IL NUOVO RECLUTAMENTO E GLI ATTUALI RICERCATORI

IL NUOVO RECLUTAMENTO E GLI ATTUALI RICERCATORI

Nel suo intervento “Università, i giovani da reclutare”, comparso nella prima pagina del ‘Mattino’ del 3.6.03, Guido Trombetti ripropone sostanzialmente le stesse argomentazioni di Antonio Padoa Schioppa nel suo intervento “Ricercatori, una specie ‘a rischio’” nel Sole-24 Ore del 23.11.02. Entrambi gli Autori si esprimono contro la sostituzione del ruolo dei ricercatori universitari con contrattisti che possono rimanere tali fino a dieci anni.

Essi sostengono che quanto previsto dall’attuale testo ministeriale del disegno di legge sullo stato giuridico dei docenti universitari:

        1. disincentiverebbe alla carriera universitaria i giovani che non sono in grado di sopportare un periodo di precariato tanto lungo;

        2. farebbe costare le nuove figure precarie non meno degli attuali ricercatori;

        3. emarginerebbe ulteriormente gli attuali ricercatori perché renderebbe più difficile il loro passaggio alla fascia di associato avendo essi come ‘concorrenti’ precari non più giovani che se non risultassero vincitori verrebbero espulsi dall’Università.

Inoltre Trombetti dubita che la “precarietà prevista favorisca la qualità degli studi”. Egli osserva anche come in Italia si è “portati a trovare soluzioni astratte da sistemi socialmente, economicamente e per tradizione culturale distanti da noi (vedi per esempio gli Stati Uniti).” Trombetti, infine, afferma che “per evitare errori nel reclutamento” occorrerebbe che gli accademici “facciano una volta per tutte dei meccanismi di reclutamento un momento centrale ed altamente qualificante della loro attività!”

L’ANDU ha già commentato l’intervento di Padoa Schioppa e ha avanzato una proposta per risolvere subito sia la questione del nuovo reclutamento, sia quella del pieno riconoscimento del ruolo docente degli attuali ricercatori, con la trasformazione del loro ruolo nella terza fascia dei professori.

Qui vogliamo aggiungere qualche nuova considerazione.

Premesso che condividiamo la critica di ‘astrattezza’ ad ogni riferimento acritico a qualsiasi modello universitario, aggiungiamo che in Italia chi si riferisce al sistema americano spesso lo fa in maniera non documentata e non coerente. Negli ambienti accademico-ministeriale si sostiene, per esempio, che in nessuna parte del mondo esista una terza fascia docente. In realtà la proposta De Maio-Moratti, frutto di una pasticciata logica aziendalistica, allontanerebbe ancora più l’Università italiana dal sistema americano dove esiste una terza fascia docente (assistant professor) costituita da professori universitari a tutti gli effetti con la piena responsabilità dei corsi e la piena autonomia nella ricerca. Questi professori quasi mai sono reclutati dove hanno conseguito il Ph.D o dove hanno svolto l’ultimo periodo di post-doc e la loro progressione nella carriera non è legata alla scelta, più o meno ‘umana’, di un ‘capo’.

Tutto ciò è l’esatto contrario di quanto avviene in Italia, dove per raggiungere la più alta qualità nella didattica e nella ricerca deve essere necessario assicurare la massima stabilità (in ‘italiano’ significa collocazione in ruolo) e la massima indipendenza, a tutte le fasce della docenza e in particolar modo a quella iniziale. Per ottenere ciò non si tratta semplicemente di ridurre gli “errori nel reclutamento” (come li chiama Trombetti), ma occorre evitare il più possibile che il vincitore di un concorso universitario sia esclusivamente scelto da chi lo ha ‘coltivato’ (tesi, dottorato, assegno di ricerca) e ne determinerà la futura carriera. Per superare parzialmente questi meccanismi – niente affatto americani, ma invece italianissimi – è indispensabile che il reclutamento alla docenza nella terza fascia avvenga attraverso concorsi svolti da una commissione nazionale composta da soli ordinari tutti sorteggiati e che il passaggio (da non confondere con i concorsi per l’ingresso di chi per la prima volta svolgerà le funzioni di docente) alle altre fasce della docenza avvenga attraverso un giudizio di idoneità individuale (senza comparazione e senza successiva chiamata della Facoltà), espresso da una commissione nazionale composta da soli ordinari tutti sorteggiati.

La sensazione che si ha nel leggere le proposte accademico-ministeriali è che esse siano state elaborate da chi non conosce la realtà concreta dell’Università italiana, nonostante abbiano partecipato alla loro stesura rettori o ex rettori (o proprio per questo?!).

Si tratta di ‘invenzioni’ presentate come grandi riforme (come anche nel caso della riforma dei concorsi e di quella del ‘3+2’) che producono gravissimi danni all’Università pubblica con la conseguenza, tra l’altro, di favorire quella privata.

E altri nuovi danni si produrranno se non si impedirà a questo gruppo accademico-ministeriale di continuare a ‘dettar legge’ contro gli interessi del sistema universitario, dei suoi operatori e degli studenti.

5 giugno 2003

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