Lettere morte a Repubblica e al Corriere della Sera

Tutte le controriforme universitarie (finta autonomia finanziaria e statutaria, finti concorsi locali, “3 + 2″, ecc.) si sono avvalse del pesante sostegno delle ‘grande’ stampa.

Anche per il DDL governativo su ‘governance’ e reclutamento la ‘grande’ stampa si e’ mobilitata ospitando articoli-spot e interventi dei soliti opinionisti accademico-confindustriali.

Si scrive su cose che non si conoscono e/o si inventa ‘liberamente’, senza dare possibilita’ ad altri di precisare e/o dissentire. La stampa da ‘regime accademico’ non lascia spazio: la demolizione dell’Universita’ statale voluta dalla Confindustria e dalla casta accademica va completata e presto.

In particolare a Repubblica e al Corriere della Sera sono state inviate due lettere: niente da fare, la liberta’ di stampa di cui tanto si parla non prevede di disturbare il manovratore.

Ecco le lettere non pubblicate:

1. LETTERA di Paola Mura dell’Universita’ di Padova a Repubblica. La lettera si riferisce all’intervento di Mario Pirani “O la Gelmini corre o la riforma fallisce” su Repubblica dell’11 novembre 2009

2. LETTERA di Salvatore Nicosia dell’Universita’ di Palermo al Corriere della Sera. La lettera si riferisce ai vari articoli relativi al DDL governativo sul Corriere della Sera del 30 ottobre 2009.

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1. LETTERA di Paola Mura a Repubblica NON pubblicata:

“Sono un professore associato dell’Universita’ di Padova (una di quelle virtuose il cui rettore fa riferimento ad AQUIS), e sono diventata tale con un concorso fatto ‘dopo il 1999′, quindi “passata attraverso il filtro di una sana competizione per merito” (Pirani su Repubblica del 9-11) e lavoro nell’Universita’ da più di trent’anni. Come spesso in questo periodo, sull’Universita’ mi ritrovo in totale disaccordo col giornale che su altri temi rappresenta bene il mio pensiero. La valutazione assolutamente positiva del ‘DDL Gelmini’ mostra infatti che delle due l’una: o non si e’ capito bene il contenuto del testo o non si conosce bene l’Universita’ italiana (o tutte e due).

Come si puo’ sostenere che il parere favorevole dei rettori sia la prova che il “metodo sia stato quello giusto e consenta di promuovere scelte ampiamente condivise”? Il DDL dà ai rettori il piu’ ampio potere di gestione che abbiano mai avuto, sul modello dell’amministratore delegato di un’ impresa, che comanda e non coordina (in una visione miope e vecchia anche dell’impresa). Certo che i rettori sono d’accordo. Ma l’Universita’ non e’ un’impresa e non ‘produce un prodotto’ qualsiasi, produce cittadini con le massime conoscenze possibili, nel nostro Paese, con gli investimenti che sono a questo dedicati e con la preparazione che le scuole arrivano a dare. Non ha per suo compito precipuo quello di sfornare quadri intermedi per fabbriche manifatturiere. Tendenzialmente insegna a pensare e a risolvere problemi nei vari campi in cui si esplica: curare malattie, progettare (circuiti, nuove tecnologie, modalità abitative sicure, strutture), cercare fonti di energia future, insegnare a gestire un’economia non basata sulla finanza fine a se stessa, portare ad una agricoltura e alimentazione sostenibile e sana, insegnare i valori, la storia e gli aspetti culturali delle civilta’, oltre a insegnare ad insegnare, a tutti, persino a leggere, scrivere, far di conto e ragionare in sequenza logica). Se l’industria italiana (sia la piccola industria che caratterizza buona parte dell’Italia, sia Confindustria, che sta cercando di ridurre l’Universita’ a un suo bacino di raccolta di forza lavoro poco qualificata, come e’ il prodotto della mediocrissima universita’ americana, tolte le poche ‘grandi’) non vede in questo un ‘prodotto interessante’, il problema e’ suo, che rimane un industria piu’ legata al XIX-XX secolo che al XXI.

Nonostante le grida populistiche sul ‘togliere potere ai baroni’ della ministra e di tutti quelli che le fanno il coro, questa ‘riforma’ concentra tutto il potere nelle mani proprio dei baroni, intesi come professori ordinari legati ai poteri forti, accademici ed extraaccademici, gli unici che potranno fare parte degli organi di gestione, oltre agli esterni nominati non si sa bene da chi e a quale livello. Ma lo sa il ministro Gelmini che nei CdA delle universita’ ci sono sempre stati rappresentanti del territorio (enti pubblici, industria, commercio) e che  spesso non partecipavano alle riunioni, se partecipavano non prendevano posizione e se la prendevano spesso non avevano capito tutti i lati del problema?

