CONCORSI (?) UNIVERSITARI
ESPROPRIARE L’UNIVERSITÀ ALLA LOBBY ACCADEMICA
Il senatore Cossiga ha presentato un disegno di legge ‘spiritoso’ che prevede di espropriare e nazionalizzare la Fiat dando alla Famiglia Agnelli, quale “equo indennizzo”, 1 (uno) euro. Motivo: la gestione disastrosa di un’azienda privata di fatto pubblica in quanto da sempre abbondantemente finanziata dallo Stato.
Sempre “scherzando”: non si potrebbe trovare la maniera di espropriare l’Università (finanziata dallo Stato) sottraendola a quella lobby accademica che l’ha gestita e la sta gestendo privatisticamente in maniera disastrosa? Ma cosa si può fare sul serio per dissequestrare l’Università sottraendola a quei Baroni di stato che l’hanno sottomessa ai propri immensi interessi accademico-economico-politici?
Questa lobby elabora progetti (che trasforma in norme dello Stato) disastrosi, ne gestisce l’applicazione e pretende poi di trovare essa stessa i rimedi, progettando nuovi disastri: le pesantissime conseguenze dell’autonomia finanziaria sono sotto gli occhi di tutti, lo sfascio istituzionale prodotto dalla finta autonomia statutaria è ben noto agli Atenei di Palermo e di Roma 1 e incombe su tutti gli altri, lo sconquasso prodotto dall’imposizione della riforma didattica si vive giornalmente nelle aule universitarie, i risultati della riforma dei finti concorsi sono aspramente criticati perfino da chi tale riforma ha deciso. A tutto questo si aggiunge la demolizione del ruolo del CUN e il rafforzamento della CRUI che hanno privato di una rappresentanza democratica e autorevole il mondo universitario.
La risposta a quest’opera devastante di smantellamento del sistema nazionale e pubblico delle università è il rafforzamento, istituzionale e non, della lobby che mantiene il controllo sul Governo e aumenta la sua influenza sul Parlamento anche con un diretta presenza in esso.
Questa stessa lobby da qualche mese ha messo all’ordine del giorno la questione della riforma della riforma dei finti concorsi.
Su questo stesso tema si susseguono interventi sui quotidiani nazionali e, come sempre, le posizioni ospitate dalla ‘grande’ stampa sono monocordi e tutti richiedono il mantenimento dei concorsi anche se riformati. Nell’immediato, si vuole per gli attuali concorsi locali che il vincitore (in realtà l’idoneo) sia solo uno e, in prospettiva, si vuole introdurre una idoneità nazionale a numero chiuso con chiamata da parte delle sedi. Le critiche all’attuale meccanismo concorsuale sono spietate: “scambi e accordi che nulla hanno a che fare con serio meccanismo di selezione” (“Negli atenei un concorso senza qualità” di Paola Potestio sul Sole 24ore del 5.10.02, “sistema che dire nefando è un eufemismo” (“Requiem per l’università” di Angelo D’Orsi su la Stampa del 13.10.02). C’è chi li vuole abolire i concorsi del tutto visto che “il risultato dei concorsi è scontato in partenza” e che il costo della loro gestione è “pari quasi all’intero stanziamento del fondo di ricerca ordinario del Ministero” (“L’immobilità dei docenti universitari” di Tullio Jappelli in Lavoce.info).
Non vi è alcun dubbio che diversi interventi, e tra questi certamente quelli citati, muovono dal sincero desiderio di uscire dalla trappola in cui l’Università è stata fatta cadere con una legge i cui effetti peraltro erano stati da noi ampiamente annunciati. Infatti, nel dicembre 1998 scrivevamo che “ora anche la carriera deve essere decisa attraverso una cooptazione personale da parte di quelli che una volta si chiamavano baroni ed è ad essi che bisognerà affidarsi, con adeguati comportamenti anche umani, per vincere concorsi che sono considerati, non a torto, una mera perdita di tempo, un fastidioso ritardo all’attuazione di una scelta già operata.” (“Università Democratica”, n. 168-169, p. 7).
