani sono in grado di ricostruirle se ammaestrati dal distacco della storia che io non posso avere.

Non ho alcun mandato per parlare a nome di altri. Sono, quindi, costretto – con sommo dispregio di chi legge – ad attingere alla mia storia personale. Già sulla fine degli anni ’60 era in nuce e per questo si contestava aspramente (con un mazzo di chiavi ricevuto in un occhio) ciò che ora si denuncia, ma con uno spirito stanco, intriso di delusione, poco battagliero e concludente e che esprimo come espressione di uno stato di confusione mentale assai complesso e complicato e come effetto di lunghi periodi di “finanza allegra” (chiamiamola eufemisticamente così) che ha condotto ai nodi di questo periodo.
Spero di avere la fortuna di incontrare qualcuno di voi e solo allora si potrà comprendere dalle altre forme di linguaggio che sarò in grado di usare ed alle quali facevo implicito riferimento altrove, chi può essere
Gianrocco Tucci

Gianrocco Tucci
Gianrocco Tucci
14 anni fa

ODIO GENERAZIONALE?
di Gianrocco Tucci dell’Università di Roma “La Sapienza”

Evidentemente non sono stato sufficientemente chiaro. Ho forse parlato di togliere risorse (economiche o di altro genere) ai più giovani per destinarle agli anziani o di volerne ostacolarne in qualche modo il cammino? Seguendo il vostro pensiero, devo supporre di essere soltanto un isolato e che tutti coloro che si trovano nella mia stessa situazione siano a caccia di arrotondamenti significativi della propria pensione.
Poveri illusi, dove vivono? Tanto per fare un esempio di arrotondamento: nello scorso anno accademico e nella mia Facoltà un contratto per lo svolgimento di un “intero” corso è stato remunerato con ben 600 euro, naturalmente lordi! Se fossi stato il soggetto interessato, avrei ringraziato e detto di non essere dedito al fumo.
Allora, tornando a noi, chiedere un tavolo ed un indirizzo elettronico per rimanere collegato alle banche dati del proprio Ateneo costituisce impedimento o sottrazione di risorse per altri? Riuscite ad immaginare a quanto possa ammontare il costo marginale del privilegio che ho osato domandare?
Francamente non riesco a comprendere tutto l’odio – perchè in parte è di origine generazionale – che trasuda dalle vostre e dalle parole di altri. Di odio si tratta, che viene esteso a tutti noi e che impedisce di formulare giudizi larvatamente sereni.
Diciamoci la verità; tutti noi della cosiddetta prima fascia (e si fa di tutta l’erba un fascio) non solo non dobbiamo aver più nulla a che fare con voi, che non siamo legittimati a trasmettere nulla, compresa la nostra esperienza, ma anche che – come nuovi untori – non dobbiamo avere nemmeno la possibilità del contatto umano che si può stabilire soltanto attraverso le sfumature di altre forme di linguaggio diverse dalla scrittura, dal colloquio telefonico o dalla tele-conferenza. Ci riuscite voi a far trasparire da una e-mail, da un telefono o da un video quegli intrecci di emozioni: l’ ansia e l’angoscia, lo stupore e la rabbia, l’invidia e il dispiacere, la speranza e l’illusione che si provano durante lo svolgimento di colloqui continui(in questo caso di ricerca) e diretti a tu per tu?
Per essere ora un tantino positivi: se potessimo ricreare il “clima” delle origini dell’Universitas ed aggiornare rispetto ad allora i limiti di un’età intellettualmente produttiva, forse potremmo concepire anche da noi forme istituzionalizzate di ciò che in maniera moderna va sotto la concezione di talune “fellowship” (pubblicamente gratuite o sponsorizzate dall’esterno) che altri sono disposti a riservare a chi si dimostra veramente impegnato a continuare la ricerca dopo i 65 od anche i 60 anni!
Comprendo la vostra amarezza della cui origine mi faccio carico come colpa oggettiva derivante dall’appartenere alla famigerata categoria della prima fascia. Specialmente di quella che ci ha tradito in Parlamento.
E’ inutile girarci in tondo. Non sono capace di formulare altri pensieri! Ricambio gli auguri di prosperità di Ugo e saluto Alessandra che deve avercela senz’altro con me e con chi involontariamente rappresento.
Gianrocco Tucci