Quanto ai concorsi, sia chiaro che quando si lascia l’ultima parola alla prova locale, è sempre il barone di turno che decide, e che non siamo in presenza di nessuna tenure track, perche’ la legge, proprio per non toccare quel potere che tanto dichiara di voler smantellare, scrive che  gli atenei POSSONO decidere di chiamare chi ha fatto l’abilitazione nazionale. E ci risiamo, se il tuo barone ti vuole, ti fa il concorso locale (che continua, piu’ o meno indirettamente, a  gestire), se non ti vuole, puoi anche essere il piu’ bravo ma resti con la tua coccarda di ‘idoneo’, ‘per la gioia dei bambini e per la gioia di mamma’.

Il risultato che stanno cercando in tanti, da destra e da sinistra fin dal 1980 e’ quello di distruggere la III fascia della docenza, che permette uno sbocco credibile, dignitoso e utilissimo all’universita’ per tutti quei giovani che vorrebbero entrare nell’Universita’ stessa e poter contemporaneamente vivere (anche se non hanno famiglie abbienti alle spalle) e di render l’Universita’ statale un bacino eterodiretto, da sfruttare

Che tutto cambi perche’ niente cambi (anzi peggiori). Mi sembra di averlo gia’ sentito.

Paola Mura – Universita’ di Padova”

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2. LETTERA di Salvatore Nicosia al Corriere della Sera NON pubblicata:

“Per l’ostinata, sentimentale convinzione che il Corriere sia sempre il Corriere vorrei offrire l’altra meta’ di solo alcune delle mezze verita’ delle quali e’ fatto il paginone sul DDL sull’Universita’ del 30 ottobre 2009.

Partecipazione dei privati al Consiglio di Amministrazione delle Universita’: in misura limitata e’ prevista gia’ dalle leggi attuali. Aumentarla al 40% sarebbe naturale se Imprese, Fondazioni e mecenati finanziassero la ricerca e la didattica al 40%; ma questo in Italia non succede, ne’ il DDL governativo lo prescrive come requisito. Che cosa amministrerebbero questi signori allora? Denaro non loro, un’Istituzione nella quale non rischiano nulla? Nessuna Universita’ americana lo ammetterebbe. Nessuna industria, banca o cooperativa di nessun Paese lo accetterebbe.

Carriere dei ricercatori a contratto: nell’articolo sembrano ampie e dritte.  Nessuno in Redazione ha voluto scrivere un occhiello per ricordare ai lettori che per le attuali norme sul pubblico impiego ci sara’ solo 1 assunzione ogni 5 pensionamenti circa. Questa percio’ diventera’ in realta’ una fascia di docenti precari, che dovranno fare ricerca e didattica (come quelli di ruolo attuali) ma alla fine dei sei anni saranno giudicati solo sulla ricerca.

Stipendi dei prof: credo bene che lo stipendio iniziale salirebbe a 2.100 euro: questo e’ semplicemente l’attuale stipendio di un Associato. Sparisce lo stipendio di 1.300 perche’ spariscono i Ricercatori di ruolo. Meglio del Mago Silvan.

Trovero’ il professore in cattedra, esulta una studentessa. Giusta aspirazione; ma in cattedra, o in Biblioteca o in Laboratorio ne trovera’ 1 su 5 attuali. Dovra’ dimenticarsi gli esami orali guidati, le revisioni dei progetti a piccoli gruppi, le pazienti correzioni della sua Tesi inclusi gli errori di grammatica.

Un complimento ai redattori dell’articolo bisogna pur farlo: per avere trovato un vera perla, la studentessa di Chimica che mette in ridicolo il Corso di Chimica dei coloranti. Una Chimica che e’ vecchia quanto il mondo (della porpora scriveva gia’ Omero) ma sempre nuova. Se dalla lavatrice di questa Vispa Teresa il bucato non esce tutto di un colore lo si deve proprio a quella chimica: strano che in Italia occorra rammentare questi semplici fatti.

Sinceramente

Salvatore Nicosia – Facolta’ di Ingegneria – Universita’ di Palermo”

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Carlo Maxia
Carlo Maxia
14 anni fa

Penso che occorrerebbe tempestare di email simili (o le medesime) i siti di Repubblica e del Corriere, oltre che pubblicarle nel maggior numero di blog possibili