DALLE NOBILI ALTURE DELL’ACCADEMIA CHE CONTA

ANDU – Associazione Nazionali Docenti Universitari

A tutti i Deputati

PdL 5980 – Istituzione della terza fascia di professore universitario

DALLE NOBILI ALTURE DELL’ACCADEMIA CHE CONTA

Per capire le argomentazioni dell’articolo sotto riportato bisogna tenere presente che Sabino Cassese e’ un professore ordinario della Facoltà di Giurisprudenza di Roma “La Sapienza” che conta 88 professori ordinari, nessun professore associato, 123 ricercatori (a nessuno dei quali e’ mai stato affidato un insegnamento) e 27.000 studenti. Insomma, per tanti studenti solo 88 docenti veri, non pochi dei quali sono impegnati in elevati compiti istituzionali e/o professionali. Una Facoltà di eccellenza dove non si bandiscono posti di professori e il “rinnovamento” del corpo dei docenti veri (solo ed esclusivamente ordinari) avviene per cooptazione diretta, facendone il piu’ eccellente centro di cultura accademica, economica e politica dell’Universita’ italiana.

Tenendo conto di tutto cio’ si puo’ capire come interesse vitale del professore Cassese sia di scongiurare l’approvazione di una qualsiasi legge che anche lontanamente possa disturbare un sistema cosi attentamente curato negli anni e come siano per lui secondarie la fondatezza e la logicità delle argomentazioni.

  1. L’alto numero dei componenti dovuto alla costituzione della terza fascia porterebbe all’ingovernabilità dei Consigli di Facoltà. Ma quando un Consiglio diventa ingovernabile? Nella Facoltà di Medicina del suo Ateneo dal 1980, senza la presenza dei ricercatori e tanto meno degli ancora inesistenti professori di terza fascia, il Consiglio di Facoltà è composto da oltre 600 professori, mentre nella sua Facoltà – al “peggio” – sarebbe composto da 211 membri. In circa 15 Atenei già oggi – in molti casi da anni – tutti i ricercatori fanno parte dei Consigli di Facoltà. Quali di questi Consigli sono risultati ingovernabili? Non è che Cassese si preoccupi in realtà della “qualità”, più che della quantità, del suo “speciale” Consiglio di Facoltà?

  2. Dalla costituzione della terza fascia “deriverà una sindacalizzazione dell’università, un regime non diverso da quello precedente alla rivoluzione francese”. Dal 1980 le fasce sono due: c’è stata sindacalizzazione? C’era sindacalizzazione quando la fascia era una? Perché ci dovrebbe essere sindacalizzazione con la terza fascia? Cassese non vuole i tre stati prerivoluzionari, preferendo il regime pre-prerivoluzionario del solo Stato della Nobiltà. Regime questo vigente da sempre nella sua Facoltà.

  3. Con l’introduzione della terza fascia partiti e sindacati condizionerebbero l’elezione dei presidi e del rettore. E quando a votare sono stati solo i professori non l’hanno condizionata? L’hanno condizionata nelle decine di Atenei in cui tutti i ricercatori – in molti casi da anni – partecipano all’elezione di preside e rettore?

  4. Quello del “danno temuto” è un’argomentazione impossibile da contestare. Qui siamo sul terreno della pura immaginazione: la terza fascia dovrebbe ineluttabilmente portare all’abolizione di ogni verifica per l’avanzamento nella carriera. Dal 1980 esistono due fasce (in tutte le Facoltà di Italia meno che in quella del prof. Cassese) e il danno temuto non si è verificato. Perché dovrebbe succedere con le tre fasce? Non è che Cassese in realtà – ancora una volta – si preoccupi della sua “speciale” Facoltà dove la fascia e’ sempre stata una e con la terza fascia per la prima volta ce ne sarebbero due?

  5. In Parlamento si starebbe discutendo “di categorie da soddisfare e di interessi da mediare.” Il Parlamento dovrebbe invece continuare ad occuparsi solo della sub-categoria degli ordinari potenti di cui dovrebbe continuare a curare gli interessi?

Può il Parlamento restare insensibile ai nobili richiami accademico-giornalistici che discendono – con scientifica tempestività – dalle alture del gotha della cultura universitaria che da sempre gestisce direttamente il Ministero dell’Università e ha il monopolio della “opinione pubblica” sulla “grande stampa”? Alzando lo sguardo sui risultati dell’esercizio di tanto potere si vedrebbe una Università allo sfascio in mano ai poteri forti locali e nazionali.