Miriam Del Salto
Miriam Del Salto
14 anni fa

IL PROBLEMA DRAMMATICO E’ IL PRECARIATO
di Miriam Del Salto

Gentile Prof. Tucci,

credo che in qualsiasi discussione su argomenti come questi sia opportuno partire da un paio di presupposti condivisi: 1. quando si propone un provvedimento che coinvolge un’intera categoria di persone, bisognerebbe ragionare in termini di categoria e non di singole persone, per cui le sue personali onestà, dedizione e voglia di impegnarsi sono senz’altro encomiabili, ma non possono costituire argomentazione per un discorso decisamente più ampio; 2. bisognerebbe evitare di usare termini come “putrefazione cerebrale”, “rimbambimento” o “rottamazione”, quando si parla semplicemente di età pensionabili e non di vagoni piombati per Auschwitz, ovvero di passare qualche anno in più o in meno con pensioni più che corpose e in contesti familiari che non credo equivalgano a chissà quale punizione (aggiungerei anche “con pensioni 2 o 3 volte superiori all’importo medio di un assegno di ricerca e 5 o 6 volte superiori ai co.co.co. che vengono abitualmente stipulati nella sua università” e garantite a vita e quindi più rassicuranti di contratti che fra pochi mesi scadranno e non si sa se verranno mai rinnovati).

Allora, è un fatto che nell’università italiana esista un problema sociale spaventoso, che non è quello del povero associato che vuole diventare ordinario o del povero ricercatore che se ne va in pensione con un assegno mensile che i giovani di oggi non vedranno mai. Questo problema si chiama “precariato” e assume l’identità di migliaia di giovani che lavorano e producono nella più totale incertezza, con retribuzioni che arrivano fino a 600-700 euro al mese e ottengono risultati spesso superiori a quelli di molti professori ordinari (senz’altro non dei suoi, ma sicuramente di quelli di un un buon 80% dei suoi colleghi). Quali sono le cause del precariato? Naturalmente potremmo scriverci un trattato sopra e potremmo elencare tante cause, più o meno nobili. Ma tra queste senz’altro l’età pensionabile è una delle principali. Penso lei sappia che lo stipendio di un ordinario ultrasessantacinquenne con tutta la sua anzianità consentirebbe, vincoli sul turn over a parte, di assumere tre nuovi ricercatori. E non voglio nemmeno pensare a quanto possa costare un rettore sessantanovenne. Allora non si tratta di misure “punitive” per nessuno, ma di semplice ricambio: chi ha avuto la splendida opportunità di una lunga carriera accademica può benissimo decidere di ritirarsi in serenità e lasciare ai giovani spazi e prospettive. Sarebbe un grande vantaggio per l’accademia, visto che una grossa percentuale degli ordinari ha tirato i remi in barca da un pezzo e anche per il modello di società che dovremmo costruire, visto che mi sembra demenziale tenere i giovani nell’incertezza, impedirgli di costruirsi una famiglia ed abbattere il tasso demografico del nostro paese, per pagare lauti stipendi a persone che comunque vivrebbero una vita serena. Oltretutto, si potrebbe tranquillamente fare in modo di offrire ai pensionati contratti di docenza o di ricerca che consentano loro di restare attivi e di usufruire delle strutture delle università. Non ho mica scritto che i pensionati debbano andare al circo bocciofilo a giocare a tressette o stare davanti al termosifone con i nipotini.

