UNIVERSITA': ANCORA PEGGIO?

= 10 giugno 2013

  1. Ministro: “monitorare l’attuazione della legge 240/10” (cosiddetta Gelmini)

  2. Chi si è opposto alla Legge cosiddetta Gelmini

  3. Chi ha imposto la Legge cosiddetta Gelmini

  4. In particolare la CRUI

  5. Il Ministro chi sta ascoltando? Il Parlamento chi ascolterà?

  6. Ricercatori nazionali e locali

  7. Ripristino fondi, ma ‘a premio’

  8. Attivazione ad esempio di 1000 posizioni” di ricercatore ‘in attesa di ruolo’

1. Ministro: “monitorare l’attuazione della legge 240/10”

Il ministro Maria Chiara Carrozza il 6 giugno scorso ha esposto le sue linee programmatiche alle Commissioni riunite Istruzione del Senato e Cultura della Camera (testo dell’intervento, audio della seduta).

Nel suo intervento il Ministro ha, tra l’altro, affermato: “non è tra i miei obiettivi una riforma sostanziale dell’università senza aver prima effettuato un monitoraggio sull’attuazione della legge 240/2010”  (a pag. 24 dell’intervento).

Ma cosa c’è da ulteriormente accertare sulla legge cosiddetta Gelmini, i cui obiettivi erano chiarissimi a tutti – ben prima della sua approvazione – e i cui effetti devastanti sono sotto gli occhi di chiunque operi nell’Università?

Peraltro l’attuale Ministro dovrebbe già conoscere molto bene questa legge alla cui approvazione e applicazione ha partecipato come membro della Conferenza nazionale dei Rettori (dal 2007) e come presidente del Forum del PD per l’Università (dal 2009).

 

2. Chi si è opposto alla Legge cosiddetta Gelmini

Quali erano gli obiettivi e quali sarebbero stati gli effetti della legge cosiddetta Gelmini l’avevano ripetutamente denunciato le Organizzazioni dell’Università.

Per esempio, nel documento unitario del 9 aprile 2010 (mentre era in corso al Senato l’esame del DDL governativo e mentre si sviluppava un grande movimento di protesta nel mondo universitario, con in testa studenti e ricercatori) c’era scritto: “risulta ancora più evidente l’intenzione di scardinare il Sistema nazionale dell’Università pubblica, concentrando le scarse risorse in pochi Atenei ritenuti ‘eccellenti’ e ridimensionando il ruolo di tutti gli altri.

A livello nazionale, si accentua l’attacco all’autonomia universitaria con l’attribuzione del potere di valutare l’attività del singolo docente ad una Agenzia nominata dal Ministro. A livello locale, si aumenta ulteriormente di fatto il potere del Rettore e del Consiglio di Amministrazione trasferendo la “competenza disciplinare” dal CUN a “collegi di disciplina” di Ateneo.

Inoltre si aumenta la differenza tra gli ordinari e gli associati, nell’ambito di un modello che sarà sempre più costituito da pochi docenti di ruolo e da una ‘base’ amplissima di precari, in presenza di funzioni di docenza svolte e non riconosciute.

Il DDL modifica la natura stessa dell’Università sottraendole il ruolo di sede principale della Ricerca: non è un caso che non si affrontino la questione dei ricercatori e quella dell’accesso delle nuove generazioni.

E’ oramai più che evidente che si vuole demolire definitivamente l’Università pubblica, autonoma, democratica, di qualità e aperta a tutti.

3. Chi ha imposto la Legge cosiddetta Gelmini

La legge cosiddetta Gelmini ha per larga parte attuato quanto voluto e scritto dalla Confindustria (TreeLLLe), dal PD e dalla CRUI.

Questa legge è stata strenuamente sostenuta dalla Confindustria (la cui linea è stata pubblicamente apprezzata dal vice-segretario del PD Enrico Letta) e dalla CRUI (presidente Decleva e segretario generale l’attuale presidente Mancini).

4. In particolare la CRUI

Fa ‘impressione’ rileggere quanto contenuto nel documento approvato (all’unanimità, naturalmente) l’8 luglio 2010 dalla CRUI:

Sussiste il rischio concreto, in una fase sempre più critica della politica italiana, che il provvedimento di riforma, nella versione già migliorata e ancora migliorabile dal Parlamento, non venga approvato neppure in prima lettura entro la pausa estiva, vanificando in maniera probabilmente definitiva prospettive irripetibili di miglioramento e di sviluppo del sistema.

