Diffondiamo il testo di un intervento inviatoci da Peppino Ortoleva, ordinario di storia e teoria dei media nell’Universita’ di Torino, a commento dell’articolo “Vanno aboliti i corsi triennali di psicologia“, su AffarieFinanze di Repubblica del 28.9.09.
“Cari amici
mi preoccupa, e non poco, la china su cui sta scivolando una discussione che in precedenza era riuscita a mantenere toni seri e di reciproco rispetto: dando spazio al dissenso senza cadere in rissa.
Uno dei difetti piu’ tremendi dell’universita’ italiana (e non solo dell’universita’) sembra la difficolta’ di gestire quell’ingrediente essenziale, quella ricchezza primaria della vita delle comunita’ scientifiche e piu’ in generale dell’opinione pubblica che e’ la diversita’ delle posizioni. Nel nostro universo ci si da’ reciprocamente ragione a prescindere (salvo il parlar male alle spalle), oppure ci si prende a male parole, spesso bene al di la’ delle diversita’ effettive. Cerchero’, anche per alleggerire il clima, di esprimere civilmente, e con chiarezza, i punti che mi separano da tutti quelli che sono intervenuti.
Credo che il 3+2 sia stato introdotto in modo sbagliato (e che questo non sia neppure il peggiore dei misfatti o degli errori della gestione Berlinguer: lo smantellamento di fatto del CNR mi sembra decisamente peggiore) per la fretta e per la mancata valutazione delle conseguenze. Non sono d’accordo con Moscati che i tempi della politica lo imponessero; il fatto che i tempi di tutti i cambiamenti siano tendenzialmente biblici nel nostro paese non giustifica l’ultradecisionismo dei governanti e i diktat magari a corrente alternata che si sono susseguiti negli anni; ne e’ anzi l’altra faccia. Anche perche’ i “risultati immediati”, da Berlinguer a Gelmini sono sempre piu’ che altro a beneficio dell’immagine del ministro e del governo, per il resto sono molto poco “risultati” e di immediato producono solo sconquassi che sara’ poi difficile rimediare nei tempi medi e lunghi della vita delle istituzioni.
L’osservazione di Moscati sugli ordini professionali, invece, coglie uno dei punti principali del problema ma in modo a mio vedere contraddittorio: se era decisiva, come era, l’accettazione da parte degli ordini professionali, allora motivo di piu’ per non fare le cose inutilmente di corsa, dando agli ordini l’alibi non per accettare la nuova impostazione per fare quello che hanno fatto, cioe’ sfruttare la situazione a proprio beneficio. C’e’ in più un errore di fondo. E’ evidente che gli ordini sono uno dei peggiori freni a ogni cambiamento in Italia. Un governo che voglia trattare con loro da posizioni di forza, ammesso che qualcosa di simile sia all’orizzonte, dovrebbe farlo in modo coerente su tutti i fronti. In particolare un ministro dell’universita’ che vuole negoziare con loro sul serio deve avere come contraltare un ministro delle attivita’ produttive che sta ridimensionando il loro potere. In un paese in cui l’unico che ha parlato di liberalizzazioni si e’ fermato ai taxi e a qualche farmaco sui banchi delle coop, pensare che una riforma male impostata e frettolosa dell’universita’ venga accolta dagli ordini diversamente da come hanno fatto, cioe’ imponendo il massimo delle restrizioni nell’accesso al mercato e privilegiando direttamente o indirettamente figli e parenti, o e’ un’ingenuita’ o peggio. Ora, quando la crisi sta per la prima volta incidendo davvero anche su avvocati, notai, giornalisti, si puo’ prevedere un ulteriore plus di resistenza corporativa.
A questo punto il 3+2 c’e’, e siamo d’accordo tutti, anche Israel, che non si parla di smantellarlo ma di rivederlo. Nelle (non poche) facoltà dove il problema degli ordini non e’ così rilevante, si puo’ ripensare l’ordinamento con molta libertà, lavorando a profili professionalizzanti che tengano conto dell’universo del lavoro quale realmente e’, riavvicinando insomma l’universita’ alla vita effettiva della societa’ non con vacue parole d’ordine managerialiste ma usando il nostro strumento principale, conoscere e pensare. Nelle facolta’ dove il potere condizionante degli ordini e’ più forte si dovra’ aprire con loro una trattativa pubblica, anche dura, che cerchi di informare della posta in giocoi diversi soggetti coinvolti. Facendo molta attenzione a un altro problema grave. I rapporti con gli ordini professionali di molte facolta’ di giurisprudenza, di architettura, di medicina sono tradizionalmente molto condizionanti. Oggi si deve riflettere se non si comincino a configurare autentici conflitti di interessi e se non si possano stabilire nuove regole di incompatibilita’. (Lasciatemi essere utopista).
Dappertutto inoltre va affrontato un problema gravissimo sempre taciuto: lo strapotere che la confusione oggi prevalente nel sistema accademico sta dando alla burocrazia universitaria (un grande potere occulto che spesso si nasconde dietro la finta democrazia dei consigli) e ai sistemi informatici da questa impostati.
Il malfunzionamento del 3+2, parlo anche per esperienza diretta, nasce in parte consistente da vincoli racchiusi in oscuri regolamenti mai seriamente discussi, in prassi applicative pasticciate, difficilissime da comunicare a studenti e famiglie, spesso difficili da comprendere anche per noi. Questo messaggio e’ già troppo lungo, altrimenti ne darei qualche esempio istruttivo.
Spero che queste mie osservazioni trovino molte opinioni dissenzienti
In amicizia
Peppino Ortoleva”