Inoltre, penso che spostare il baricentro del potere accademico verso altre età anagrafiche sarebbe anche una occasione unica per cercare di porre fine ai malcostumi accademici, ora portati avanti da cricche che sicuramente non sono costituite da trentenni. Se, come lei lamenta, l’espressione “professore ordinario” ha assunto una valenza negativa e la parola CRUI evoca più i padroni delle ferriere del diciannovesimo secolo che una congrega di intellettuali, ciò è causa di certe abitudini cui purtroppo la sua generazione (non lei personalmente, che mi sembra anzi una persona pronta a “scendere al nostro livello” e parlare con noi “paria” dell’università) ha reso oramai prassi corrente della gestione del nostro paese. Credo sia un fatto che i nostri “nonni” (diciamo così) hanno preso un paese ridotto in macerie e percorso da eserciti e lo hanno prima liberato dall’occupazione nazista e poi elevato al rango di potenza economica mondiale; questa Italia che la vostra generazione ha ricevuto viene a noi trasmessa come un paese dove corruzione e intrallazzo dilagano e il senso del bene comune è oramai una cosa da fessi. Purtroppo noto che la mia generazione, pur se ancora priva di concreti poteri decisionali, tende a seguire più la strada dei padri che quella dei nonni, ma forse proprio per evitare che la contaminazione sia completa, conviene mettere in atto quanto prima un ricambio generazionale che tolga dai vertici del potere accademico (e politico) i vecchi attori e tenti di affidare qualche responsabilità in più a chi forse non è ancora del tutti immerso in certi andazzi.

Con simpatia,
Miriam

Ugo Picillo
Ugo Picillo
14 anni fa

MEGLIO TUTTI IN PENSIONE A 65 ANNI
di Ugo Picillo dell’Università di Napoli II

Rispondo ad un Ordinario settantenne.
Chiarissimo Prof. ho quasi 61 anni, ma sono ricercatore e per di più con 40 anni di contributi fra pochi giorni per cui anche per me si potrebbe chiudere il rapporto con l’università. Mi creda, non bisogna essere Ord o settantenni per avvertire la tristezza di una fase della vita che si chiude e di una “casa” che si lascia: chi di noi ha vissuto l’esperienza universitaria così come si deve ha gli stessi sentimenti, anzi più forti quando consideriamo gli anni in meno e la inaspettata soluzione; aggiungo che nemmeno la libera professione (che io esercito) riesce a compensare tutti gli aspetti negativi del momento. Mi consenta, però, una riflessione ed un appunto: se non vi fossero stati finora pensionameni di Ord. a 71,72,73, 74 etc. anni non vi sarebbe stata nemmeno la necessità di proporre la “rottamazione” dei ricercatori per i quali non si sono valutate onorevoli “vie di uscita” o soluzioni alternative atte a recuperare un indiscutibile patrimonio culturale e di esperienza a favore della didattica e della ricerca. Un domani che TUTTI dovessero sapere in partenza, che il pensionamento è fissato a 65 anni, come ho già auspicato su questo forum, ci sarà meno discriminazione, più competitività e le cose andranno molto meglio per la nazione.
Cordiali saluti e auguri di prosperità
Ugo Picillo
Ricercatore S.U.Napoli

Alessandra Negri
Alessandra Negri
14 anni fa

MEGLIO LASCIARE I PRIVILEGI AD ALCUNI?
di Alessandra Negri dell’Università del Piemonte

La ricerca e’ qualcosa che ti prende totalmente e che non ti lascia, siamo d’accordo. Ma si puo’ fare ricerca benissimo senza rimanere imbullonati a una cattedra. Il modo per continuare a fare ricerca si puo’ trovare mediante contratti di ricerca gratuiti, per esempio, che permettano il permanere nella “seconda casa” e di liberare risorse per i piu’ giovani. Credete che i giovani, se avessero la possibilita’ concreta di fare ricerca, la farebbero peggio? C’e di base un egoismo che non permette di capire che nessuno e’ insostituibile e soprattutto che l’esperienza di ordinario anziano, puo’ essere di aiuto a un giovane, ma solo se gli permetti di avere una posizione per farla. E se per dargli questa possibilita’ ti devi fare da parte, la tua coscienza di docente ed educatore ti dovrebbe far capire che il tuo sacrificio (piccolo, perche’ comunque avrai una pensione che nessuno dei precari odierni o anche di molti docenti piu’ giovani non si potranno mai sognare) e’ per una buona causa.
Poi possiamo discutere sul fatto che le risorse siano poche e che questo porti ad una guerra interna, e all’eliminazione fisica dei piu’ anziani, ma, per favore, risponda alla mia domanda professor Tucci: e’ preferibile secondo lei lasciare i privilegi ad alcuni e impedire COMPLETAMENTE ad altri di poter dare un contributo?

