PERCHE’ SACRIFICARE L’UNIVERSITA’?

URGENTE

Ai Deputati della Commissione Cultura della Camera
e, p. c.,
al Presidente della Camera,
ai Presidenti dei Gruppi Parlamentari,
al Ministro dell’Urst

PERCHE’ SACRIFICARE L’UNIVERSITA’

AGLI INTERESSI DI UN RISTRETTO GRUPPO DI ACCADEMICI?

Egregio Onorevole

è stato affermato, anche all’interno della Sua Commissione, che la legge che istituisce la terza fascia di professore universitario (A.C. 5980) rappresenta una ope legis a favore dei ricercatori universitari.

In realtà la legge – alla quale è stata tolta la sede legislativa un minuto prima della sua approvazione finale – non prevede alcun passaggio dei ricercatori in altri ruoli e anzi esclude esplicitamente per essi qualsiasi modifica di mansioni e di retribuzione. Essa prevede soltanto il riconoscimento del titolo di professore e il diritto a partecipare ai Consigli di Facoltà, peraltro già previsto in 10 Atenei.

In sostanza si tratta di un riconoscimento – pur parziale – del ruolo effettivamente svolto da una categoria che, come ha recentemente ribadito lo stesso Ministro, “ha nel tempo acquisito funzioni legislativamente sancite che ne hanno fatto una figura di docente, diversa, quindi, da quella originaria che era invece di supporto” (dal resoconto della seduta del 26.1.00 della Commissione Cultura della Camera).

In realtà è la previsione per legge della presenza dei ricercatori nei Consigli di Facoltà ad avere scatenato una feroce e menzognera campagna di stampa contro il provvedimento promossa da un gruppo di professori della Facoltà di Giurisprudenza di Roma “La Sapienza”. Una Facoltà questa dove si addensano enormi interessi accademici, politici e professionali, per la salvaguardia dei quali si è concentrata in poche mani (88 professori ordinari) l’attività di insegnamento per ben 27.000 studenti, non reclutando alcun professore associato (figura prevista dal DPR 382 del 1980 e presente in tutte le altre Facoltà italiane) e non assegnando a nessuno dei 130 ricercatori della Facoltà incarichi di insegnamento, contrariamente a quanto avviene in tutte le altre Facoltà italiane sulla base della legge 341 del 1990. Per questi professori ordinari e’ vitale impedire con ogni mezzo che una legge preveda la partecipazione al “loro” Consiglio di Facoltà di tutti i ricercatori.

E che gli interessi di questi professori siano particolari lo dimostra il fatto che la presenza di tutti i ricercatori nei Consigli di Facoltà e’ stata accettata, senza proteste e/o ricorsi amministrativi, dai professori delle Facoltà di Giurisprudenza di Bari, Cagliari, Camerino, Catania, Firenze, L’Aquila, Pisa, Roma 3 e Sassari.

A Palermo e Perugia, invece, contro la presenza di tutti i ricercatori e contro l’estensione dell’elettorato passivo ai professori associati sono stati presentati ricorsi che sono stati “tradotti” in sentenze amministrative definitive (Consiglio di Stato e Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Sicilia) con le quali e’ stata dichiarata illegittima qualsiasi norma statutaria che modifichi la composizione degli organi e gli elettorati, cosi’ come previsti dal DPR 382 del 1980. In particolare sono state cancellate le norme che aumentano la consistenza della presenza dei ricercatori nei Consigli di Facoltà e quelle che consentono l’elezione di un professore associato a una carica accademica.

Con queste sentenze, tutti gli Statuti dell’autonomia (?!) universitaria risultano illegittimi perché tutti, in varia misura, hanno modificato quanto previsto dal DPR 382 del 1980. In tal modo tutti gli Atenei rischiano di essere messi in crisi dai ricorsi amministrativi, così come e’ già successo per l’Ateneo di Palermo, che dal 1996 (data di pubblicazione dello Statuto) è in profonda crisi istituzionale, con rettore e presidi in carica eletti secondo le norme del 1980 (unico caso in Italia).

