DDL PER FORZA

Nessuno dei Deputati della Commissione Cultura della Camera si è mai espresso a favore della messa ad esaurimento dei ricercatori, eccetto il suo Presidente, l’on. Ferdinando Adornato, contrario alla terza fascia. Prima dell’inizio dell’esame del DDL sullo stato giuridico dei docenti universitari da parte della sua Commissione, Adornato aveva manifestato la sua contrarietà alla terza fascia della docenza ad una delegazione dell’ANDU, ma aveva però aggiunto che non avrebbe fatto pesare tale convinzione nello svolgimento del suo ruolo di Presidente. Invece Adornato ha poi condizionato l’esame del provvedimento ‘supportando’ in più occasioni il Relatore e il Rappresentante del Governo, incapaci di rappresentare adeguatamente le ragioni dalla lobby accademica in una Commissione contraria al provvedimento. Lo stesso Adornato ha in qualche occasione ‘forzato’ il suo ruolo istituzionale, come denunciato all’interno della Commissione. È successo anche nella seduta del 26 maggio 2005 quando ha consentito la votazione di emendamenti incongrui rispetto a quelli precedentemente approvati, attribuendone, di fatto, la responsabilità agli “articoli e commi aggiuntivi, introdotti da emendamenti approvati NONOSTANTE il parere
contrario del relatore e del Governo” (nota 1). Insomma, la Commissione non deve disturbare il ‘manovratore’, cioè coloro che hanno condizionato e stanno condizionato pesantemente l’autonomia del Parlamento, come è stato più volte denunciato da Deputati della Maggioranza e dell’Opposizione. Una Commissione alla quale è stato ‘imposto’ un Relatore che non ne fa parte, assolutamente incapace di svolgere il suo compito, ma attentissimo a non deludere coloro che con tutti i mezzi e ad ogni costo vogliono eliminare la terza fascia. E questo nonostante lo stesso Relatore abbia ricordato più volte di essere a favore della terza fascia. Sarà forse questo ‘conflitto interiore’ a portarlo a sostenere cose assolutamente infondate, come quando “sottolinea, in particolare, che l’istituzione della terza fascia determinerebbe un significativo aggravio di costi per la finanza pubblica.” La verità invece è che se il ruolo dei ricercatori venisse trasformato in
terza fascia di professore non ad esaurimento, mantenendo le attuali mansioni e quindi l’attuale retribuzione, gli unici ‘costi’ sarebbero:
1. il riconoscimento del titolo di “professore” a chi ne sta già svolgendo l’attività (come peraltro previsto da un emendamento del Relatore approvato);
2. la partecipazione ai Consigli di Facoltà di tutti i ricercatori, inaccettabile soprattutto nelle Facoltà di Giurisprudenza di Napoli, Roma 1 e Torino;
3. un periodo di precariato di gran lunga minore di quello che si avrebbe se si riducessero a due le attuali tre fasce della docenza.

