Ancora su rottamazione dei ricercatori e Parlamento

AGGIORNAMENTO del 17.1.10. Il Disegno di legge (1441-quater-B) al quale ci si riferisce nel documento che segue sarà discusso dalla Commissione Lavoro della Camera nei giorni 19, 20 e 21 gennaio 2010. Il testo dell’articolo 23 sul pensionamento dei medici ospedalieri è il seguente:

Art. 23. (Età pensionabile dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale).

 1. Al comma 1 dell’articolo 15-nonies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, le parole: «fatta salva l’applicazione dell’articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503» sono sostituite dalle seguenti: «ovvero, su istanza dell’interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo. In ogni caso il limite massimo di permanenza non può superare il settantesimo anno di età e la permanenza in servizio non può dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti».

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AI DEPUTATI

         Il 26 novembre 2009 il Senato ha approvato, in seconda lettura, la legge 1167 sulle norme in tema di lavoro pubblico.

          In questa legge è stata inserita (art. 23, v. nota) una norma che consente ai dirigenti medici di posticipare l’età pensionabile fino a compiere 40 anni di effettivo servizio, ma non oltre i 70 anni di età.

          A proposito di questa norma, il 12 gennaio 2010 nella Commissione Lavoro della Camera (dove la legge è in discussione in terza lettura) è intervenuta l’on. Anna Margherita MIOTTO (PD), che “soffermandosi innanzitutto sull’articolo 23, chiede chiarimenti all’Esecutivo circa la sua posizione in materia di collocamento a riposo dei dipendenti pubblici, dal momento che la disposizione approvata dal Senato, che autorizza la permanenza in servizio dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale fino ai 70 anni, contrasta in modo evidente con precedenti determinazioni legislative (peraltro a più riprese modificate e contraddette) assunte nella corrente legislatura, tese a favorire il collocamento in quiescenza dei dipendenti pubblici al maturare dei 40 anni contributivi sulla base di una decisione unilaterale della pubblica amministrazione. Nel ritenere, peraltro, intollerabile prevedere un trattamento differenziato e privilegiato solamente per alcune categorie di lavoratori pubblici, lasciando tutti gli altri lavoratori in uno stato di sostanziale e deprecabile precarietà, ritiene che il Governo abbia il dovere di dirimere le contraddizioni presenti al proprio interno, decidendo, una volta per tutte, quale strada percorrere in tale materia.” (dal resoconto della seduta).

         Gli emendamenti a questa legge devono essere presentati entro le ore 12 del 21 gennaio 2010.

          Sulla questione della rottamazione dei dipendenti pubblici e, in particolare, dei ricercatori universitari, l’ANDU ha già ricordato che “contro la follia, anche giuridica, della rottamazione in questi mesi si sono espressi più volte Parlamentari di tutti i Gruppi e si sono approvati Ordini del giorno.

          In particolare per i ricercatori il 23 settembre 2009 al Senato il Governo ha accolto l’Ordine del giorno che “impegna il Governo: ad includere esplicitamente anche i ricercatori tra le categorie alle quali non si applica, per il triennio 2009-2011, la risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro con un preavviso di sei mesi a decorrere dal compimento dell’anzianità massima contributiva di 40 anni.”

         Anche recentemente tutti i Parlamentari sono stati invitati a fare prevalere la loro volontà di eliminare l’assurda norma sulla rottamazione, ma, finora, per quanto riguarda i ricercatori universitari, QUALCOSA l’ha impedito. Un invito che l’ANDU ripropone con forza.

          E’ infatti urgente che il Parlamento impedisca che in alcuni Atenei, nell’illusione di far fronte al dissesto finanziario (dovuto anche ai pesanti tagli operati dal Governo), si ‘cannibalizzino’ i ricercatori, usandoli come zavorra umana, per far cassa.”

= Nota. Testo dell’emendamento alla legge 1167 sulle norme in tema di lavoro pubblico, approvato dall’Aula del Senato il 26 novembre 2009:

“Dopo l’articolo 16, inserire il seguente:

“Art. 16-bis.(Età pensionabile dei dirigenti medici del Servizio sanitario nazionale)

        1. Al comma 1 dell’articolo 15-nonies del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, le parole: “fatta salva l’applicazione dell’articolo 16 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503.” sono sostituite dalle seguenti: “ovvero, su istanza dell’interessato, al maturare del quarantesimo anno di servizio effettivo. In ogni caso il limite massimo di permanenza non può superare il settantesimo anno di età e la permanenza in servizio non può dar luogo ad un aumento del numero dei dirigenti.

6 comments for “Ancora su rottamazione dei ricercatori e Parlamento

  1. 13 gennaio 2010 at 10:02

    ROTTAMARE ANCHE I PROFESSORI
    di Mauro Degli Esposti

    Perche’ non applicare le stesse norme anche ai professori di prima e seconda fascia?