E ricorsi sono stati presentati più recentemente contro lo Statuto dell’Università di Milano e – proprio in questi giorni – contro lo Statuto dell’Università di Roma “La Sapienza”, entrato in vigore da poche settimane.

Per evitare il caos negli Atenei, è indispensabile e urgentissimo un intervento legislativo che definisca per legge la composizione degli organismi universitari e gli elettorati (così come, pur con pesanti limitazioni imposte dalla lobby di potenti professori ordinari, prevede la legge A.C. 5980), riconoscendo in maniera esplicita la competenza e l’autonomia statutaria per tutte le altre questioni riguardanti la organizzazione degli Atenei.

Sono anche questi i motivi per cui la stragrande maggioranza delle Organizzazioni della docenza universitaria (ANDU, APU, CIDUM, CIPUR, CISL-UNIVERSITA’, CNU, FIRU, SNALS-UNIVERSITA’, SNUR-CGIL, UGL-UNIVERSITA’, UIL-PAUR) hanno chiesto l’immediata discussione e approvazione in Aula della legge A.C. 5980, i cui articoli sono stati già approvati dalla Commissione di merito. Operare diversamente equivarrebbe a sacrificare sull’altare degli interessi di pochi potentissimi accademici gli interessi generali dell’Università italiana, nascondendosi dietro argomentazioni pretestuose come la presunta ope legis o il rapido pronunciamento del Parlamento sulle stesse questioni con il Collegato sullo stato giuridico dei docenti universitari (A.C. 6562).

A proposito di quest’ultimo argomento, va da un lato osservato che si tratta di un provvedimento di incerto esito visto che esso ha ricevuto pesantissime critiche da tutto il mondo accademico (eccetto che dal gruppetto di professori ordinari che l’ha elaborato) e visto che, anche se approvato, le norme in esso contenute entrerebbero in vigore a partire dall’1 novembre del 2001 (art. 12, comma 8), lasciando, tra l’altro, tutti gli Atenei sotto la spada di Damocle delle sentenze amministrative per ancora oltre un anno e mezzo.

Per quanto riguarda la presunta ope legis è da sottolineare come si sia di fronte ad un comportamento per lo meno fortemente contraddittorio da parte di quanti, fuori e dentro il Parlamento, l’hanno vista dove non c’è (la legge sulla terza fascia), ma non se ne sono accorti quando realmente c’era (legge 370/99, riguardante i tecnici laureati di medicina). In questo caso gli opinionisti-accademici hanno taciuto e anche i professori-deputati anti ope legis hanno approvata la legge in sede legislativa.

E che nel caso dei tecnici laureati di medicina si tratti di una vera e propria promozione per legge lo conferma il decreto del Rettore dell’Università di Roma “la Sapienza” del 21 gennaio 2000 che recita: “Per effetto dell’art. 8 della Legge 370/99 il personale di cui all’art. 6 del D.Leg. 502/92 (i tecnici laureati di medicina) sottoelencato che svolge funzioni assistenziali e’ inquadrato a decorrere dal 27 ottobre 1999 nel ruolo dei ricercatori universitari.” In tal modo personale per il quale la legge vietava lo svolgimento di attività didattiche viene inquadrato, senza alcuna verifica e attraverso una legge, nel ruolo dei ricercatori, mentre ai ricercatori, essenzialmente per non disturbare gli interessi dei professori ordinari della Facoltà di Giurisprudenza di Roma “La Sapienza”, si vorrebbe negare il titolo di professore e la partecipazione ai Consigli di Facoltà.

Si chiede a tutti i Parlamentari coerenza politica e la non supina accettazione degli appelli-ordini di un gruppo ristretto di accademici che ha ampiamente mostrato di volere una Università a misura dei propri interessi.

31 gennaio 2000

ANDU – Associazione Nazionale Docenti Universitari

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