All’on. Giovanna Grignaffini, Capogruppo DS nella Commissione Cultura della Camera
Gentile Onorevole,
La ringraziamo per la Sua richiesta di ricevere le osservazioni dell’ANDU sul testo, recentemente “presentato in bozza”, di una Vostra proposta di legge sulla “Istituzione della terza fascia del ruolo dei professori”, nel frattempo resa pubblica. Una sensibilità politica e istituzionale la Sua che assume ancor più rilievo se si tiene conto che nessun altro Gruppo l’ha mostrata fino ad oggi. Nemmeno quei Senatori dei DS e della Margherita che recentemente hanno presentato un disegno di legge sullo stato giuridico della docenza universitaria. Ci auguriamo che la logica di un confronto reale, anche “preventivo”, possa estendersi a tutti i Gruppi parlamentari e possa emergere anche a livello ministeriale dove la “prassi”, inaugurata nella precedente legislatura, di neanche rispondere alle richieste di incontro avanzate dalle Organizzazioni della docenza è seguita anche dall’attuale Ministro.
Ritenendo, ovviamente, che la Sua richiesta di confronto sia sincera e che quindi sia possibile fare cambiare opinione al Suo Gruppo prima della presentazione del testo definitivo, Le sottoponiamo alcune considerazioni generali che, in buona misura, abbiamo già espresso nel documento di commento (“Diritto sull’Università”) al su richiamato disegno di legge presentato dai senatori Tessitore, Monticone, Acciarini, Coviello, D’Andrea e Villone.
È vero che è fondamentale battersi per “i valori irrinunciabili dell’autonomia e della libertà dell’università e della scienza”, come si legge in un recente documento dell’Ulivo , ma è pure vero che per l’Università il problema è ed è sempre stato quello di difendere l’autonomia e la libertà dai poteri forti interni all’accademia che nazionalmente e localmente la gestiscono. Poteri che sono riusciti ad imporre leggi che stanno ora portando al definitivo smantellamento del sistema nazionale e pubblico delle Università (riduzione dei finanziamenti, prevalere delle logiche ‘aziendalistiche’ che portano anche gli Atenei a sostituirsi al Parlamento, licenziabilità, crescita del precariato, rafforzamento delle Università private. In questa direzione sono andate le leggi riguardanti l”autonomia’ finanziaria degli Atenei, la falsa autonomia statutaria, i concorsi iper-locali, la riforma del 3+2.
Un disegno di sempre maggior uso privatistico delle risorse pubbliche che è passato anche dal rafforzamento anche istituzionale della CRUI – che ha sempre operato come una sorta di “sindacato” dell’accademia che conta -, e il depotenziamento anche istituzionale del CUN, che si fa sopravvive in una composizione illegittima.
La lobby accademica che domina sull’Università e che ha forti interessi soprattutto – ma non solo – nelle Facoltà giuridiche, ha avuto sempre il controllo (a volte anche diretto) del ministero e della stampa e ha pesantemente condizionato, dall’interno e dall’esterno, il Parlamento, come clamorosamente dimostrato dalla vicenda della legge sulla terza fascia nella precedente legislatura.
L’obiettivo vitale di questa lobby è quello di impedire ad ogni costo l’accesso di tutti gli attuali ricercatori nei Consigli di Facoltà. Per questo si sono mobilitati e sono mobilitati soprattutto professori delle Facoltà giuridiche dove più “sentito” è il problema del mantenimento della netta superiorità numerica degli ordinari.
Contro questi interessi a nulla sono valse le argomentazioni di semplice buon senso esposte anche in Parlamento a sostegno della trasformazione del ruolo dei ricercatori in terza fascia dagli allora ministro Zecchino (“Certo è che la figura del ricercatore ha nel tempo acquisito funzioni legislativamente sancite che ne hanno fatto una figura di docente, diversa, quindi, da quella originaria che era invece di supporto”) e sottosegretario Guerzoni (“una risposta dovuta agli oltre 18mila ricercatori, che da anni si fanno carico del quotidiano espletamento delle attività didattiche”) e dai Relatori Masullo al Senato e Bracco alla Camera. Insomma, la trasformazione dell’attuale ruolo dei ricercatori in terza fascia, senza alcun cambiamento di retribuzione e di mansioni, era un “atto dovuto”, conseguente alle numerose e importanti modifiche legislative successive al DPR 382 del 1980, al ruolo docente effettivamente svolto dalla categoria e alla partecipazione di tutti i ricercatori nei Consigli di Facoltà prevista da gran parte degli Statuti (non, per esempio, a Roma 1, Napoli e Torino).
La presenza di questi interessi, ai quali viene sacrificata ogni innovazione dell’Università, è stata
“rinnovata” recentemente dalla presentazione al Senato del citato disegno di legge Tessitore-Villone, che scritto in un italiano non perfetto e carente di coerenza giuridica, vuole avere soprattutto il valore di un messaggio politico: non riconoscimento a tutti i ricercatori del ruolo docente per salvaguardare la composizione “qualificata” di alcuni Consigli di facoltà, rifiuto dell’avanzamento nella carriera docente attraverso verifiche invidiali, formazione in una lunga fase di precariato.