Il DDL governativo sullo stato giuridico dei docenti universitari è stato pensato, elaborato e ‘gestito’ da quella lobby accademica trasversale che vuole cancellare l’attuale terza fascia della docenza: il ruolo dei ricercatori. Ruolo che è loro ‘sfuggito di mano’ avendo assunto le caratteristiche di piena docenza per le innumerevoli leggi approvate nei venticinque anni successivi alla sua costituzione e per l’attività effettivamente svolta soprattutto con la riforma didattica. Un’operazione che vuole scimmiottare modelli stranieri senza forse capire fino in fondo che la messa ad esaurimento dei ricercatori, IN ITALIA, produrrebbe una ancora minore autonomia dei docenti precari nelle attività di ricerca e di insegnamento, peggiorando pesantemente le loro condizioni di vita. Ma gli accademici italo-americaneggianti non sentono ragioni e dall’alto della loro potenza trasversale vogliono completare l’opera di distruzione dell’Università statale già iniziata con la finta autonomia finanziaria e statutaria degli Atenei, con l’imposizione del disastroso “3 + 2”, con i finti concorsi locali, con la costituzione di centri di auto-eccellenza, con la controriforma del CUN ora pluri-prorogato.
L’azione di questo gruppo di ‘apprendisti stregoni’ ha portato ora alla approvazione in Commissione di un testo che non ha né capo né coda e che probabilmente si tenterà di ‘aggiustare’ in Aula, forse ricorrendo al voto di fiducia. In questo modo si darebbe una bella lezione a quel movimento universitario che per la prima volta ha osato ostacolare, con una grande e compatta protesta, l’operato di chi è abituato a gestire come vuole l’Università, contando sul pesante condizionamento interno-esterno del Parlamento e sul controllo assoluto della ‘grande’ stampa. Controllo che è arrivato alla vera e propria manipolazione della realtà, come hanno fatto i promotori dell’Appello della Fondazione Magna Carta. L’Appello, trasversale e qualunquista, lanciato il 30 marzo 2005 sul Riformista contro coloro che direbbero solamente dei no, cioè coloro che si oppongono alla messa ad esaurimento dei ricercatori (CRUI, Collegi dei Presidi, Senati Accademici, Consigli di Facoltà e di Dipartimento, Assemblee di Docenti e di Studenti, Organizzazioni unitarie della docenza), si concludeva: “ma se questa voce non sarà sufficientemente forte e non riuscirà ad esprimersi in un numero significativo di adesioni, allora la nostra iniziativa non avrà più ragione di continuare.” Il Presidente della Fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliarello, uno dei dodici promotori dell’Appello, il 31 marzo 2005 aveva quantificato il “numero significativo di adesioni” dichiarando al Sole 24-ore: “duemila firme entro un mese mi sembra una buona base dalla quale partire”. Dopo DUE mesi sono state raccolte appena 1400 firme e lo stesso Quagliarello ora dichiara: “solo affidandoci a buona volontà e tam tam orale, abbiamo raccolto 1400 firme in SOLI DUE mesi.” (nota 2). Chi si contenta gode, ma non ha il diritto di deformare la realtà: l’INSUCCESSO nella raccolta delle firme lo si è avuto NONOSTANTE per ben due volte tutta la ‘grande’ stampa abbia ‘propagandato’ l’Appello; altro che “buona volontà e tam tam orale”! La stessa ‘grande’ stampa, eccetto parzialmente il Riformista, non ha invece dato alcuno
spazio alle ragioni di coloro che l’Appello attacca.
La lobby trasversale condiziona anche l’Opposizione, ‘guidata’ da quello stesso Gruppo accademico che ha governato sull’Università nella scorsa legislatura e che si prepara a tornare a farlo.
Un Gruppo che ha recentemente ‘contribuito’ all’approvazione quasi unanime della norma, non richiesta da nessun Organismo e da nessuna Associazione, con la quale è stato ridotto ad uno il numero di idonei dei finti concorsi locali. Un Gruppo che continua ad opporsi alle principali richieste delle Organizzazioni unitarie della docenza: netta distinzione tra reclutamento per concorsi e avanzamento per giudizi di idoneità a numero aperto, trasformazione in modo univoco del ruolo dei ricercatori in terza fascia di professore, contenimento in TRE anni del periodo di precariato ed eliminazione della giungla di figure precarie. Negli emendamenti presentati dall’Opposizione non sono state accolte le principali richieste delle Organizzazioni, mentre sono stati inseriti nuovi punti per soddisfare le richieste dell’accademia che conta. Infatti l’Opposizione avrebbe voluto introdurre il titolo di “professore d’eccellenza” (emendamento 2.7), istituire la figura di “professore
