Michele Ciliberto “La fine dello stupore e la fine dell’Universita’”

14 luglio 2008 – ANDU
Riportiamo in calce il testo dell’intervento di Michele Ciliberto “La fine dello stupore e la fine dell’Universita’”, apparso sull’Unita’ del 12 luglio 2008. Sulla parte dell’intervento di Ciliberto riguardante l’Universita’ – in gran parte condivisibile – vogliamo fare una precisazione e una sottolineatura.

La precisazione.
Michele Ciliberto nel suo intervento sostiene che “il mondo universitario e’ rimasto silenzioso e seduto”. In realta’ da tempo molti Organi collegiali e la stessa CRUI hanno analizzato e denunciato i gravissimi contenuti del Decreto-Legge. In questi giorni stanno crescendo le prese di posizione e le iniziative di protesta in quasi tutti gli Atenei.
Inoltre la maggior parte delle Organizzazioni della docenza ha tempestivamente e duramente criticato il Decreto-Legge.
In particolare l’ANDU gia’ il 26 giugno 2008 ha diffuso un documento la cui prima parte qui riproponiamo anche per evitare che la protesta, che certamente crescera’ in quantita’ e qualita’, sia strumentalizzata, come e’ gia’ in parte accaduto in occasione della mobilitazione contro la Legge Moratti.
Del documento dell’ANDU riportiamo anche il commento all’art. 17 del Decreto-Legge, riguardante l’IIT di Genova, la cui portata e il cui significato non sembrano siano state ancora sufficientemente ‘apprezzati’ nel mondo universitario.
Dal documento dell’ANDU del 26 giugno 2008:
“Con il Decreto-Legge 112/08 pubblicato sulla G.U. del 25 giugno 2008 si accelera il ‘lavoro’ di demolizione dell’Universita’ statale, condotto da decenni da un potente gruppo accademico-politico-confindustriale, che ha ‘utilizzato’ tutti i Ministri, tutti i Governi e tutti i Parlamenti
succedutisi.
In tutti questi anni, la devastante attivita’ di questa oligarchia e’ stata puntualmente documentata e denunciata dall’ANDU, senza pero’ ottenere un’adeguata reazione da quella parte del mondo universitario che ritiene fondamentale per il Paese e per la sua stessa democrazia una Universita’ statale, democratica, autonoma, di massa e di qualita’. Per realizzare e difendere questo tipo di Universita’, l’ANDU ha da anni elaborato e proposto un progetto di radicale riforma dell’Universita’, complessiva e
dettagliata.
I contenuti del DL non sono nuovi: essi sono stati ‘auspicati’ e/o ‘tentati’ e/o ‘praticati’ nel corso degli ultimi decenni, in maniera assolutamente trasversale, sulla base di una ‘ideologia’ italo-anglo-americana che in realta’ aveva e ha come vero obiettivo (gia’ in parte realizzato) quello di dirottare le risorse pubbliche per l’Alta
formazione e la Ricerca verso auto-proclamati centri di eccellenza. Lo strumento principale per imporre questo progetto e’ stato il Ministero dell’Economia, che ha di fatto avocato a se’ poteri propri dei Ministri formalmente competenti per l’Universita’ e la Ricerca. I contenuti degli articoli del DL (che qui si riportano) riguardanti l’Universita’ e la Ricerca comprovano quello che ormai si configura come un vero e proprio commissariamento dell’Universita’ da parte degli economisti del Ministero dell’Economia e dei loro ‘interlocutori’ accademici e imprenditoriali. ”
“IIT (art. 17 del DL, in calce riportato)
Le Universita’, specie quelle statali, – si sa – sprecano le risorse pubbliche e per questo e’ bene tagliare loro i finanziamenti e puntare su centri di eccellenza da inventare e da finanziare abbondantemente a parte (IIT di Genova, SUM di Firenze, IMT di Lucca). E all’IIT, centro che per eccellenza e’ il piu’ eccellente, presieduto dal Direttore Generale del Ministero dell’Economia e delle Finanze, si destinano ulteriori Fondi, devolvendogli “le dotazioni patrimoniali” della Fondazione IRI, con un
articolo del DL il cui titolo non lascia alcun dubbio sul fatto che l’IIT sia ‘depositario’ esclusivo dei “progetti di ricerca di eccellenza”. Il
Ministero dell’Economia continua a strangolare finanziariamente l’Universita’ statale e lo stesso Ministero continua a iperfinanziare una struttura presieduta dal suo Direttore generale!”La sottolineatura.
Michele Ciliberto nel suo intervento evidenzia un contenuto del Decreto-Legge la cui portata devastante per la liberta’ di insegnamento non e’ stata finora adeguatamente valutata e denunciata. Ci riferiamo a quanto previsto dal comma 11 dell’art. 72 del Decreto-Legge:
“Nel caso di compimento dell’anzianita’ massima contributiva di 40 anni del personale dipendente, le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 possono risolvere, fermo restando quanto previsto dalla disciplina vigente in materia di decorrenze dei trattamenti pensionistici, il rapporto lavoro con un preavviso di sei mesi.”