L’articolo di Sabino Cassese

Da Il Sole 24 Ore di Martedì 27 Febbraio 2001

Gli ultimi regali di Sabino Cassese

Gli ultimi giorni di una legislatura sono pericolosi. I parlamentari si affrettano a far approvare provvedimenti che possano render loro in termini di voti. Il progetto di legge cosiddetto sulla terza fascia ne è un buon esempio. Il provvedimento è, all’apparenza, innocuo: prevede che i ricercatori universitari, conservando lo stesso stipendio, siano, per legge, collocati in una categoria di «professori ricercatori», denominata terza fascia del ruolo dei professori universitari, accanto alla prima (i professori ordinari) e alla seconda (i professori associati).

All’apparenza, dunque, si tratta solo di un cambiamento di nome.

Nella realtà, però, il progetto di legge sulla cosiddetta terza fascia produrrebbe — se approvato — guasti certi e danni quasi sicuri. In primo luogo, il progetto fa discendere dalla nuova classificazione l’attribuzione ai ricercatori del diritto di partecipare agli organi accademici, in modo che la rappresentanza del personale docente sia assicurata «equilibratamente» alle tre cosiddette fasce. Due le conseguenze evidenti di tale disposizione. La prima che consigli di facoltà e altri organi, già oggi pletorici, saranno domani ingovernabili per l’alto numero di componenti. La seconda conseguenza è che negli organi delle università si consolideranno tre corporazioni.

Invece di essere presenti per la funzione svolta, professori e ricercatori saranno presenti per il corpo di appartenenza. Ne deriverà una sindacalizzazione dell’università, un regime non diverso da quello precedente alla rivoluzione francese: il Parlamento era diviso per Stati, nobiltà, clero e borghesia. In secondo luogo, il progetto di legge fa discendere dalla nuova classificazione l’assegnazione dell’elettorato attivo per tutte le cariche accademiche. La conseguenza sarà che le elezioni dei rettori e dei presidi coinvolgerà, rispettivamente, migliaia e centinaia di persone. La selezione dei rettori e dei presidi avverrà, allora, secondo criteri partitici e sindacali, e premierà gli agitatori, non gli organizzatori o gli scienziati. Il terzo inconveniente derivante dal progetto di legge è un danno temuto. Collocare i ricercatori in una piramide unitaria di professori, ordinata per fasce, vuol dire rendere, domani, agevole eliminare le sottili linee di separazione, consentendo, senza concorso, il passaggio da una fascia all’altra per anzianità. Si avrebbe, così, una carriera universitaria nella quale si entrerebbe a 25-30 anni, procedendo, poi, senza verifiche, fino alla posizione di professore ordinario.

Ora, il mestiere di professore universitario è rimasto ancora un mestiere serio — nonostante un eccessivo allargamento — perché la selezione si svolge con prove successive, prolungate nel tempo, rimesse a commissioni diverse, che verificano capacità e produttività per un arco di tempo di almeno 15 anni (quanto, in generale, è necessario per passare i tre diversi esami di ricercatore, di professore associato e di professore ordinario). Se si eliminano queste verifiche (e gli incentivi che ne derivano), il sistema perderà le sue caratteristiche meritocratiche e degraderà in carriera burocratica. Se si toglierà ai giovani e brillanti ricercatori il diritto di concorrere, si finirà per assicurare a stanchi e improduttivi ricercatori il diritto di attendere una promozione per anzianità. A quest’ultima osservazione potrebbero esser rivolte due critiche, che vorrei confutare subito.

La prima e’ che, una volta giunti in cima, oggi non vi sono valutazioni istituzionalizzate: ebbene, questo e’ un buon motivo per introdurle lì, non per eliminarle nella progressione iniziale. La seconda è che il danno temuto e’ remoto: obietto che basta guardare quel che e’ successo nella magistratura con le due leggi Breganze e quel che sta accadendo con le leggi e i contratti Bassanini nel pubblico impiego, per rendersi conto che il pericolo è imminente.

Al progetto di legge che ho criticato si sta impegnando un ristretto manipolo di parlamentari, alcuni dei quali di notevole esperienza. Ma la lettura degli atti parlamentari dimostra l’estrema povertà del dibattito: vi si discute di categorie da soddisfare e di interessi da mediare. Nessuno che alzi lo sguardo da tali bassure e valuti l’effetto del progetto sulle singole facoltà, sulle strutture portanti della nostra Università e, quindi, della nostra scienza. Nessuno che si preoccupi di disegnare il futuro. Che tristezza!

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