ALTRI TRE INTERVENTI SUL “3 + 2” CONVEGNO? Il 4 o l’11 luglio?

INTERVENTI.
Con l’autorizzazione degli Autori, diffondiamo gli interventi sul “3 + 2” di Carlo del Papa (Udine), Giorgio Inglese (Roma La Sapienza) e Alfonso Marini (Roma La Sapienza).

CONVEGNO?
Relativamente all’ipotesi di un Convegno nazionale sul “3 + 2” da tenersi il 4 luglio p.v. a Roma, assieme a diverse disponibilità di partecipazione personale pervenuteci, sono arrivati anche inviti a spostare in avanti la data preventivata. Potrebbe andare meglio martedì 11 luglio 2006? Invitiamo coloro che sono intervenuti on-line e coloro che sono interessati a comunicarci al più presto la loro disponibilità a partecipare di persona il 4 luglio o l’11 luglio 2006 a Roma al Convegno in modo da consentirci di decidere se ci sono o meno le condizioni per promuoverlo.

INTERVENTI SUL “3 + 2”

Carlo DEL PAPA (Udine)

Cari colleghi,
Sono sorpreso nel leggere commenti tanto sfavorevoli a proposito del livello della vecchia Università La fisica come “isola felice”. Ma davvero gli altri settori erano di così basso livello? Francamente stento a crederlo. I matematici italiani di basso livello? In molti anni di ricerca all’estero ho sempre visto gli ingegneri italiani come bravissimi e assolutamente alla pari professionalmente con gli ingegneri di altri paesi. Forse i letterati italiani erano inferiori? Dati i grandi nomi di cui sento
parlare, permettetemi di dubitarne. Se poi nei settori più recenti l’Università ha stentato a mettersi allo stesso livello degli altri paesi probabilmente ciò è dovuto agli scarsi investimenti che la Repubblica ha sempre fatto nel settore della ricerca. Credo che la vecchia Università italiana fosse perfettamente competitiva e valida e non posso allontanare il sospetto che si usi quest’argomento solo per giustificarne la riforma. Ma poi la riforma ha veramente bisogno di questo dubbio argomento? Le figure professionali che escono dal nuovo triennio sono sostanzialmente insegnanti e persone che svolgeranno un qualche lavoro nell’industria. Tre anni non sono sufficienti a far conoscere bene la materia ai futuri
insegnati? Via! Dunque siano il Ministero della Pubblica Istruzione e gli
industriali a valutare per bene il livello dei loro impiegati/insegnanti e diano un feedback all’Università, quando ciò sarà possibile. Per quanto mi riguarda, posso solo preoccuparmi dei futuri ricercatori che adesso si laureano in cinque anni e non più in quattro: andiamo meglio, non peggio e non solo in fisica, come rileva Bernardini. Il resto è organizzarsi bene nel nuovo quadro. Insomma andava bene la vecchia Università, ma la nuova potrà meglio adattarsi alle nuove esigenze del paese. Questo per me sarebbe tutto, se non fosse per il ruolo della ricerca che
sta diventando una Cenerentola. Possibile che tutti si preoccupino della didattica e nessuno della ricerca? Asor Rosa ha scritto un articolo eccellente sulla Repubblica sul ruolo (miserevole) dei dipartimenti e il prepotere delle Facoltà. Come si pretende di avere una ricerca forte, se il potere è tutto nelle mani delle Facoltà? Non so se Asor Rosa, che non ho il piacere di conoscere, fa parte di una “lobby trasversale” e me ne infischio. Se uno ha ragione, ha ragione.
Cordiali saluti
Prof. Carlo del Papa
Ordinario di Fisica Generale
Università di Udine

Giorgio INGLESE (Roma La Sapienza)

Cari colleghi,

ho affetto e stima per Carlo Bernardini, che è un grande scienziato e un elegante scrittore. Mi pare tuttavia che il suo ultimo intervento in rete (v. nota) rischi di contribuire a trasformare il dibattito sulla riforma universitaria in uno scambio rituale di luoghi comuni, pro e contro. Provo perciò a riassumere alcuni punti.
Le critiche più severe alla riforma vengono dai professori di materie umanistiche. Probabilmente ciò dipende dal fatto che la riforma non è adatta alle facoltà umanistiche. In ogni caso, io parlo solo di ciò che conosco, per esperienza diretta o per informazione attendibile, ossia delle facoltà umanistiche. Se nelle facoltà scientifiche la riforma funziona, tanto meglio. Nelle nostre facoltà, dunque, la riforma si è tradotta in:

1) moltiplicazione dei corsi di studi e competizione fra loro, al di fuori di ogni ragionevole programmazione riferibile per un verso alle risorse delle università, per laltro agli sbocchi professionali.
2) Percorsi di studio (triennali) troppo deboli, privi di effettiva consistenza professionale, contemporaneamente angusti (dal punto di vista del ventaglio disciplinare) e poveri (dal punto di vista dei contenuti). Noi leggiamo testi, e lassurda discussione sul peso degli esami misurato in pagine (!) è di per sé stessa esiziale.
3) Frammentazione del percorso di studi in moduli troppo piccoli e troppo numerosi. Si sta cercando di correre ai ripari, accorpando il più possibile i moduli. Cosa che i critici del 3+2 avevano suggerito fin dall’inizio (ricevendo in risposta, fra l’altro, esilaranti apologie del “frammento” i letteratura o nell’arte).
4) Sparizione della tesi di laurea, per tutti gli studenti che si fermano alla triennale. Era la prima, e per molti lunica, occasione di fare diretta esperienza di un lavoro scientifico originale. Per un po ha circolato lidea che si potesse diventare professori di lettere con una laurea triennale, senza aver mai assaggiato limpegno di una ricerca critica personale. Ora questa sciagurata ipotesi sembra tramontata, anche grazie alla severità delle nostre critiche.
5) Un grande messaggio ideologico: la laurea triennale è facile. Il combinato disposto tra la riforma universitaria e lo svuotamento degli esami di maturità ha prodotto (nelle facoltà umanistiche) un crollo del livello culturale medio degli studenti (nelle facoltà scientifiche, sento dire, si è tradotto in un crollo di iscrizioni ai corsi di laurea più duri ma forse mi sbaglio). Oggi la matricola media della mia facoltà non è in grado di fruire in modo efficace di un insegnamento di tipo
universitario (cioè non manualistico) in storia moderna o in letteratura italiana. Si pensa di istituire corsi di base, con lillusione di recuperare in qualche mese un debito (si dice così) accumulato in cinque anni di scuola superiore.
6) Riclassificazione degli atenei. Come ovvia conseguenza, se luniversità normale si dequalifica, alcune sedi o gruppi di docenti si autonominano di eccellenza. Ciascuno di noi è nellalternativa fra cercarsi una nicchia in un centro di eccellenza o continuare a battersi contro mulini a vento sempre più vorticosi.
7) Burocratizzazione del lavoro dei professori. La cosiddetta autonomia e la riforma hanno moltiplicato allinverosimile le sedi di decisione (e soprattutto di discussione), gli adempimenti burocratici, le ore perse in chiacchiere e in scartoffie. Non ci intendiamo più. Il senso delle parole cambia. Sento dire: qualità!. E penso che dovrei passare sui libri molte più ore di quanto non faccia. Invece si tratta solo di una chilometrica sequenza di moduli da riempire e rapporti da compilare.
8) Valutazione dei professori. Dio sa che cosa ci aspetta. E pensare che cè un modo semplicissimo, e sperimentatissimo, di valutarci: leggere quello che pubblichiamo e criticarlo. Forse è troppo faticoso per i valutatori.
9) Disaffezione. Ne verremo mai fuori? Riusciremo a trovare almeno un
compromesso intelligente tra le buone intenzioni che, ne sono certo, animano sia i riformisti che i critici? Chissà. Poiché sono ancora lontano dalletà di pensione, mi costringo a sperare.

Fraterni saluti a tutte e a tutti.
Giorgio Inglese (prof. ord. di Letteratura italiana, La Sapienza, Roma)

Nota. Per l’intervento di Carlo Bernardini al quale si riferisce Inglese:
http://www.bur.it/sezioni/sez_andu_128.php
oppure
http://www.orizzontescuola.it/article10871.html

Alfonso MARINI (Roma La Sapienza)

Su Bernardini (v. nota):
1) Grazie per la creatività anche su storici ecc. Non sarà offensivo (“non voglio offendere nessuno”, scrive B.), ma certo un senso di sufficienza ce l’ha ben forte. L’esercizio è stato fatto spesso da storici & C., cosa pensare? Archivi, biblioteche? Luoghi ove i “laureati” triennali non potranno mai accedere in futuro a Direttore (giustamente). Certo, ci sono tante cooperative culturali, private, che producono materiale vario, o guide turistiche un po’ più specializzate. Ma è ipotesi molto limitata e precaria. Storici e filosofi possono probabilmente ragionare in modo più appropriato su quale preparazione sia necessaria alle loro discipline, meno “esatte” ma proprio per questo bisognose di percorsi di preparazione adeguati. Ci sono tanti impieghi anche pubblici: ma ai quali si può accedere con il diploma di scuola superiore, conosco varie prsone in questa condizione; la Triennale prolungherebbe di tre anni il periodo di studio, è necessario, è utile, è il
fine cui tendiamo?
2) B. propone tecnici di laboratorio nelle scuole secondarie da preparare con la Triennale. Io ho insegnato molti anni fa per sei anni negli istituti professionali. I tecnici c’erano, ma non avevano laurea, bensì solo diplomi di scuola superiore. Ora posso essere ben d’accordo che più si studia più si è preparati, ma con l’ipotesi Bernardini si arriverebbe al solito risultato cui ci stiamo abituando: tre anni in più di studio (Triennale) per un lavoro per il quale prima bastava soltanto un adeguato diploma di scuola superiore. Con ciò non voglio esprimere un giudizio negativo in toto sulle nuove lauree, concordo però con quanti ricordano che già prima della riforma erano attivati diversi diplomi triennali su percorsi differenziati, le Facoltà che volevano e potevano attivarli con buona spendibilità sul mercato del lavoro lo hanno fatto. La frattura del 3+2 costringe anche quanti (i più) continuano con la Specialistica/Magistrale ad una interruzione amministrativa che può causare ulteriore perdita di tempo tra la conclusione del 3 e l’iscrizione al 2.
Alfonso Marini, Roma “La Sapienza”, Lettere, Storia medievale.

Nota. Per l’intervento di Carlo Bernardini al quale si riferisce Marini:
http://www.bur.it/2006/N_B_060028.php

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