Testo dell’intervento di Michele Ciliberto comparso sull’Unita’ del 12 luglio 2008:

“La fine dello stupore e la fine dell’Universita’

Se un filosofo dovesse dire quale e’ uno dei segni piu’ tipici della crisi che sta attraversando il nostro paese potrebbe dire, a mio giudizio, che e’ la fine dello stupore, della capacita’ di sorprendersi, che come e’ noto e’ la prima sorgente della filosofia. In Italia, oggi tutto e’ ricondotto nei parametri dell’ordinario, del quotidiano, del feriale: anche le cose piu’ inconcepibili, fino a poco tempo fa, sono digerite, assorbite, metabolizzate senza alcuna difficolta’. Si e’ persa l’abitudine a dire di no, ad alzarsi in piedi: e di questo e’ una paradossale conferma il fatto che quando si protesta si usano toni esagitati, addirittura volgari, proprio perche’ protestare – dire no – e’ diventata un’eccezione, non piu’ la norma di un comune vivere civile. Questo accade anche quando si tratta delle regole che devono strutturare la vita istituzionale politica e sociale del paese. E’ un altro segno della crisi profonda che attraversa l’Italia: le regole appaiono una sorta di optional che il potere puo’
trasformare come meglio gli conviene, a seconda della situazione e perfino dei propri interessi privati. Si tratta di un tratto tipico del dispotismo, quale e’ gia’ delineato in pagine straordinarie di Tocqueville nella Democrazia in America: il dispotismo si esprime attraverso una prevaricazione dell’esecutivo sugli altri poteri e con un ruolo sempre piu’ ampio assunto dall’amministrazione, che diventa il principale motore dell’intera vita di un popolo. Le strutture dispotiche, infatti sono
incontrollabili: una volta messe in movimento invadono progressivamente tutte le sfere della vita sociale ed intellettuale, compresa ovviamente
l’alta cultura e le istituzioni attraverso cui essa si organizza. E’ precisamente quello che e’ accaduto in queste ultime settimane con il decreto del 25 giugno del 2008: “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita’, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria”. In esso e’ compresa una serie di disposizioni che muta profondamente l’assetto della Universita’ pubblica italiana accelerandone la crisi e la definitiva decadenza. Si
tratta, dunque, di disposizioni che avrebbero dovuto sollevare, se non uno scandalo, una discussione assai vivace; mentre invece, a conferma di quanto
sopra dicevo, con poche eccezioni, il mondo dell’Universita’ e’ rimasto silenzioso e seduto. Solo in questi ultimi giorni stanno cominciando ad affiorare prese di posizione piu’ nette come quella del rettore dell’Universita’ di Ferrara o del Preside della Facolta’ di Scienze dell’Universita’ di Pisa, il quale ha rotto il muro del silenzio scrivendo una lettera aperta dal titolo: “L’universita’ non e’ in svendita”. Qualche protesta, in verita’ c’era stata gia’ prima, ma aveva riguardato il fatto
che il decreto interviene sugli scatti di carriera di tutti i docenti trasformandoli da biennali in triennali. Il problema e’ pero’ ben piu’ vasto e riguarda direttamente la costituzione interiore della Universita’ italiana ponendo anche delicati problemi di ordine costituzionale. Mi limito a segnalare quelli che a mio giudizio sono i punti piu’ importanti.
Le Universita’ possono costituirsi, su base volontaria, come fondazioni di diritto privato, si dice nel Decreto, venendo incontro sul piano legislativo a un’istanza proveniente gia’ da molto tempo soprattutto da settori industriali. Su Il Sole 24 Ore il provvedimento e’ stato infatti presentato da Giovanni Toniolo come “un’ottima notizia, la migliore che abbia sentito in quarant’anni di vita accademica”. Personalmente, non ho dubbi che sul tema delle fondazioni si debba discutere ed aprire un forte
dibattito, ma sapendo che – se non ben governata – questa e’ la via dell’integrale privatizzazione dell’Universita’ italiana, con il rischio effettivo sia di ledere il principio della liberta’ dell’insegnamento sia di ritrovarsi in una situazione come quella americana nella quale accanto alle top ten esistono migliaia di universita’ di livello inferiore ai nostri licei.