Francesco
Francesco
14 anni fa

I RICERCATORI INSEGNANO SENZA RICONOSCIMENTO
di Francesco Sansone

L’eliminazione della figura del ricercatore cosi’ come di fatto e’ intesa e programmata nel DDL Gelmini, con umiliazione di coloro che attualmente rivestono tale ruolo, è del tutto criticabile come sostiene la collega Miriam Del Salto e non si capisce la posizione di neutralita’ se non addirittura di consenso da parte dei Rettori nei confronti di questo progetto. Allo stesso tempo pero’, la comprensibile avversione a tale prospettiva rischia di porre piu’ o meno inconsapevolmente gli stessi “contestatori” di questa linea a difesa di una distorsione e di una contraddizione profonde che ruotano attorno a questa figura tutta tipica del nostro paese: l’assoluta necessita’ che il ricercatore, pur non prevedendolo i suoi compiti, insegni tanto quanto un professore ma non venga considerato tale. Gli anni, i fatti e l’esperienza di molti che rivestono questo ruolo dimostrano che l’Universita’ italiana non ha bisogno di ricercatori, ma di professori che fanno ricerca, come del resto succede in tutti gli altri paesi con sistemi universitari avanzati ed efficienti. Lo dimostra il carico didattico sostenuto proprio da tanti ricercatori, e non per colpa delle presunte proliferazioni, ma per tenere in vita corsi di discipline fondamentali per un paese che vuole essere all’avanguardia e competitivo scientificamente e culturalmente. Gli attuali pensionamenti e il sostanziale blocco del turnover sin da ora mettono a nudo ulteriormente e sempre piu’ chiaramente questa situazione per altro gia’ lampante e sara’ sempre piu’ cosi’ nei prossimi anni, dato l’elevato numero di ritiri dall’attivita’ tra ordinari e associati. Ad essere in pericolo di sopravvivenza non e’ il sempre citato corso sul benessere del gatto, ma offerte didattiche di base che come detto gravano in buona parte sulle spalle di persone, i ricercatori, a cui pero’ ci si ostina a non volere riconoscere quello che stanno facendo. E questa uguaglianza di compiti e doveri a fronte di differenze di diritti e riconoscimenti e’ ormai senza giustificazioni. Considerando poi che e’ insito nell’universita’ la simbiosi tra didattica e ricerca, ulteriormente si ribadisce la necessita’ di professori che facciano ricerca di qualita’ e non di ricercatori “puri” che, invece, dovrebbero poter essere accolti da altri enti come il CNR, ma non solo, dove non e’ previsto l’insegnamento in modo istituzionalizzato. Allora ben venga l’eliminazione della figura del ricercatore se con essa si intende provvedere 1) al riconoscimento immediato, dopo opportuna valutazione del curriculum, del ruolo di professore ai ricercatori che gia’ sono professori di fatto per attivita’ didattica e produzione scientifica e 2) alla definizione di una rigorosa distinzione del carico didattico stesso se si volessero eventualmente mantenere piu’ fasce della docenza, ma comunque sempre nell’ambito di un solo stato giuridico. Rinviare questo cambiamento perpetuerebbe una ingiustizia ormai insopportabile. In questo senso, in prospettiva, anche il reclutamento dovrebbe avvenire nel ruolo di professore, con l’attribuzione di un compito didattico e dei mezzi per portare avanti i progetti di ricerca che a quel punto dovrebbero anche diventare uno dei motivi del reclutamento di una persona piuttosto che di un’altra. Questo significa condividere i contenuti del DDL Gelmini? No di certo, perche’ secondo quanto previsto da quel progetto i ricercatori a tempo determinato non sarebbero in tenure track come la si intende nei paesi avanzati, ma costituirebbero solo una nuova truppa di precari senza alcuna certezza di essere chiamati anche nel caso lo meritassero. E no perche’ secondo il DDL, l’eliminazione dei ricercatori attualmente in servizio avverrebbe nella deprecabile forma dell’inserimento, senza prospettiva, su un binario morto senza alcun riconoscimento per cio’ che gia’ ora stanno facendo.