aggregato” fino a sei anni nell’ambito di “convenzioni con imprese o fondazioni” con “trattamento giuridico ed economico dei professori ordinari” (3.41), prevedere per i professori a tempo pieno “un impegno di almeno mille ore annue” (3.74) o “di almeno cinquecento ore annue” (3.73), togliere il fuori ruolo “anche a tutti i professori di ruolo attualmente in servizio” potendo loro attribuire “la qualifica di professore emerito e affidargli, fino al raggiungimento dell’ottantacinquesimo anno di età, compiti di didattica e di ricerca con l’esclusione di compiti gestionali.”
(3.77). Quest’ultimo emendamento è stato ritirato. È stato invece approvato l’emendamento 3.38 dell’Opposizione che sostituisce gli assegni di ricerca con ‘nuovi’ “Contratti di ricerca e di insegnamento” della durata di sei anni dopo i tre di dottorato, fino al “50 per cento del numero dei docenti di ruolo”, cioè fino a 26.000 precari, senza vietare qualsiasi altra forma di precariato e lasciando ai “limiti
delle compatibilità di bilancio” di ogni singolo Ateneo la determinazione
del trattamento economico. Insomma, l’Opposizione e la Maggioranza hanno deciso insieme di mantenere, nella sostanza, la consistenza e la durata dell’attuale precariato e questo nonostante che pochi giorni prima il sen. Modica, parlando a nome di tutta l’Opposizione, avesse pubblicamente affermato che era necessario azzerare (in tutti i sensi) il precariato. Infatti, a suo parere, sarebbe stato necessario prevedere che, dopo il dottorato, si potesse diventare direttamente a trenta anni professore, con piena autonomia di ricerca e di insegnamento. Ricordiamo che l’Opposizione, mentre al Senato non si è opposta alla definitiva cancellazione dell’idea stessa di un Organo democratico di
autogoverno del Sistema nazionale universitario, alla Camera ha presentato e fatto approvare dalla Commissione Cultura la trasformazione del CNVSU e del CIVR in “agenzia autonoma e indipendente, con funzioni di authority per la valutazione esterna della ricerca, della didattica e degli atenei, nonché del sistema universitario nel suo insieme.” (emendamento 1.7). Un’operazione pericolosa proprio perché manca (e si vuole che manchi per sempre) un Organo nazionale di autogoverno che difenda l’autonomia del Sistema universitario dal potere politico e dai poteri forti dell’accademia.
Ribadiamo che è indispensabile che il DDL sia ritirato, mentre è sempre più necessaria e urgente l’approvazione di tre provvedimenti che prevedano:
1. il bando nei prossimi anni (con uno specifico finanziamento statale aggiuntivo) di almeno 20.000 nuovi posti in ruolo nella terza fascia per i giovani docenti, per dare uno sbocco concreto agli attuali oltre 50.000 precari e per ‘prevenire’ il prossimo pensionamento di oltre metà degli attuali professori e ricercatori;
2. la TRASFORMAZIONE del ruolo dei ricercatori in terza fascia dei professori non ad esaurimento, con l’espressa previsione della partecipazione ai Consigli di Facoltà;
3. la fine dell’attuale mercato dei concorsi, distinguendo nettamente tra il reclutamento (concorsi nazionali prevalentemente nella terza fascia) e l’avanzamento di carriera (giudizi nazionali individuali, con pieno e immediato riconoscimento della nuova qualifica, senza l’ulteriore chiamata della Facoltà dove il docente continua a lavorare), prevedendo uno specifico budget nazionale per i connessi incrementi stipendiali. È indispensabile che a tutti i livelli le commissioni giudicatrici nazionali siano composte solo da professori ordinari sorteggiati.

31 maggio 2005

Nota 1. V. il resoconto della seduta del 26 maggio 2005 della Commissione
Cultura della Camera in:
http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/bollet/200505/0526/pdf/07.pdf

Nota 2. V. l’articolo “Gli autoconvocati hanno vinto la scommessa delle firme”, sul Riformista del 28 maggio 2005, pag. 6:
http://rassegnastampa.unipi.it/rassegna/archivio/2005/05/34207327.pdf

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