L’universita’ e quel mito dell’aziedalismo

Riportiamo il testo di un intervento di Paolo Pombeni (“L’universita’ e quel mito dell’aziedalismo”), comparso su Repubblica di Bologna del 15 luglio 2007. Pombeni si riferisce ad un precedente intervento di Giliberto Capano (“Statuto e ateneo. Guardiamoci dentro davvero”), comparso su Repubblica di Bologna del 12 luglio 2007 (v. nota).

L’intervento di Capano comincia con: “L’Universita’, in molti luoghi e in
epoche diverse, e’ stata spesso un campo di battaglia insanguinato”. Questo ha scritto in un libro importante (“The Great Transformation in Higher Education”), che dovrebbe essere letto da tutti i professori, Clark Kerr, uno dei piu’ grandi studiosi di politiche universitarie.”

Nota. Per leggere l’intervento di Capano:
http://www.magazine.unibo.it/NR/rdonlyres/ 0616CB82-654D-49AB-9711-917F1D3E10D6/91004/20070712.pdf

Da Repubblica di Bologna del 15 luglio 2007:

“L´universita’ e quel mito dell´aziendalismo
di PAOLO POMBENI

Confesso di non aver letto il libro che il collega Capano richiama in apertura al suo articolo sulla riforma dello statuto dell´universita’ (e che spero contenga qualcosa di piu’ significativo della banalita’ notissima che cita fra virgolette). Pero’ avendo letto un cospicuo numero di studi di storia costituzionale e di filosofia politica non ho potuto trattenermi da un moto di preoccupazione nel leggere le sue motivazioni: sono, in sostanza, le stesse che tutti gli scrittori antidemocratici hanno avanzato per dichiarare morto il sistema di governo fondato sulla rappresentanza e il costituzionalismo fondato sul “government by discussion”.
Capisco che oggi vada di moda una idea fintamente aziendalistica e
ingenuamente decisionistica, e che ci sia qualcuno illuso che questo possa essere il futuro dell’universita’. Pero’ sono idee sconfitte dalla storia, perche’ quel finto decisionismo e quella idolatria dell’efficienza non hanno mai prodotto niente di buono in politica. Max Weber, che e’ un classico che merita sempre di essere riletto, avverti’ in pieno questo dilemma, quando si confronto’ con la leggenda che il sistema “decisionista” prussiano sarebbe stato in guerra molto migliore delle democrazie e vide che nella prima guerra mondiale i decisionisti perdevano ed i democratici vincevano. La stessa cosa avvenne per fascismo e nazismo, che anche loro disprezzavano i “ludi cartacei”, le presunte messe in scena elettorali, ecc., ma non produssero davvero decisioni vincenti e furono sconfitte dalle democrazie che dichiaravano “decadenti”. Ora l’universita’ e’ un corpo politico, dotato di poteri di autogoverno da tempo immemorabile. Sarebbe ben buffo che proprio questo corpo, dove fra il resto si forma la coscienza civile delle elite dirigenti di un paese, non fosse in grado di reggersi sui principi del costituzionalismo (la decisione attraverso la discussione e il confronto e la rappresentanza).  Nessuno e’ cosi’ cieco da non vedere che questi delicati meccanismi si possono inceppare e sono a volte preda di degenerazioni. Succede nelle democrazie politiche e succede negli atenei.  Ma la soluzione non e’ abolire la democrazia, quanto piuttosto espungerne la sua deviazione (la demagogia, il consociativo sfrenato, ecc.) restaurando appunto la vera democrazia. E´ impossibile? Non credo proprio, a meno di non dichiarare la bancarotta delle nostre tradizioni civili. Certo e’ difficile, quando la situazione e’, come oggi e’, profondamente deteriorata e per di piu’ inserita in un sistema politico complessivo in gravissima crisi. Ma sono questi i momenti in cui gli uomini “politici” devono alzare la fiaccola della riscossa morale e della ricostruzione, anziche’ correre dietro alle vecchie illusioni del cesarismo (per di piu’ con “Cesari” improvvisati e in sedicesimo) e della dittatura dei presunti illuminati. Il rettore Calzolari ha lanciato la sfida di un discorso aperto sullo statuto. Io ormai sei anni fa avevo presieduto una commissione da lui incaricata di avviare quel processo. La commissione elaboro’ un documento che non muoveva nell’ottica di favorire nessuno e che proponeva un progetto di governo e di riforma istituzionale pensato per favorire la rinascita del protagonismo civile e culturale dell’universita’ e che quindi si basava su una democrazia “sana” senza rinunciare ai criteri della rappresentanza e del governo attraverso il confronto. Il rettore ritenne di buttare quel documento in un cestino, il che e’ naturalmente un suo diritto. Tuttavia esso testimonia che e’ perfettamente possibile, solo che si conosca un po´ di storia costituzionale e di filosofia politica (che sono strumenti piuttosto utili quando si devono scrivere “costituzioni” per corpi che si autogovernato), lavorare avendo di mira l´interesse generale e senza sfuggire ai nodi problematici che ci si trovano davanti. Quelle proposte erano pensate per aprire un dibattito e soprattutto per individuare problemi, non per costituire un libro sacro sui cui principi richiedere giuramenti. Allora il dibattito non si volle aprire e coloro che spinsero per questa decisione portano, credo, una parte non piccola di responsabilita’ della ingovernabilita’ che di tanto in tanto essi stessi denunciano. Oggi sembrerebbe che il dibattito si voglia riaprire. Per chi scrive cio’ va decisamente fatto nel solco della grande tradizione di autogoverno costituzionale di cui le universita’ furono testimonianza anche quando questi principi faticavano a penetrare a fondo nei corpi politici. Il resto sono vecchie illusioni riverniciate, poco adatte per rispondere ai problemi del XXI secolo che, come accade in tutte le epoche di transizione storica, sono fenomeni molto seri da affrontare con molta pazienza, tanto entusiasmo e la fatica della riflessione e dello studio. “

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