E poi, nel documento della CRUI del 28 ottobre 2010, mentre cresceva ancora la mobilitazione del mondo universitario contro l’approvazione della legge: “Tocca ora al Governo e al Parlamento assumere le loro responsabilità sia sul piano normativo che finanziario.

La CRUI fa in ogni caso presente che, solo dopo aver garantito un’adeguata copertura finanziaria ai fabbisogni del sistema nel senso richiamato, potrà trovare credibilità e concreta attuazione anche la ripresa del percorso parlamentare del DDL di riforma.

La Legge è stata poi approvata dalla maggioranza con la finta opposizione del PD ed è stata promulgata con ‘tormento’ dal Presidente della Repubblica, nonostante i suoi elementi di incostituzionalità.

E dopo quasi tre anni, la CRUI si ritrova a lamentarsi che “la situazione dell’FFO 2013 è insostenibile” e a constatare che “lo stato dell’Università italiana è drammatico dopo quattro anni di tagli, malgrado (sic!) l’applicazione della Riforma Gelmini”, cioè di quella Controriforma – voluta e sostenuta dalla Conferenza nazionale dei Rettori – che sta distruggendo l’Università statale e che ha enormemente aumentato i poteri dei Rettori nella gestione degli Atenei, dei quali sono diventati sovrani assoluti.

5. Il Ministro chi sta ascoltando? Il Parlamento chi ascolterà?

Da mesi le Organizzazioni dell’Università hanno elaborato analisi e puntuali richieste “Per salvare e rilanciare l’Università”. Nel documento unitario – tra l’altro – si auspica che il nuovo Parlamento e il nuovo Governo, a differenza dei precedenti, non ascoltino “soltanto coloro che hanno interesse allo smantellamento dell’Università statale”.

Le Organizzazioni universitarie sollecitano immediati atti legislativi e ministeriali che – come richiesto dalla stragrande maggioranza del mondo universitario – rendano democratica la gestione degli Atenei, assicurino il diritto allo studio e rafforzino il valore reale e legale delle lauree, prevedano uno straordinario reclutamento nel ruolo della docenza da rendere unico, valorizzino il dottorato di ricerca, riconoscano maggiormente il ruolo svolto dai Tecnico-amministrativi, rivedano radicalmente il ruolo e la composizione dell’ANVUR, prevedano un finanziamento che sia non inferiore alla media europea.

Più recentemente le stesse Organizzazioni hanno inviato le “Richieste al Ministro dell’IUR la cui attuazione dipende esclusivamente dallo stesso Ministro”, con, al primo punto, la richiesta del “ritiro dei ricorsi ministeriali contro le norme statutarie che prevedono l’elezione diretta di componenti dei CdA”.

Quasi nulla di quanto richiesto dalle Organizzazioni universitarie è stato ripreso dal Ministro nel suo intervento in Parlamento.

Al contrario il Ministro ha annunciato provvedimenti (“Piano straordinario nazionale di reclutamento ricercatori” e ‘fondi-premio’) che vanno proprio nella direzione dello scardinamento del “Sistema nazionale dell’Università pubblica, concentrando le scarse risorse in pochi Atenei ritenuti ‘eccellenti’ e ridimensionando il ruolo di tutti gli altri.” (v. sopra il documento unitario del 9.4.10).

6. Ricercatori nazionali e locali

Nel suo intervento, a pag. 27, il Ministro ha scritto: “ritengo una priorità strategica quella di prevedere da subito un Piano straordinario nazionale reclutamento ricercatori ex art 24, comma 3, lettera b) Legge 240/10, con bando nazionale, che di fatto si configura come l’estensione ad una nuova categoria (i candidati attivi in Italia) del Programma per giovani ricercatori Rita Levi Montalcini, attualmente riservato a studiosi attivi all’estero. I vincitori del bando scelgono l’università presso la quale essere assunti con contestuale assegnazione all’ateneo delle relative risorse. Considerato che il costo annuo di un contratto è stimato in € 70.000, l’importo complessivo per l’attivazione ad esempio di 1000 posizioni richiede, a regime, una spesa di € 70.000.000. In relazione all’ottenimento dell’abilitazione scientifica nazionale, al termine del terzo anno tali contratti consentono l’assunzione del soggetto come Professore di II fascia ai sensi dell’art. 24, comma 5 della Legge 240/10”.