Purtroppo anche quanto finora presentato dal Gruppo DS della Camera fa propri gli interessi della potente lobby accademica fino ad incorrere in incoerenze giuridiche e a proporre novità gravissime sul piano dei ruoli della docenza. Come si legge nella relazione il provvedimento “è senza alcun aggravio economico per il bilancio dello Stato e degli atenei, delle funzioni insostituibili che la più gran parte dei ricercatori esercita da anni nel quotidiano espletamento dell’attività didattica dei nostri atenei”, cioè non è previsto alcuna modifica nel trattamento economico per i ricercatori che dovessero diventare professori, così come non è previsto alcun mutamento dello stato giuridico (comma 5, art. 1). In realtà una modifica peggiorativa è introdotta dal comma 6 dello stesso articolo che consente di imporre “la responsabilità didattica di corsi non coperti da professori di prima e seconda fascia”, mentre per gli attuali ricercatori ciò è possibile solo su loro domanda.
E per svolgere una attività didattica più subalterna, per mantenere l’attuale retribuzione e per potere partecipare a pieno titolo ai Consigli di facoltà come già previsto peraltro da gran parte degli Statuti, i ricercatori dovrebbero sottoporsi ad “una verifica positiva, con modalità stabilite dagli atenei, dei titoli scientifici e dell’attività didattica svolta e documentata per almeno tre anni, anche non consecutivi.” (comma 1, art. 1). Si tratta di una assurdità giuridica, che ha la solo finalità di fornire la possibilità di non fare entrare i ricercatori nei Consigli di quelle Facoltà dove particolarmente acuto è l’interesse a salvaguardare la loro attuale composizione. Ma obbrobrio giuridico per obbrobrio giuridico, perché non si ha il coraggio di elencare nella legge le Facoltà dove si può tollerare la presenza di tutti gli attuali ricercatori e prevedere solo per esse le verifiche?
La verifica prevista dalla “Bozza”, se approvata, avrebbe anche la conseguenza di prevedere per la prima volta nella legislazione universitaria che un ruolo possa essere “riempito” con modalità non omogenee in tutti gli Atenei, aprendo un nuovo e immenso varco nella direzione dello demolizione dello stato giuridico nazionale dei docenti, già messo in crisi dalla finta autonomia statutaria, che ha consentito l’attribuzione di “pesi” diversi da un Ateneo all’altro alle fasce della docenza, e dai concorsi iper-locali. Su questa questione si mostrano più saggi giuridicamente e più “buoni” i presentatori del disegno di legge Tessitore-Villone che per il passaggio degli attuali ricercatori nella terza fascia prevedono “un giudizio di idoneità formulato dai consigli di corso di laurea”, consentendo esplicitamente ai ricercatori di rimanere tali (comma 6, art. 15). Insomma, quanto basta per “scremare” i ricercatori per non sconvolgere la composizione di alcuni Consigli di Facoltà.
Nella “Bozza” dei DS della Camera è previsto anche l’introduzione di un lungo periodo di precariato, di fatto almeno 9 anni (3 anni di dottorato, più 6 anni di contratto). Una previsione questa che, tra l’altro, porta acqua al mulino di che propone l’esistenza di solo due fasce di professori.
Nella stessa “Bozza” tale e tanta è la preoccupazione di “tranquillizzare” l’accademia che conta che si prevede l’esclusione dei professori di terza fascia praticamente da tutte le cariche e per il resto (?) il rinvio agli Statuti (comma 8, art. 1).
Per risolvere la questione dell’istituzione della terza fascia, senza subire i voleri dell’accademia che conta e seguendo il buon senso e il senso di giustizia, basterebbe ripescare e sostenere sul serio il testo approvato dal Senato il 29.4.99, nonostante i pesantissimi e spesso impropri interventi delle Commissione Affari Costituzionali e Bilancio, entrambe fortemente condizionate da componenti-professori di area giuridica.
Ma per fare questo, bisogna prima riflettere sul fatto che si possa promuovere/sostenere la mobilitazione per la democrazia e per la libertà di informazione e contro i poteri forti fuori dall’Università, senza fare i conti con quanto sulle stesse questioni accade nell’Università e sull’Università. Consentire ancora, condividendolo o subendolo, il sequestro dell’Università da parte della lobby accademica non solo umilia ed emargina i ricercatori, rendendone più difficoltoso l’impegno per la democrazia, ma lancia segnali “disarmanti” anche alle altre fasce della docenza, al personale tecnico-amministrativo e agli studenti, ai quali si mostra che esiste un settore non proprio marginale della Società, l’Università, dove valgono “regole speciali” che consentono a pochi di fare comunque ciò che vogliono, naturalmente per la cultura e la scienza; “regole speciali” che valgono anche nei confronti di chi istituzionalmente dovrebbe avere un ruolo politico, cioè perseguire la difesa degli interessi generali e non quella dei poteri forti.
22 luglio 2002