Gianrocco Tucci
Gianrocco Tucci
14 anni fa

UN ORDINARIO SETTANTENNE CHE DESIDERA CONTINUARE
di Gianrocco Tucci dell’Università di Roma “La Sapienza”

Un intervento sui commenti delle colleghe Del Salto e Campani, che per loro tramite rivolgo anche a coloro che sono con esse solidali. Sono un ord. (abbrevio perchè oggi come oggi il termine non è gradito e si deve provare solo un senso di colpa ad esserlo!) per giunta settantenne che non se ne vorrebbe andare e che per giunta non possiede il requisito di essere parte di un progetto di ricerca “europeo”, ma solo quello della responsabilità scientifica di un programma – esteso nel tempo – di un solo Ateneo nazionale, pur noto e valido come “La Sapienza”. Così esposta, la cosa può apparire ai benpensanti come da respingere per la mancanza dell’etichetta formale di “ricerca europea”. Automaticamente ne scaturisce il dovere di punizione sotto forma di espulsione senz’appello del malcapitato responsabile, approfittando – con mal celato cinismo – di una complice e “lungimirante” normativa.
Risulto, quindi, all’osservatore comune semplicemente “sfortunato”. Aggiungo di mio che sono anche uno “sprovveduto”; infatti, non mi costa ormai nulla confessare che nel corso della vita accademica non mi sono mai dedicato ad alcuna attività esterna, defatigante ma lucrosa. Non credo di essere un isolato nè a Roma nè – a maggior ragione – in tutta Italia. Per quanto mi riguarda, con una punta di autolesionismo rincaro la dose e presuntuosamente ammetto che con quel poco di materia grigia che mi deve essere rimasto sono arrivato a comprendere che al mio attivo ho un solo vantaggio: quello di aver conservato – se non altro – le energie per non sentirmi sulla soglia della putrefazione cerebrale o – per dirla comunemente – del rimbambimento. Allora, oso persino confidare che un qualche lasso di tempo mi sia ancora riservato prima di giungere a tale stadio.
Bando all’ironia. Con serietà vorrei dire ai giovani che comprendano – prima che arrivi il loro inevitabile momento per farne esperienza diretta – come sia doloroso troncare ogni legame con la propria “seconda casa” e come vi sia il desiderio di continuare ad andare avanti senza per questo voler togliere il sacrosanto spazio ad alcuno (tanto meno – in questo caso – ai ricercatori) o voler incidere sullo scampolo di risorse per la ricerca al quale immancabilmente si giunge nel nostro Paese.
Ciò che domando è di avere un “cantuccio” (5 o 5,5 metri quadri?) per continuare a lavorare e che non mi venga cancellato l’indirizzo per accedere alle “banche-dati” dell’Ateneo. E’ troppo? Certamente sì se si pensa che un “accademico” sconosciuto ai più possa dare con il suo lavoro ‘un sostanziale contributo al prestigio internazionale dell’Università’.
Ed allora che giustizia sia fatta e che la scure si abbatta sulla mala pianta, senza pietà! Ma prima di porgere il capo al “boia” (mai termine fu più appropriato), chiederò venia per rappresentare ciò che taluni considerano un malaugurato “errore” nel processo evolutivo culturale.
Gianrocco Tucci