In pratica i nuovi bandi nazionali per ricercatori di tipo b si affiancherebbero a quelli locali già previsti. Le conseguenze di questa scelta sarebbero molto gravi. Infatti, dando ai vincitori dei concorsi banditi nazionalmente la possibilità di scegliere “l’università presso la quale essere assunti con contestuale assegnazione all’ateneo delle relative risorse”, si ‘orienterebbero’ i vincitori verso gli Atenei già più forti, rafforzandoli ulteriormente. Inoltre si produrrebbe la mostruosità giuridico-accademica dello ‘sdoppiamento’ di identiche figure in ‘eccellenti’ (quelle bandite nazionalmente) e ‘casalinghe’ (quelle bandite localmente).

Tutt’altra cosa sarebbe se i bandi fossero tutti SOLO nazionali e riguardassero SOLO posti PREVENTIVAMENTE allocati negli Atenei, tra i quali consentire ai vincitori – sulla base di una graduatoria – la scelta dell’ateneo in cui svolgere l’attività. Occorrerebbe inoltre escludere dalla commissione gli appartenenti agli atenei in cui sono stati allocati i posti. Questo meccanismo escluderebbe ‘solo’ la cooptazione personale e non anche la maggioranza degli Atenei.

7. Ripristino fondi, ma ‘a premio’

Il Ministro ha anche detto (pagg. 24-25): ”ritengo improcrastinabile un intervento di ripristino dei 300 milioni di euro a valere sul FFO delle Università statali a partire dal 2013. Tale importo potrebbe essere in larga parte attribuito non su base storica ma come quota premiale”.

Prevedere il “ripristino” di fondi precedentemente sottratti agli Atenei, assegnandoli “in larga parte” solo ad una parte di essi, dovrebbe apparire una forzatura anche a chi ritiene che gli Atenei statali debbano essere spinti/costretti alla competizione piuttosto che alla collaborazione. Una forzatura ancora maggiore se si considera che da anni gli Atenei italiani sono stati volutamente ridotti in condizioni estreme: blocco del ricambio generazionale, drastica riduzione dei fondi  per la ricerca e la didattica, riduzione del diritto allo studio, ecc.

8. “Attivazione ad esempio di 1000 posizioni” di ricercatore ‘in attesa di ruolo’

La previsione del Ministro (pag. 26) di 1000 posti di ricercatore ‘in attesa di ruolo’ per rimediare alla drastica riduzione dei docenti di ruolo e alle aspettative di decina di migliaia di ricercatori precari è assolutamente insufficiente.

L’Università ha invece bisogno SUBITO di migliaia di NUOVI docenti di RUOLO e per questo è necessario nei prossimi 3-5 anni il bando nazionale di almeno 20.000 posti in un nuovo ruolo unico della docenza o, in attesa della sua attuazione, di almeno 20.000 posti nel ruolo di ricercatore a tempo indeterminato, da trasformare in terza fascia di professore.

2 comments for “UNIVERSITA': ANCORA PEGGIO?

  1. gianni porzi
    14 giugno 2013 at 03:56

    Vi invio il mio intervento sul giornale online “Universitas” che pubblicai in occasione dell’approvazione della Legge Gelmini; all’epoca ero membro del CdA dell’Università di Bologna.
    Cordialmente. Gianni Porzi

