Riportiamo il secondo intervento di Guido Martinotti sul dottorato

(Martinotti si riferisce ad un precedente intervento di Franco Di Quarto
che si riporta in calce).

“Non vorrei entrare nel dettaglio del mio disaccordo, ma indicare tre punti fattuali piu’ una constatazione finale:

A) Che il dottorato sia il terzo livello dell’istruzione superiore non lo dico io, ma lo dice un accordo internazionale, come ci ricorda Luciano Guerzoni: “Preciso soltanto che alla previsione del dottorato come terzo livello della formazione universitaria l’Italia e’ gia’ impegnata, al pari degli altri 44 paesi europei del “Bologna Processus”, dal comunicato congiunto del vertice di Berlino (2003).”. Non voglio entrare nella discussione se a me piaccia o no, perche’ non si puo’ sempre ripartire da zero in tutto. E’ la scelta del dottorato europeo, noi come paese abbiamo aderito e io come cittadino do per acquisito questo tratto.
B) Il dottorato americano e’ altra cosa e sostanzialmente, nella pratica, l’apprendistato per la carriera universitaria, anche se poi in base alle discipline (in sociologia per esempio circa l’80% prosegue in universita’,
ma in altre materie vanno in parte all’industria, che pero’ fa ricerca)i
PhDs hanno destini i piu’ vari. Compreso quello, come PhD candidates di
nutrire l’amplissimo precariato in espansione degli adjuncts. Vedi lo
sciopero a NYU del 2005.
C) Non ho mai detto da nessuna parte che il dottorato non deve essere
attivita’ di ricerca. In quello che coordino personalmente il Dottorato
Interdisciplinare sulla Societa’ dell’informazione (DISI) – che comprende
oltre ai sociologi e pedagogisti “umanisti”, psicologi “sperimentali”, docenti di scienze ambientali e Informatica – i borsisti sono fortemente incoraggiati a entrare nei diversi programmi di ricerca del Programma QUA_SI, da cui dipende il dottorato. Semmai il dottorato attuale viene in genere accusato di non fornire abbastanza didattica formale.
D) Nella proposta di nuovo dottorato elaborata dal Ministero il legame tra
ricerca e didattica e’ ritenuto condizione essenziale per l’attivazione di un dottorato. Concordo al 100%e non ho mai pensato diversamente.

Poi ognuno ha le opinioni che ha. La mia e’ che gli studenti universitari, a tutti i livelli debbano contribuire sostanziosamente agli studi che daranno loro una posizione favorita nelle societa’. E che la collettivita’ debba contribuire alle spese di coloro che sono bisognosi, come impone la Costituzione italiana, con meccanismi di attribuzione che siano il piu’ possibile lontani e indipendenti ( starei per dire schermati) dagli accertamenti di merito che non ne devono venire influenzati ne’ in un senso ne’ nell’altro. Che poi se i figli di papa’ vogliono pagarsi una gita nel dottorato, non me ne potrebbe interessare piu’ che di una bottiglia vuota, come dice Porthos. Se son bravi che paghino full fare. Se son cretini non
verranno ammessi. GM”

L’intervento di Di Quarto:

