Il parziale rinnovo del Senato Accademico (SA), con le votazioni del 19 novembre per l’elezione dei rappresentanti dei docenti, è occasione per un consuntivo sulla gestione dell’Ateneo nell’ultimo triennio e per indicare obiettivi e scadenze per il triennio che si avvierà dal prossimo gennaio.
Questo rinnovo avviene mentre il Governo prova a chiudere l’esperienza dell’Autonomia e a ridisegnare un’Università le cui scelte verrebbero centralizzate ancor più di quanto non lo fossero nel passato e mentre
ancora vediamo ridursi le risorse a sostegno delle attività universitarie.
È un momento, quindi, in cui nessuna disattenzione può essere giustificata. L’opposizione a questo disegno restauratore va condotta innanzitutto dentro gli Atenei mettendo a fuoco, in primo luogo, le ragioni della crisi
dell’Università italiana. Tra queste, ma, a nostro avviso, non al primo posto ci sono le difficoltà finanziarie. Avvertiamo quindi approssimazione e insufficienza nella ipotesi della CRUI di negare ai docenti gli aumenti
di stipendio dovuti per legge confidando di trasformarli in una massa di pressione nei confronti del Ministero allo scopo di ottenere una integrazione dei finanziamenti. Una tale ipotesi ci sembra, al di la di
ogni altra considerazione, destinata all’insuccesso, anche perché, proprio per la sua origine verticistica è, di per sé, poco credibile. Il vero problema è la perdita di presa sociale dell’Università, l’annaspare di
fronte al progetto di depotenziamento dell’Università pubblica, l’incapacità di guardare al di fuori di se stessa appassionandosi quasi esclusivamente ai propri equilibri interni.
L’ANDU, nella fase in cui venivano elaborati gli Statuti di Autonomia aveva più volte rimarcato che senza innovazioni sostanziali nel disegno della struttura degli Atenei, ben difficilmente si sarebbero create le condizioni perché questi potessero affrontare le nuove responsabilità che la legge loro assegnava. In primo luogo andava superato il modello di Università come mera somma di Facoltà, cioè il modello di Università condominio nel quale, a parte qualche regola comune, ciascuno rimaneva padrone assoluto nel proprio appartamento (la Facoltà). Alle Università mancava un vero organo di governo capace di definirne la politica oltre i particolarismi delle sue strutture periferiche, in primo luogo le Facoltà. Il SA composto dai soli presidi, che a queste dovevano render conto del loro operato, era intrinsecamente inadatto, indipendentemente da chi ne facesse parte, a promuovere ed a controllare la politica universitaria. Questo assetto era funzionale a chi voleva gli Atenei fuori dal controllo dei propri organi di governo, per potere influire più facilmente dall’esterno a determinarne e controllarne le scelte.
La spinta propulsiva che animò le prime fasi dell’Autonomia universitaria quando negli Atenei si elaborarono gli Statuti ricercando principi e regole capaci di vivacizzarli e migliorarne l’efficienza, anche attraverso
l’estensione della democrazia e della partecipazione, ha avuto vita breve.
Alla fine, come si ricorderà, hanno avuto il sopravvento gli interessi, alla cui difesa i TAR furono quanto mai sensibili, che hanno sempre teso ad ostacolare ogni cambiamento degli assetti universitari.
L’Università di Palermo è stata certamente la più colpita. Le difficoltà proprie di un Ateneo collocato alla periferia del tessuto produttivo nazionale, sono state acuite dalla guerra contro lo Statuto.
Il cuore dello Statuto dell’Università di Palermo era rappresentato, come si può ricordare, dalla composizione del SA, l’organo delegato al progetto ed al controllo delle attività universitarie. Il SA, proprio per le
funzioni di cui era investito, andava liberato dalle ineliminabili pressioni a cui sarebbe stato sottoposto se i presidi ne fossero stati componenti prevalenti. Questo e non altro era il significato della prevalenza delle componenti elettive rispetto ai presidi prevista dallo Statuto originariamente elaborato dal SAI. Invero, una composizione che addirittura non stabilisse alcun collegamento diretto tra il SA e le
Facoltà sarebbe stata ancora più efficace ai fini della possibilità del SA di essere il motore dell’Ateneo; ma, ad una soluzione del genere, ostava la legge istitutiva. Con ciò si sarebbe, pur se parzialmente, rotto il modello di Università somma di Facoltà e SA cassa di compensazione, e creata la condizione perché il SA potesse trasformarsi in un vero organo di governo e progettarne lo sviluppo tenendo conto delle esigenze complessive della intera comunità universitaria. E questo progetto, con il contestuale allargamento della composizione degli organi collegiali, si sarebbe avvalso del contributo attivo e convinto di tutte le sue componenti. Non per nulla il SA fu il bersaglio principale dei ricorsi contro lo Statuto. Il SA pertanto non si è distinto, né poteva distinguersi dai SA composti dal Rettore e dai soli Presidi. L’impressione che si ricava dall’attivitàdel primo triennio è di una continuità ideale con il passato, testimoniatatra l’altro:
– dal proliferare incontrollato di Corsi di Laurea dei quali, in qualche caso, è difficile comprendere il significato della denominazione e dall’assoluta ignoranza, al terzo anno dall’avvio dei nuovi ordinamenti didattici, se gli obiettivi posti dalla riforma sono prossimi o distanti dal raggiungimento;
– dal proliferare di mini dipartimenti che trascina con sé maggiori costi di gestione e sottoutilizzazione delle risorse umane;
– dalle modalità di attuazione del decentramento delle attività universitarie, che appare rispondere più a logiche localistiche che alla creazione di nuove ed efficaci opportunità formative;
– dalla insufficiente attenzione verso un reale snellimento delle procedure
burocratiche, se è vero che tanti colleghi lamentano la difficoltà di accedere a finanziamenti ai quali colleghi di altri Atenei accedono agevolmente;
– dal ritardo dell’Ateneo nella preparazione del diploma per gli studenti che hanno completato gli studi, ritardo che oggi è al suo massimo storico;
– dalla constatazione che l’Azienda Universitaria Policlinico rimane un peso e stenta a diventare la risorsa che potrebbe essere per l’Ateneo.
Per queste motivazioni, tutte riferibili alla mancanza di un progetto di sviluppo dell’Ateneo ampio e condiviso, valutiamo negativo il bilancio dell’ultimo triennio.
L’ANDU ritiene che i nuovi eletti al SA che si insedieranno il prossimo gennaio, assieme agli altri componenti, avranno la responsabilità, nell’interesse dell’Ateneo, di ripensare, in primo luogo, alla sua
composizione e di intervenire con decisione anche sulle questioni che abbiamo prima accennato, ritornando se il caso su alcune delle scelte già fatte, per guidare l’Università di Palermo fuori dal tunnel nel quale oggi
si trova e avviarne la trasformazione che la conduca nel giro di pochi anni ad occupare un posto di primo piano nel sistema universitario italiano.
Per discutere sui temi esposti in questo documento e più in generale sull’Ateneo, è promosso per
Martedì 4 novembre 2003 alle ore 10 nell’Aula del Consiglio della Facoltà di Ingegneria
un CONFRONTO-DIBATTITO CON I DOCENTI DELL’ATENEO
All’incontro parteciperà il Rettore. Sono, in particolare, invitati a partecipare gli altri componenti del SA (i Presidi e i Rappresentanti del personale tecnico-amministrativo e degli studenti) e i Docenti che il 29
ottobre si candideranno al SA.
Palermo, 20 ottobre 2003
ANDU – Associazione Nazionale Docenti Universitari – Sede di Palermo