    Una riflessione sulla Riforma Universitaria

    Ho sentito definire la Riforma Universitaria, recentemente varata, “epocale”, ovviamente in senso positivo. Non sono d’accordo perché, volendo usare tale aggettivo, questo è, a mio avviso, più appropriato per la Legge di Riforma dell’Università del 1980, cioè il DPR 382, che ritengo avesse tutti i caratteri dell’innovazione e che, con alcuni ritocchi, al testo originale, sarebbe ancora oggi valida.
    Quella Legge fu varata con grande difficoltà per la resistenza di un gruppo di parlamentari attaccati al passato e che, pur essendo stati sconfitti in quell’occasione, negli anni successivi, con interventi legislativi mirati, riuscirono a snaturare alcuni aspetti importanti e innovativi della “382”.
    Ai più giovani vorrei ricordare che a tale Legge mise mano il Sen. Prof. Spadolini, profondo conoscitore del mondo universitario, uomo di notevole cultura, politico di alto profilo e, cosa molto importante, persona che aveva un profondo senso delle Istituzioni e della democrazia.
    Purtroppo, Politici di tale spessore sono sempre più rari. Nonostante la recente Legge contenga, senza dubbio, spunti interessanti e apprezzabili, non ritengo tuttavia che possa essere definita “epocale” se non altro perché in alcuni aspetti mi richiama alla mente l’Università ante 1980. Infatti, per quanto riguarda ad esempio il Personale Docente, i prof. di II fascia sono abbastanza simili agli Assistenti ordinari con incarico di insegnamento e i Ricercatori a tempo determinato assomigliano ai Borsisti dell’epoca.
    E anche l’idoneità nazionale a Professore è analoga alla Libera docenza (soppressa dalla “382”). Prima di entrare nel merito di alcuni aspetti della Legge che non condivido, vorrei stigmatizzare l’azione martellante dei media volta a mettere in cattiva luce il mondo universitario quasi a voler giustificare la necessità di una riforma. E a fronte di ciò, sconcertante è stato il silenzio della CRUI che ha dimostrato così di condividere il progetto di riforma. E’ vero che vi è stata una proliferazione dei Corsi di Laurea, a volte indiscriminata, dovuta forse più a “interessi di bottega” che a seri motivi culturali o a reali esigenze degli studenti e/o del mondo del lavoro: è stato indubbiamente un esempio di cattivo uso dell’autonomia.
    Tuttavia, a coloro che hanno criticato (raramente in modo obiettivo e spesso strumentalmente) l’attuale sistema universitario va ricordato che se si considera la produzione scientifica in rapporto al numero di Professori e Ricercatori, l’Italia si pone al 4° posto in Europa. Le citazioni dei lavori scientifici degli italiani sulle principali riviste internazionali sono più numerose rispetto, ad esempio, ai colleghi francesi sebbene il numero di Professori e di Ricercatori italiani è inferiore alla media OCSE, come pure l’entità dei finanziamenti statali in rapporto al PIL.
    E’ vero che il distacco da certi Atenei Inglesi e Americani è notevole, ma è anche vero che questi dispongono di maggiori risorse e si avvantaggiano anche del fatto che in campo scientifico la lingua ufficiale è l’inglese. Non è quindi corretto affermare che le nostre Università hanno piazzamenti deludenti in tutte le classifiche internazionali perché sono invece ben posizionate quando, ad esempio, il parametro di valutazione prevalente è la qualità della ricerca, a dimostrazione che in campo scientifico l’Università italiana ha una buona reputazione.
    Siamo invece piazzati male sul fronte dei servizi agli studenti (residenze universitarie, strutture per la didattica e per lo studio, corsi serali per studenti lavoratori, …) e ciò a causa anche dei modesti investimenti nel diritto allo studio. Quindi, non tutto il nostro sistema universitario è da buttare, come qualcuno ha voluto, strumentalmente, far credere agli Italiani attraverso frequenti interventi sui media.
    Alcuni aspetti, non secondari, della Legge che riguardano le risorse, il corpo docente e la governance ritengo meritino un’attenta riflessione.

    – Risorse. E’ vero che non tutti gli Atenei impegnano le risorse disponibili in modo oculato, cioè nel doveroso rispetto del “principio di economicità”. Premesso che ciò va decisamente condannato, tanto più perché il Paese sta attraversando un momento difficile che dovrebbe quindi imporre una maggiore attenzione nell’impiego del denaro pubblico (un’efficace razionalizzazione della spesa), non ritengo tuttavia possibile che si possa fare una buona Legge di riforma, qualsiasi essa sia, a “costo zero”. Pertanto, se non vi erano le risorse adeguate si potevano attendere tempi migliori, salvo si sia voluto varare a tutti i costi un provvedimento per una mera questione di prestigio, per legare il proprio nome ad una Legge.

    – Governance. Non v’è dubbio che la Legge avrà come effetto immediato quello di accrescere eccessivamente il potere, già notevole, dei Rettori. Infatti, il mandato unico della durata di 6 anni farà sì che il Rettore, non più sottoposto ad una verifica elettorale, potrà governare senza dover rendere conto del proprio operato ai Colleghi (come invece sarebbe con un mandato triennale rinnovabile una sola volta).
    Nel nuovo CdA, che di fatto avrà un potere decisionale assoluto, in quanto il Senato accademico potrà solo formulare proposte, sarà presieduto dal Rettore e potranno farne parte anche membri esterni (sostanzialmente scelti dal Rettore) che, non è da escludere, potrebbero essere portatori di interessi esterni all’Ateneo. Pertanto, eliminando una significativa rappresentanza di Docenti eletti dai Colleghi, di fatto vengono calpestati quei principi di “governance partecipata”, garanzia di una pluralità di voci, e si instaura invece una sorta di “governo oligarchico”.
    – Non è inoltre accettabile che il controllato, cioè l’Ateneo, nomini e siano a libro paga i controllori, cioè i componenti del Collegio dei revisori dei conti e del Nucleo di valutazione.
    Tali organismi dovrebbero essere nominati e remunerati direttamente dal Ministero al quale poi dovrebbero rispondere.