  2. Paolo Manzini
    13 gennaio 2010 at 11:29

    ROTTAMARE TUTTI? COLLASSO TOTALE
    di Paolo Manzini dell’Università di Padova

    Mauro Degli Esposti ha scritto il 13 gennaio 2010 alle 10:02
    E perche’ non applicare le stesse norme anche ai professori di prima e seconda fascia?
    In linea di equità parrebbe un quesito solido. Riferiamoci per ora al solo dato certo facilmente ottenibile, età di pensione a 65 anni per tutti i Docenti. Non conosco un modo per avere i dati degli anni di contributi.
    Ma neppure i legislatori più amanti delle avventure e più ansiosi di risparmiare (solo sui bilanci degli atenei, perchè il costo si ripercuote pari pari sul bilancio dell’INPDAP, fra pensioni erogate e mancate trattenute pensionistiche) potrebbe essere così pazzerellone da pensionare domani in un colpo il 42% dei PO, il 18% dei PA ed il 4% dei RU. Nel 2012, sarebbero rispettivamente 58%, 29% e 10%.
    Qualcuno pensa che si eviterebbe il collasso totale di un sistema Università, retto oggi da 62.768 docenti di ruiolo, se ne mancassero di un colpo oltre 12.00 e fra due anni quasi 19.000?

  3. 13 gennaio 2010 at 12:00

    CONVERREBBE ROTTAMARE I PROFESSORI
    di Antonino Graziano dell’Università di Catania

    Se si valuta finanziariamente gli oneri dei professori universitari si evince quanto segue
    P Ordinari 120512.ooo euro 14 classe
    P associati 88075.ooo euro 14 classe
    P Aggregati 63.ooo euro 14 classe
    Risulta chiaro che se esigenze di cassa ci sono negli atenei P.O. e P.Ass sono le categorie che debbono essere rottamate.

  4. 14 gennaio 2010 at 09:56

    PENSIONAMENTO A 65 ANNI NON E’ ROTTAMAZIONE
    di Mauro Degli Esposti

    Riprendo la discussione al mio commento che, pure nelle sue intenzioni provocatorie, non intendeva certo ‘rottamare’ docenti. Partiamo dai fatti. Secondo il rapporto CNVSU 2009 ci sarebbero esattamente, con eta’ uguale o superiore a 65 anni: 5999 Professori Ordinari, 2105 Professori Associati e 328 ricercatori, per un totale di 8432 docenti – che equivale al 13.9% dell’intero corpo docente universitario comprendente queste 3 figure principali. Lo stesso rapporto CNVSU2009 stima che nel corso del 2009 usciranno con le attuali regole circa duemila docenti, a cui se ne aggiungeranno altri circa 2500 nel 2010. Quindi la proposta di estendere il pensionamento FACOLTATIVO a 65 anni coinvolgerebbe, se entrasse in vigore quest’anno, circa seimila docenti, pari a meno del 10% dell’intero corpo docente attuale. Pero’ la proposta fatta da Walter Tocci ed altri sarebbe di dare l’opzione, ai docenti ultrasessantacinquenni che sono attivi (e hanno voglia di farlo, previa valutazione), di contratti a termine tipo ricercatore – o ‘research fellow’ all’inglese. In effetti questa opzione corrisponde alla situazione standard esistente in Ighilterra da anni, dove nessuno ha mai parlato di ‘rottamazione’ e anzi molti hanno preferito, o son stati costretti a preferire il pre-pensionamento anche a meno di sessant’anni. Supponiamo che due terzi dei docenti PO e PA optino per questa soluzione. Allora l’adeguamento normativo del pensionamento a 65 anni equivarrebe alla quiescenza di circa 2000 docenti che non sono attivi – cioe’ il 3,2% del corpo docente attuale e solo il doppio di quelli che sono stimati andarsene con le regole vigenti. Le universita’ trarrebbero certamente dei vantaggi economici, in parte per il ridimensionamento retributivo dei ‘fellows’.

  5. 28 gennaio 2010 at 16:25

    Una certa vocazione “scimmiesca” (volta cioè a scimmiottare gli altri) si sta pericolosamente affermando nel nostro Paese. Quando non si sa come giustificare un provvedimento entro il nostro sistema, si ricorre al fatto che nel tal paese si fa così, senza alcun riguardo per la diversità, a volte profonda, delle situazioni strutturali oltre che culturali. Il risultato è che l’Università italiana si avvia ad essere sempre più una sorta di organismo alla “Frankenstein” che mette insieme pezzi provenienti da tradizioni diverse e non sempre tra loro compatibili.
    Così è per il 3+2 (ma ne ho già scritto), così rischia di essere per il sistema di valutazione, eccc… Quì però si rischia il paradosso. Perchè è vero che l’Università si scarica di un onere quando un professore va in pensione, ma l’onere rimane comunque allo Stato (Così è almeno in Italia) che deve pagare la pensione. Vorrei capire come possa essere conveniente (ovviamente nel sistema paese complessivo, e non già nel ritagliato orticello universitario) che qualcuno sia pagato per non far niente anzichè per fare qualcosa (anche se la produttività dell’anziano è genaralmente ridotta). O questo è forse l’abbaglio di un povero matematico come me che crede ancora che 2+2 fa 4?

  6. 16 marzo 2010 at 10:00

    Spero che il ddl 1167 b equipari finalmente, da subito, l’età pensionabile di tutti i medici, ospedalieri ed universitari, compresi gli universitari che hanno ottenuto di rimanere a dirigere un dipartimento misto (ospedaliero e universitario) fino a 72aa. Sembra impossibile ma é così, gli esempi non mancano.

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