“Cari Colleghi,

ho l’impressione che dietro la stessa parola “dottorato di ricerca” ci siano visioni nettamente divergenti sulla struttura e funzionamento di un dottorato di ricerca nonche’ sulla sua necessita’ o meno di preparare alla ricerca sia essa di tipo accademico (quasi unica in Italia) o industriale (molto rara in Italia). Dalla visione di Martinotti (v. in calce) viene fuori che il dottorato di ricerca e’ un terzo livello di laurea (e giustamente fa notare Martinotti il cliente deve pagare i costi del dottorato cosi’ come per gli altri due livelli di laurea salvo l’intervento delle borse per i provenienti da famiglie economicamente deboli). Se e’ un terzo livello di laurea mi pare di capire che il ruolo del dottorato sara’ quello di un corso specialistico triennale dove ad una corposa attivita’ didattica (seminariale o ex
cathedra non importa) viene aggiunta una attivita’ di ricerca che dovrebbe
portare ad una tesi di dottorato come completamento e prova della acquisita specializzazione. Se mi e’ permesso semplificare, questo tipo di dottorato sarebbe la vecchia tesi di laurea ante-riforma Berlinguer fatta bene con un congruo numero di mesi a disposizione per fare un lavoro ben fatto e non sotto l’urgenza della vecchia laurea. Semplificando al massimo e con le dovute differenze e cautele chiamerei questo tipo di dottorato un dottorato alla americana (ma senza soldi provenienti dal “barone” che in genere sulla attivita’ di dottorato impernia dei contratti di ricerca con agenzie pubbliche o ditte private e pertanto paga sia i costi della iscrizione al dottorato sia il salario diretto al dottorando il quale non e’ piu’ “figlio di famiglia” anzi in numerosi casi e’ gia sposato e “tiene famiglia”). La discriminazione di classe nel caso della ipotesi di Martinotti uscerebbe dalla finestra per rientrare dalla porta principale. Infatti per i piu’ agiati il terzo livello di laurea diventera’ un “must” basato solo sulla disponibilita’ economica mentre solo i “genietti” provenienti dai ceti piu’ deboli godranno della possibilita’ di svolgere il dottorato finanziato. Il secondo aspetto che vorrei sottolineare e’ che in questa visione il dottorato difficilmente sarebbe una strada alla fine della quale il
dottorato saprebbe come si fa una ricerca scientifica, mentre probabilmente saprebbe molto bene i dettagli di una disciplina ecome si scrive un report o una dissertazione o anche un libro. Posso sbagliarmi ma ho la sensazione che questa visione coincida con una visione “umanistica” del ruolo del dottorato. Per quella che e’ la mia conoscenza di dottorati (scientifici) in Europa (ma non solo) la parte di attivita’ didattica e’ molto limitata e spesso si riduce alla richiesta di seguire un numero molto limitato di corsi (con esami finali) richiesti per approfondire la preparazione universitaria precedentemente raggiunta con la laurea (ora laurea di secondo livello o magistralis). Molto piu’ prosaicamente e piu’ comunemente all’estero (Svizzera inclusa) il dottorando viene scelto direttamente da chi paga il salario (tramite i contratti di ricerca o le dotazioni del proprio budget) magari richiedendo lettere di presentazione anche ai relatori che hanno seguito lo studente negli studi precedenti. Il dottorando svolge a tempo pieno attivita’ di
ricerca con un tutor piu’ anziano se necessario ed impara a fare ricerca sul campo diventando ricercatore piano piano e scrivendo lavori di ricerca, all’inizio visionati e refertati internamente dal tutor e successivamente anche senza il nome del tutor se e’ diventato indipendente scientificamente. Quest’ultima mi pare l’unica pratica reale per diventare ricercatori in un settore e la discussione finale della tesi di dottorato e’ in molti casi la discussione di tutto il lavoro di ricerca svolto nel
corso degli anni nel settore di ricerca in cui si e’ diventati specialista in grado di rispondere alle domande di commissari esterni (stranieri) esperti riconosciuti nel settore. A me pare che il concorso nazionale per partecipare al dottorato
finanziato dallo stato (e a prescindere dal reddito familiare (quando diventeranno adulti i dottorandi finanziati da mamma e papa’?)) e/o dalle industrie interessate ad avere lavoratori altamente qualificati per svolgere attivita’ di ricerca e sviluppo sia la via migliore specialmente se legata ad una intensa attivita’ di ricerca sul campo (o in laboratorio nel caso dei settori scientifici) che insegni al dottorando come si diventa ricercatori e non come continuare a superare esami di profitto.
Spero che questo contributo venga letto per quello che dice e senza paraocchi ideologici al fine di evitare che anche sulle cose concrete ci si divida sul “visto da destra visto da sinistra”

franco di quarto”

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