Ma che l’Universita’ pubblica sia al centro di un vero e proprio attacco in queste disposizioni e’ dimostrato anche da altri elementi. E’ bloccato il turn over: si prevedono infatti assunzioni nei limiti del 20% per il triennio 2009-2011 e del 50% a partire dal 2012. Ne’ e’ difficile anche in questo caso immaginare gli effetti di questa disposizione sull’Universita’ in generale, specie su quelle medio – piccole e anche su quelle scuole di eccellenza che si giovano di un corpo di docenti limitato. Privatizzazione, da un lato; ricostituzione di una forte dimensione centralistica,dall’altro: all’Universita’ infatti restera’ in cassa soltanto il 20% delle “quote” dei docenti andati in pensione, tutto il resto andra’ all’amministrazione centrale la quale ha gia’ tagliato il finanziamento di
Euro 500.000.000 in tre anni. Privatizzazione, centralizzazione (nonostante tutta la retorica sul federalismo) e, infine, colpi durissimi al personale docente per il quale
si prevede una sorta di vera e propria rottamazione. La questione dello stato giuridico dei professori universitari e’ annosa; il Ministro Mussi era intervenuto su questa delicata questione riducendo, e di fatto avviando alla fine, il fuori ruolo, – decisione che si puo’ anche comprendere se si tiene conto che si tratta di una vecchia disposizione, risalente a tutt’altra situazione, la quale consentiva ai professori di continuare a godere del proprio stipendio, pure essendo fuori dai ruoli dell’insegnamento.
Ma queste disposizioni si muovono su ben altro piano colpendo sia la possibilita’ che i professori universitari, come ogni altro dipendente dello Stato, hanno di poter continuare a lavorare- cioe’ insegnare – due anni dopo l’eta’ pensionabile (a insegnare, sottolineo); sia la stessa possibilita’ che possano continuare a restare nei ruoli qualora abbiano compiuto quaranta anni di insegnamento, qualunque sia la loro eta’ (compresi dunque quelli che sono andati presto in cattedra). Ad essere sintetici: prima il biennio era una scelta del docente; ora diventa una concessione dell’amministrazione da cui dipende. Allo stesso modo e’ l’amministrazione che decide se rottamare un professore, oppure tenerlo in servizio fino al raggiungimento dell’eta’ della pensione stabilita della legge, che il decreto tende invece ,surrettiziamente,ad anticipare anche di parecchi anni con una chiara lesione dei diritti costituzionali dei docenti. In entrambi i casi c’e’ una totale prevaricazione sulla figura dei
professori da parte dell’amministrazione locale e soprattutto di quella centrale che diventa il vero arbitro della situazione. Infatti, se anche
l’amministrazione universitaria locale fosse orientata a concedere il biennio o a rinviare la rottamazione, l’amministrazione centrale potrebbe
costringerla a procedere in questa direzione con ulteriori, drastiche riduzioni del fondo di finanziamento ordinario.
Non si tratta di questioni sindacali, o di interesse puramente corporativo: in ballo c’e’ ben altro. Se queste disposizioni vanno avanti ne discendera’ un controllo dispotico, e col tempo totale, dell’amministrazione centrale sulle carriere dei professori universitari e di conseguenza sull’Universita’ italiana. Quella che dovrebbe essere il centro della liberta’ intellettuale e di ricerca del paese, costituzionalmente garantita, corre dunque il rischio di essere controllata e irreggimentata a tutto vantaggio delle universita’ private che potranno darsi gli statuti piu’ adeguati al loro sviluppo, attraendo tutti i professori che non vogliono essere sottoposti a forme di controllo centralistico destinate ad assumere – non e’ difficile prevederlo – connotati ideologici e politici assai precisi. Mentre nelle Universita’ pubbliche diventera’ fortissima,
temo, una spinta in direzione del conformismo, della passivita’, dell’autocensura dei professori universitari con un colpo assai grave per quella autonomia e liberta’ dell’insegnamento che e’ esplicitamente prevista dall’art. 33 della Costituzione.
In ultima istanza, questo – la liberta’ di insegnamento e le forme in cui essa puo’ e deve esplicarsi – e’ dunque il vero problema che il Decreto del 25 giugno 2008 pone all’Universita’ italiana: che di fronte a tutto questo -e alla stessa forma del decreto,cosi’ impropria per decisioni di tale rilievo-non si sia ancora accesa una discussione critica e che siano pochissimi quelli che hanno deciso di alzarsi in piedi puo’ certamente sorprendere; ma sorprende meno se si tiene conto di quello che dicevo
all’inizio: il nostro paese e’ pronto a tutto, anche ad inghiottire in silenzio la fine dell’Universita’ pubblica e della liberta’ di insegnamento.”

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