Giovanna Campani
Giovanna Campani
14 anni fa

IN PENSIONE A 65 ANNI
di Giovanna Campani dell’Università di Firenze

Anche io trovo stupefacente che per ringiovanire l’Università italiana la soluzione sia abolire i ricercatore e non mandare in pensione tutti gli accademici a sessantacinque come fanno in Francia (tranne le persone con figli che possono, giustamente, recuperare qualche anno -che é anche un principio civile…la maggior parte delle donne in particolare hanno consacrato alcuni anni ai figli, anziché alla carriera). Sconvolgente…gli ordinari che nemmeno a settant’anni se ne vogliono andare…e non perché abbiano progetti di ricerca europei da finire, avendo portato fondi, come avviene nei paesi europei, civili, dove si resta se vi é un sostanziale contributo al prestigio internazionale dell’Università…no…per diritto acquisito…anche se non hanno un progetto europeo e non producono più nulla da anni…
Giovanna Campani

Miriam Del Salto
Miriam Del Salto
14 anni fa

PER RINGIOVANIRE: TUTTI IN PENSIONE PRIMA E NON ABOLIRE I RICERCATORI
di Miriam Del Salto

Stupefacente! Per ringiovanire l’università italiana serve abolire i ricercatori. E io che, calcoli matematici alla mano, mi ero convinta che la causa dell’età media così alta sta nel fatto che i nostri professori vanno in pensione 5 o 10 anni più tardi dei loro colleghi della nazioni più avanzate…

Se fossimo in Germania, in Francia, in Giappone o in Gran Bretagna il prof. Decleva sarebbe in pensione già da 4 anni ed eviterebbe di creare, con i suoi 69 anni, un problema di ringiovanimento del nostro corpo accademico. Ma la matematica per i rettori italiani da tempo è diventata un’opinione!

Graziano
14 anni fa

L’AUTOGOVERNO E’ NELLA COSTITUZIONE
di Antonino Graziano dell’Università di Catania

La Corte Costituzionale ha avuto occasione di affermare che “l’autonomia accademica si traduce in definitiva nel diritto di ogni singola università a governarsi liberamente attraverso i suoi organi e, soprattutto, attraverso il corpo dei docenti nelle sue varie articolazioni, così risolvendosi nel potere di autodeterminazione del corpo accademico (cosiddetto autogoverno dell’ente da parte del corpo docente)” (Corte cost., n. 1017 del 1988).
Un DDL che prevede una cancellazione dei diritti di auto determinazione di tutto il corpo accademico nel governo delle Università darà origine ad una ondata di ricorsi giuridici e ad un movimento che vedrà realizzarsi la fine del feudalesimo universitario.

Salvatore Nicosia
14 anni fa

RETTORI SENZA DELEGA
di Salvatore Nicosia dell’Università di Palermo

Penso anch’io da mesi, e come me tanti colleghi – alcuni dei quali Presidenti di CCS, o componenti del SA, o del CdA – che in tutti gli Atenei i ricercatori e i Rettori stiano recitando una commedia surreale.
Noi sopportiamo ritardi indefiniti nel rimborso delle missioni; firmiamo docilmente documenti nei quali assicuriamo di aver fatto gli acquisti per la ricerca nell’interesse dell’Università (chi l’avrebbe mai detto); mostriamo di credere che l’indirizzo di fare ricerche e Tesi sperimentali solo su commessa esterna nasca solo dalle ristrettezze dei bilanci; ci lasciamo fare infine – dagli stessi autori di questo indirizzo – lezioni sui danni della separazione ricerca-didattica, un problema reale mal posto e male svolto.
Mi sembra che con questo spirito di solidarietà obiettivamente aiutiamo i rispettivi Rettori a governare; eppure ai Rettori evitiamo di chiedere di concordare in un’Assemblea di Ateneo la linea che anche in nome nostro, con la carica ricevuta da noi, essi sostengono nella CRUI. Nè i Rettori si offrono di farlo.
Si sa che quando i personaggi dei cartoni animati scavalcano il ciglio di un burrone ad occhi chiusi e tirano dritto, non cadono subito: precipitano solo e istantaneamente quando li aprono. Temo che noi ricercatori non possiamo contare sull’immunità della beata incoscienza di Paperino.
Salvatore Nicosia