IL CONCORSO CHE NON C’È

Periodicamente i giornali si riempiono, solo per qualche giorno, dello “scandalo dei concorsi universitari”. Questo avviene in occasione o di una denuncia di qualche ‘eccellente’ professore su come sono (o, più spesso, gli sono) andate le cose nel proprio settore o di una qualche iniziativa della magistratura. Nell’attuale ‘tornata di scandalo’ si è inserito il ministro Moratti che ha annunciato la formazione di una commissione d’inchiesta ed ha assicurato che con la legge sullo stato giuridico della docenza universitaria appena approva alla Camera “saremo in grado di evitare incresciosi episodi che non fanno onore al nostro sistema universitario”. Data la sua conclamata incompetenza è possibile che il Ministro abbia affermato ciò in buona fede. E’ invece certo che TUTTI coloro che stanno all’Università considerano i periodici ‘scandali’ un ‘normale’ svolgimento
dei ‘concorsi’ universitari. Mettiamo la parola concorsi tra virgolette perché tutti sanno (e pochi dicono) che, per quanto riguarda i posti di professore ordinario e di professore associato, in realtà non si tratta di concorsi, né nella forma né nella sostanza.

CONCORSI A RICERCATORE
Nella forma quelli a ricercatore sono gli unici reali concorsi per la docenza universitaria. Infatti, il concorso è vinto da chi prima non fa parte dei ruoli della docenza e la sede che ha bandito il posto DEVE assumere il VINCITORE del concorso. Insomma i concorsi a ricercatore servono realmente a reclutare nel ruolo docente chi non è già in ruolo. Il fatto è che si tratta di concorsi ‘finti’, cioè vince il candidato che il membro locale della commissione concorsuale ha deciso di far vincere. Il membro locale, peraltro, è quasi sempre colui che si è dato da fare per far bandire il posto per il suo allievo. Le attuali modalità di svolgimento dei concorsi a ricercatore sono state previste proprio per consentire la cooptazione personale, ‘madre’ di tutte le altre cooptazioni nelle successive fasi della carriera docente. Lo ‘scandalo’ dei (non) concorsi a ricercatore è di gran lunga più grave di
quello dei concorsi a professore, ma di questo nessuno si lamenta perché non capita praticamente mai di avere un risultato ‘concorsuale’ diverso da quello pre-deciso. L’ANDU da tanto tempo propone di intervenire alla radice di tutti i mali
accademico-concorsuali italiani facendo svolgere il concorso a ricercatore
da una commissione nazionale interamente sorteggiata e composta da soli professori ordinari (senza l’ininfluente aggiunta di associati e ricercatori). Dovrebbero essere esclusi dal sorteggio i professori della sede che ha bandito il posto.

‘CONCORSI’ A ORDINARIO E AD ASSOCIATO Qui non si tratta di concorsi, ma di idoneità. Chi è dichiarato idoneo non è un VINCITORE, cioè egli, a differenza di quanto accade nei concorsi a ricercatore e nei concorsi in genere, potrebbe non prendere mai servizio se la Facoltà dell’Ateneo che ha bandito il posto decidesse di non ‘chiamarlo’. Il fatto che ad avere l’ultima parola (compresa quella di non chiamare nessun idoneo) sia la Facoltà, fa diventare locale il ‘concorso’, comunque siano composte le commissioni (votate o sorteggiate, nazionali o locali, con o senza membro interno). Infatti, qualsiasi meccanismo concorsuale sarà comunque gestito tenendo conto che la Commissione non recluta, ma conferisce solo un titolo (quello di idoneo), che è condizione necessaria, ma non sufficiente per una reale assunzione in servizio. In altri termini, di fatto, la Commissione, per non vanificare il proprio lavoro, non può non ‘adeguarsi’ alla volontà della Facoltà dove è stato bandito il posto e, in concreto, alla volontà di chi ha ottenuto il bando per il suo allievo. Ma quello che è ancora più importante è il fatto che quasi sempre il bando dei posti di ordinario e di associato è destinato alla PROMOZIONE di chi fa già parte del ruolo docente e non al reclutamento dall’esterno. In altre parole, si monta una ‘macchina concorsuale’, facendo finta di volere reclutare come ordinario o associato chi non fa ancora parte del ruolo
docente, quando invece a ‘vincere’ quasi sempre sarà chi già nel ruolo e
sta svolgendo l’attività didattica e di ricerca nella Facoltà, quella stessa attività che continuerà a svolgere dopo la promozione. Questa ‘finzione’ comporta anche il reperimento di un budget ‘intero’ per il ‘nuovo’ assunto, sapendo già che buona parte del budget sarà ‘recuperato’ dall’Ateneo. Perché ci si ostina a non voler distinguere nettamente il reclutamento (assunzione dall’esterno) dall’avanzamento nella carriera (verifica dell’idoneità alla qualifica superiore)? Perché si grida all’ope legis anche nel caso di idoneità aperte a chi fa già parte della docenza, e si ritiene meglio (comunque aggiustabile) un meccanismo finto-concorsuale di ope legis ‘personalizzata’?
Il fatto è che se si rendesse l’avanzamento indipendente dalla disponibilità di un posto, che in realtà già c’è (quello occupato dal docente candidato all’idoneità), verrebbe meno il FONDAMENTALE strumento del potere accademico italiano che consente di avere il ‘dominio’ sul proprio allievo fino alla posizione di ordinario confermato, mantenendolo fino ad allora in una condizione di subalternità scientifica e umana. L’ANDU da tanto tempo propone di mettere fine all’attuale mercato dei finti concorsi, distinguendo nettamente tra il reclutamento (concorsi nazionali prevalentemente nella terza fascia) e l’avanzamento di carriera (giudizi nazionali individuali, con pieno e immediato riconoscimento della nuova qualifica, senza l’ulteriore chiamata della Facoltà dove il docente continua a lavorare), prevedendo uno specifico budget nazionale per i connessi incrementi stipendiali. È indispensabile che a tutti i livelli le commissioni giudicatrici nazionali siano composte solo da professori ordinari sorteggiati.

20 giugno 2005

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