L’errore fondamentale che fanno gli autori degli interventi e che sta portando a prospettare soluzioni persino peggiori della situazione attuale è quello di considerare concorsi universitari quelli che in realtà sono avanzamenti di carriera. Un concorso determina l’inizio di una nuova attività (è questo il caso dei concorsi a ricercatore), mentre un ‘concorso’ ad ordinario vinto da un associato o da un ricercatore e un ‘concorso’ ad associato vinto da un ricercatore non comportano alcuna modifica dell’attività didattica e di ricerca svolta, ma rappresentano ‘solo’ un riconoscimento del maggior livello di qualità raggiunto. La stragrande maggioranza dei ‘concorsi’ sono stati vinti da associati e ricercatori predestinati attraverso il bando del finto concorso e chiamati (rimasti) nell’Ateneo in cui stavano lavorando.
Sulla base di tutto ciò, perché non sostituire l’attuale meccanismo concorsuale con quanto proponevamo nel giugno 1998, poco prima dell’approvazione della legge sui concorsi?
Scrivevamo allora: “In alternativa alla legge in discussione al Senato, riproponiamo l’unica riforma dei meccanismi di reclutamento e di avanzamento della docenza universitaria che semplificherebbe enormemente le procedure, renderebbe più giusti i giudizi delle commissioni e ridurrebbe fortemente il ‘mercato dei posti’.
Questa riforma dovrebbe prevedere il reclutamento nel ruolo unico della docenza universitaria attraverso concorsi a ricercatore banditi dagli Atenei e svolti da commissioni interamente nazionali, formate attraverso il sorteggio, e l’avanzamento nella carriera attraverso giudizi di idoneità a numero aperto espresso da commissioni nazionali costituite per sorteggio.” (“Università Democratica”, n. 162-163, p. 4).
E poco tempo dopo abbiamo aggiunto che tale riforma, proposta “per limitare localismi, clientelismi, nepotismi e arbitrii” “avrebbe l’immenso vantaggio di:
1. fare esprimere un giudizio libero e qualificato da parte di una commissione non subalterna agli interessi e ai veti locali;
2. eliminare il mercato del bando dei posti, con effetti benefici per la ‘qualità della vita’ dei docenti negli Atenei e per lo svolgimento di una attività di ricerca non esclusivamente mirata a vincere un posto contro altri, spesso con detrimento per l’attività didattica attualmente non valorizzata o, peggio, ritenuta inutile ai fini del superamento di un concorso.
Una riforma, quella da noi proposta, che costerebbe pochissimo allo Stato, ma costerebbe moltissimo a coloro che occupano molta parte del loro tempo accademico a fare bandire posti e a fare vincere i concorsi ai loro allievi.” (“Università Democratica”, n. 168-169, p. 7).
Questa nostra proposta è peraltro l’unica che può fare superare gli effetti perversi dei concorsi locali (tre, due o un idoneo fa poca differenza) e può evitare il sommarsi dei poteri ‘particolari’ che produrrebbe l’idoneità a numero chiuso con successiva chiamata locale.
Insomma, solo un meccanismo che preveda come conseguenza di un esito positivo della verifica l’immediato e automatico riconoscimento della nuova qualifica, può evitare definitivamente i pessimi risultati provocati dall’attuale meccanismo usato per l’avanzamento nella carriera dei docenti universitari.
Questa nostra proposta risolverebbe anche la questione che si sta ponendo sempre più drammaticamente (ancor più se viene realizzato il blocco delle assunzioni dei docenti universitari) degli ‘idonei in scadenza’. La cosa più inaccettabile non è tanto l’assurdità di una idoneità a termine, ma il fatto che possano esistere, anche per un solo giorno, degli associati o dei ricercatori la cui attività è stata ‘certificata’ equivalente a quella di un ordinario o di un associato. In realtà questi docenti, a differenza di coloro che sono stati chiamati ad occupare il posto di ordinario o di associato (in realtà si è ‘solo’ trasformato il posto di associato o di ricercatore in quello di ordinario o di associato), continuano a svolgere un’attività da ordinario o da associato senza il relativo riconoscimento anche economico. Una follia giuridica e umana che solo secondo una ‘logica’ tutta accademica può non apparire tale.
Su questa questione e, più in generale, sulla grave situazione dell’Università si discuterà a Firenze il 17 ottobre 2002 nell’Assemblea nazionale dei Coordinatori di Ateneo dell’ANDU che si terrà presso la Facoltà di Architettura – Sede di S. Teresa – Via della Mattonaia, 12 – Aula 6/8 – 1° piano. La riunione è aperta a tutti i docenti universitari.
14 ottobre 2002