    – Corpo docente. Nei prossimi anni, anche a causa di precedenti provvedimenti legislativi, ritengo si assisterà ad un diffuso malcontento e ad una progressiva demotivazione da parte di settori del Personale docente. Per realizzare infatti una struttura piramidale del corpo docente (cioè una base numericamente ampia di Ricercatori, e un vertice ristretto a pochi prof. di I fascia, con una zona intermedia costituita dai prof. di II fascia), gli Atenei saranno costretti ad aumentare il n° di Ricercatori, a mantenere pressoché costante quello dei prof. di II fascia e a diminuire i prof. di I fascia, con il risultato che la carriera dei Ricercatori e dei prof. di II fascia sarà bloccata per molti anni, alla luce anche del calo di risorse a disposizione degli Atenei.
    Si tenga presente che attualmente la struttura è di tipo cilindrico, la “382” infatti prevedeva a regime 30.000 Prof. di ruolo (50% di I fascia e 50% di II fascia) e 15.000 Ricercatori. Un tale processo di riorganizzazione dell’assetto della Docenza causerà, inevitabilmente, un forte malcontento sia tra i Ricercatori che tra i prof. di II fascia che si tradurrà verosimilmente in un calo dell’impegno nell’attività scientifica (per dedicarsi a tempo pieno alla ricerca scientifica non basta la passione, le persone hanno bisogno anche di prospettive concrete di avanzamento di carriera, quindi economiche) e, chi potrà (in particolare laureati in economia-commercio, in giurisprudenza, in ingegneria, in medicina,….) prenderà in seria considerazione l’attività professionale privata con conseguente calo dell’impegno all’Università, oppure cercherà migliori opportunità all’estero. Ciò non è coerente con quanto si sente spesso affermare che occorre bloccare la fuga dei cervelli all’estero. I provvedimenti finora presi non ritengo vadano in tale direzione perché per trattenere i migliori occorre dare concrete opportunità di carriera.
    – Altra criticità è relativa al fatto che gli attuali Ricercatori a tempo indeterminato corrono il serio rischio di trovarsi relegati in una sorta di riserva indiana : la mancanza di prospettive di carriera provoca inesorabilmente una progressiva demotivazione.
    – Infine, contrariamente al DPR 382 che poneva una certa attenzione a non concentrare tutto il potere in mano a pochi, i prof. di II fascia sono stati esclusi anche dalle Commissione di concorso per Ricercatore, con il risultato che i tutti i concorsi saranno “gestiti” dai soli prof. di I fascia, cioè da una ristretta casta. Ritengo sia un errore emarginare una componente del corpo docente perché ciò non contribuirà certo all’instaurarsi di un clima più sereno e quindi positivo per affrontare e risolvere i problemi dell’Università.
    E’ mia opinione che l’artefice principale di tale riforma sia stata un’eminenza grigia (ereditata dall’ex Ministro Mussi, adatta quindi per tutte le “stagioni”) che ha colto l’occasione per guadagnarsi sul campo i “galloni” per un eventuale incarico più prestigioso.
    Gianni Porzi (Università di Bologna)

  2. Zaccone Giacomo
    7 settembre 2013 at 19:34

    In relazione alla valutazione di chiudere alcuni atenei, e lasciare quelle che dorvrebbero fungere da inspiring minds, ho sempre sostenuto per esperienza personale che lo strumento numero uno è quello di valutare l’attività singola scientifica del ricercatore da delegare però non ad una agenzia nominata dal ministero, o peggio localmente dal rettore, ma demandando solo ad un organismo internazionale presieduto da specialisti del settore.Questo è uno strumento per potere avere un andamento numerico delle persone valide che portano avanti la qualità scientifica degli atenei italiani per decretarne la permanenza o la chiusura
    Giacomo Zaccone, Ordinario nell’Universitò degli Studi di Messina
    Giacomo Zaccone Ordinario Università degli Studi di Messina

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *