PROGETTO DE MAIO-MORATTI. PESSIMO E PERICOLOSO

Stato giuridico dei docenti universitari

PROGETTO DE MAIO-MORATTI. PESSIMO E PERICOLOSO

Il 24.1.03 tutti i quotidiani (http://www1.crui.it/rassegna/030124/index.htm) hanno titolato “Docenti a termine” gli articoli che riportavano i contenuti generali del progetto di legge De Maio-Moratti esposti il giorno prima dal Ministro alla CRUI. Molti hanno scritto di “fine delle cattedre a vita”, di “largo alle nuove leve”, di “sprovincializzazione dei concorsi”. Il ‘Tempo’ ha addirittura titolato “Finisce l’epoca dei baroni”.

In realtà, se il progetto De Maio-Moratti di riforma dello stato giuridico dei docenti universitari dovesse essere approvato, si avrebbero ben altre conseguenze (v. testo del progetto in http://www.snur-cgil.org/ 3 febbraio docenza).

1. Una sola commissione nazionale gestirebbe le idoneità, ora decise da varie commissioni nazionali (eccetto il membro ‘interno’) formate per ogni posto bandito. In concreto, si darebbe il potere di veto (ma non di reclutamento) ai gruppi dominanti nazionalmente i vari settori scientifici-disciplinari e si ridurrebbe l’attuale numero (il doppio dei posti banditi) di idoneità, rendendolo di poco maggiore del numero dei posti messi a concorso. Questa modifica costituisce principalmente un messaggio politico per escludere ogni possibilità che il passaggio da una fascia all’altra della docenza avvenga per valutazione individuale dell’idoneità dei candidati. Sarebbe questo l’unico modo per smantellare il mercato dei concorsi e per evitare che a un ricercatore dichiarato idoneo ad associato o a ordinario e che a un associato dichiarato idoneo a ordinario si possa non riconoscere ‘operativamente’ e automaticamente la qualità superiore delle mansioni didattiche e scientifiche che sta svolgendo: una follia giuridica e umana considerata assolutamente ‘normale’ in un mondo accademico dove arbitrii e privilegi sono la norma (su questa questione v. documento dell’ANDU “Concorsi (?) universitari”: http://www.bur.it/sez_2a_2.htm giovedì 17/10). In sostanza si continua a rimescolare le carte invece che cambiarle.

2. Si manterrebbe l’attuale periodo di conferma (3 + 3) che però sarà svolto in una situazione di “contratto a tempo determinato”, anziché in ruolo. La vera importante novità è che la ‘conferma’ sarà decisa dai Consigli di Facoltà e non più da commissioni nazionali di settore. In tal modo, a parte ogni altra considerazione, sarà accresciuto enormemente quel potere locale che si dice invece di volere ridurre.

3. L’attuale ruolo dei ricercatori sarebbe sostituito con contratti di 10 anni. In tal modo si allontanerà di almeno 10 anni la possibilità per i giovani (si fa per dire, a quel punto) di entrare in un ruolo stabile; inoltre, si emargineranno ulteriormente gli attuali ricercatori che stanno svolgendo un’attività di piena docenza, e che saranno dirottati in un binario morto, come è un ruolo ad esaurimento (su questa questione v. documento dell’ANDU “Giù le mani dai ricercatori”: http://www.bur.it/sez_2a_2.htm giovedì 28/11). In altri termini, il ‘nuovo’ modello è quello degli assistenti a termine (i nuovi contrattisti), gli assistenti in ruolo (gli associati), i professori veri (gli ordinari).

Ed è quest’ultima la vera novità del ‘grande’ progetto di riforma prodotto dopo mesi di intenso lavoro da una qualificatissima commissione ministeriale (8 rettori, in carica o ex, su 13 componenti). Un progetto che va preso sul serio non solo e non tanto perché ora vi è una maggioranza ampia e risoluta, ma, soprattutto, perché vi è una opposizione che continua ad essere controllata da un gruppo accademico, il quale da sempre porta avanti un progetto di smantellamento dell’università nazionale pubblica, salvaguardando e accrescendo comunque il proprio potere.

La pseudo autonomia finanziaria, la finta autonomia statutaria, la controriforma del CUN, la riforma dei falsi concorsi, l’improvvisata riforma didattica sono i principali provvedimenti imposti nelle scorse legislature da una lobby accademica che ha gestito, anche direttamente, il ministero, ha controllato pesantemente il Parlamento, ha detenuto il monopolio della ‘grande’ stampa. Per non parlare poi del finto tentativo di riforma dello stato giuridico operato alla fine della scorsa legislatura con un disegno di legge pasticciato, compilato in tutta fretta (con la complicità dei ‘consiglieri del principe’ di allora) solo per bloccare l’istituzione della terza fascia. L’affossamento di quest’ultimo provvedimento è avvenuto alla Camera per iniziativa dell’on. Dalla Chiesa e a opera di 82 deputati: tutto il gruppo della Lega e e altri deputati appartenenti a tutti gli altri gruppi, meno AN e RC (v.

resoconto stenografico della seduta della Commissione Cultura della Camera del 16.12.99). Un’operazione sollecitata da un (af)fondo di Panebianco sul ‘Corriere della Sera’ e da un appello di 30 ‘alti’ e ‘democratici’ accademici, soprattutto giuristi.

Sotto l’attuale Governo, in materia universitaria, logiche e contenuti non sono cambiati ed anche i metodi sono in piena continuità con quelli che hanno caratterizzato i precedenti Governi: arroganza, prepotenza, improvvisazione, approssimazione e, soprattutto, difesa, sempre e comunque, degli interessi dei poteri forti dell’accademia.

Ancora oggi la questione degli attuali ricercatori costituisce la principale preoccupazione degli accademici che contano e che fanno presentare (o presentano) disegni di legge con i quali non si vuole riconoscere a tutta la categoria il ruolo docente svolto. Non lo fa il progetto De Maio-Moratti, non lo fanno i progetti presentati al Senato da Asciutti di FI , da Tessitore-Villone dell’Ulivo  e alla Camera dai DS

(http://www.camera.it/_dati/leg14/lavori/stampati/sk3500/frontesp/3022.htm).

Ma anche per quanto riguarda le modifiche ai meccanismi concorsuali vi è piena convergenza tra le posizioni del Governo attuale e quelle dell’Ulivo:

1. una lista nazionale a numero chiuso e a termine è prevista, in via sperimentale, anche dal progetto Tessitore-Villone (comma 5, art. 6);

2. una lunga fase di precariato con contratti di ricerca e di insegnamento di durata 4 + 4 anni è prevista dal progetto Tessitore-Villone (comma 2, art. 7).

Addirittura l’Ulivo vuole estendere la condizione di precarietà alle figure dei docenti in ruolo (?) i quali ogni quattro anni devono sottoporsi ad una verifica che se non superata comporta il licenziamento (comma 7, art. 14). Lo stesso meccanismo è previsto dal citato progetto del sen. Asciutti di FI (comma 8 dell’art. 9). Un meccanismo che “punta a precarizzare i docenti e a controllare la ricerca”, per impiegare le stesse parole usate dalla senatrice DS Vittoria Franco contro il progetto De Maio-Moratti. Su questi gravissimi propositi l’accademia che conta tace.

Silenzio vi è anche sull’emarginazione del CUN, demolito normativamente nelle precedenti legislature e svuotato di ogni reale funzione politica prorogandolo in una composizione illegittima. Ed è significativo che il ministro Moratti non ha illustrato il progetto De Maio al CUN prima che alla CRUI, strumento istituzionale da decenni della controriforma dell’università.

E si tace anche sul ruolo di De Maio, presidente della commissione che ha elaborato il progetto ministeriale sullo stato giuridico. Smessi i panni di rettore di una università pubblica ha indossato subito dopo quelli di rettore di una università privata per poi diventare commissario governativo del CNR.

È significativo anche, infine, che il progetto De Maio-Moratti sia condiviso e difeso da Aldo Schiavone (v. ‘Repubblica’ del 5.2.03).

La verità è che le sorti dell’Università sono in mano ad apprendisti stregoni, che non rispondono a nessuno delle loro azioni spesso prive di logica: per esempio, che senso ha l’avere obbligato a attivare ovunque le lauree triennali prima di avere definito il percorso successivo delle lauree specialistiche e prima di avere riformato lo stato giuridico dei docenti? Si tratta di gruppo ristretto di ‘grandi’ riformatori che giustificano le loro scelte facendo riferimento, ‘a convenienza,’ a modelli stranieri molto diversi tra loro (gli Usa, la Francia , la Germania, ecc.), prevedendo precarietà per gli altri e lo status di baroni di stato per se, inventandosi la necessità di rapportare l’Università a un sistema produttivo privato inesistente, come dimostra la vicenda della FIAT, la maggiore industria italiana e la più finanziata dallo Stato.

6 febbraio 2003

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