(Sulla situazione dell’Università tedesca si segnalano gli articoli “La rivolta degli studenti seccchioni” su Repubblica del 17 novembre 2009 e “Università in piazza in 50 città contro il ‘Piano Bologna’” sul Manifesto del 18 novembre 2009)
Le università tedesche alle prese con il mercato
di Alessandro Somma
Su una cosa si può concordare con i liberisti: le crisi conducono all’espulsione dal mercato di chi non è capace di reggere la concorrenza. Certo, per i liberisti costituisce un fatto positivo, una sorta di salutare misura di eugenetica economica, che tuttavia mette in luce la radicale incompatibilità con il mercato di intere tipologie di beni o servizi.
Questa situazione interessa in modo più o meno diretto tutti i beni e i servizi che soddisfano diritti sociali, come ad esempio l’istruzione superiore. Se sino a pochi anni fa la costituzione di università private sembrava un fenomeno inarrestabile, da ultimo sembra invece che di inarrestabile ci sia solo il fallimento di simili imprese.
La tendenza si manifesta soprattutto in Germania, dove le università private sono una trovata relativamente recente e alla moda. L’entusiasmo che ha accompagnato il fiorire di atenei dai nomi scelti in un ufficio marketing, ha ora ceduto il passo a un grido di dolore: quello dei molti atenei privati costretti a chiudere o a chiedere a gran voce ingenti finanziamenti pubblici. E’ del resto questa la ricetta su cui si basa il successo del modello accademico statunitense. Lì le università che si reputano tra le più prestigiose al mondo sono private, ma comunque finanziate in modo assolutamente prevalente da denaro pubblico: condizione evidentemente irrinunciabile per poter sedere in vetta alle classifiche.
Sempre in Germania riscuote successo una diversa via alla privatizzazione del sapere: lo svolgimento da parte delle università pubbliche di attività didattiche e di ricerca concordate con privati finanziatori o da essi direttamente commissionate. I quali finanziatori sono ben contenti di ottenere a prezzi modici ciò che le università si trovano costrette a fornire, pena l’incapacità di provvedere alla propria sopravvivenza.
Questa forma di privatizzazione del sapere avviene senza formali imposizioni. Il crescente peso dei privati viene semplicemente incentivato, in particolare tramite l’elaborazione di criteri di valutazione della didattica e della ricerca che premiano le università e i ricercatori sensibili alle richieste del mercato.
Raffrontando il sistema universitario tedesco con quello italiano, così come prefigurato dai recenti provvedimenti sulla distribuzione dei fondi a vantaggio degli atenei meritevoli, si sono spese parole di apprezzamento per il primo e di critica per il secondo. In Germania i fondi distribuiti in base al merito sarebbero solo aggiuntivi e non riguarderebbero, come nel caso italiano, una quota delle somme destinate ad assicurare la sopravvivenza. Soli i tedeschi valuterebbero inoltre il merito secondo criteri considerati obbiettivi (lettera di Alberto Jori all’Andu).
A sentire gli umori che serpeggiano per le università tedesche l’impressione che si ricava è decisamente diversa. In Germania il finanziamento delle università considerate meritevoli è sicuramente cospicuo, soprattutto se raffrontato con quello elargito agli atenei italiani. Ma altrettanto sicuramente non lo è quello delle università che non sono considerate tali, condannate a un ridimensionamento senza ritorno delle attività scientifiche e a un conseguente impoverimento delle attività didattiche. Tanto che la Facoltà di scienze matematiche e naturali dell’Università di Kiel ha recentemente deciso di non partecipare più alle valutazioni della sua attività: determinano uno spreco smisurato di tempo e personale e sono inoltre condotte sulla base di criteri elaborati su misura per il mercato (lettera del Preside pubblicata sul sito di Forschung und Lehre).
Insomma, in Germania come in Italia la trasformazione del sapere in merce determina lo sviluppo delle sole cosiddette scienze esatte capaci di produrre profitti immediati. Nel campo delle scienze sociali la standardizzazione imposta dai meccanismi di valutazione svilisce invece l’approccio critico al sapere: che non teme il confronto con il mercato, ma che pretende di condurlo ad armi pari ed entro un rapporto in cui si determinano influenze reciproche.
In Germania come in Italia l’ideologia della concorrenza tra ricercatori e università sta trasformando una comunità votata alla cooperazione e alla critica in un esercito di benevoli adoratori del mercato, in lotta per vendersi al miglior offerente.
[…] – tre commenti (Graziano, Mario Ascheri, Franco Piperno) all’intervento di Alessandro Somma “Università tedesche e mercato“. […]
Lungo la linea d’analisi del prof.Somma,credo che bisognerebbe aggiungere che la crisi dell’università europea non ò solo riferibile alla trasmissione del sapere ma anche è soprattutto alla qualità del sapere,diciamo così,prodotto. La tecno-scienza è per sua natura complice della forsennata crescita mercantile e dell’apparato militare industriale. Anche laddove il finanziamento dell’università pubbliche fosse adeguato o perfino generoso, resterebbe il problema di una ricerca divisa per discipline,il cui scopo non di conoscere la natura ma di dominarla manipolandola.Così,la tecno-scienza, un sapere diviso ed in mano ad un gruppo sociale ristretto, si presenta come un sapere assoluto che può essere appreso senza essere esperito– dimensione mitica che comporta una alienazione creata nell’università e risolubile dentro l’università stessa.
Caro Alessandro è un piacere leggerti!
Mi hai fatto venire in mente da Kiel che sarebbe interessante sapere quanto le univ. italiane e il ministero hanno speso nel 2008 diciamo per studiare come valutare e poi concretamente per i valutatori.
Almeno per sapere quanti libri perdiamo per dubbie attività condotte spesso con criteri anche più dubbi…
Mario Ascheri
“L’Università è un’istituzione autonoma che produce e trasmette criticamente la cultura mediante la ricerca e l’insegnamento. Per essere aperta alle necessità del mondo contemporaneo deve avere, nel suo sforzo di ricerca e di insegnamento, indipendenza morale e scientifica nei confronti di ogni potere politico ed economico”.
“l’autonomia accademica si traduce in definitiva nel diritto di ogni singola università a governarsi liberamente attraverso i suoi organi e, soprattutto, attraverso il corpo dei docenti nelle sue varie articolazioni,