S. Nicosia: Lettera al Corriere della Sera

Signor Direttore,

non dubito che per Sergio Rizzo sia stato faticoso scrivere l’articolo sull’Università di Lunedì 23; ma anche per il lettore è un articolo faticoso, nel quale sembra obbligatorio trasalire per ogni notizia normale, indignarsi perfino per ogni adempimento obbligatorio a norme.

     Lo spirito generale dell’articolo infatti sembra costantemente il far figurare il Ministero come saggio e severo, e gli Atenei come Pinocchio e Lucignolo a braccetto.

     Per riconoscimento del lavoro di documentazione di Rizzo e della diligenza dei lettori vorremmo concesse quaranta righe solo di fatti, ammettendo che i dati di Rizzo siano tutti giusti.

     E il primo dato che salta agli occhi è che gli studenti che escono fuori corso – o non sostengono mai esami – risiedono soprattutto nelle aree del Paese dove la disoccupazione è più alta. Non discutiamo qui quanto in ciò sia colpevole l’Impresa, e quanto la politica. Ma è un fatto che p.es. per dirigere un impianto di trattamento acque industriali a Varese basta un bravo perito; a Perugia per lo stesso stipendio si permettono un laureato; e in Calabria non c’è neppure l’impianto da dirigere.

     Finchè le famiglie possono, allora, iscrivono e riiscrivono i figli all’Università pubblica: essere studente dà qualche speranza in più e suona meglio che essere disoccupato.

     Il sistema dei Crediti Formativi potrà sembrare folle a Rizzo (a noi sinceramente no), ma  è norma europea, nota come Processo di Bologna insieme all’ordinamento “two-tier” o 3+2, che è applicato in Italia dal 2000 (Decreto 509 del novembre 1999), e in un modo particolarmente dogmatico anche. A dar retta alle Università, nelle Facoltà letterarie allora si sarebbe preferito un 3+1, in Ingegneria e Architettura un 4+1; ma non ci fu permesso diversificare, a differenza che in Germania e nel Regno Unito.

    I Crediti servono come condizione necessaria (ma non sufficiente) per la libera circolazione dei laureati in Europa. Negli Stati Uniti sono usati dagli Anni Sessanta.

     Neppure impacchettare tre moduli per comporre un Corso Integrato da 9 o 12 Crediti che finisca con un unico esame è un’invenzione perversa degli Atenei. Semplicemente il Ministero prescrive che oggi la formazione p.es. di un Ingegnere si fondi non solo sulle tradizionali Matematica, Fisica, Chimica, Idraulica, Meccanica, Disegno, Strutture ecc.,  ma anche su un ventaglio di aree scientifiche che vanno dal Diritto alla Statistica alla Geografia economica e oltre,  tutto in 3 anni, con 20 esami al massimo (richiesta delle Associazioni studentesche!) e con la missione di professionalizzare il neo-laureato per un impiego che non si sa quale sarà, perché il mondo produttivo non è obbligato a dichiararlo.

     Allora si mettono insieme gruppi di tre prof, specialisti ciascuno di un modulo di 3 o 4 o 6 Crediti di un Corso Integrato, e si cerca almeno di fargli coordinare gli argomenti che svolgono e fare un’unica Commissione di esame. L’alternativa sarebbe un prof solo, mettiamo competente di Statistica, però dilettante di Economia e Diritto. Come si fa nella divulgazione scientifica in TV: cioè al limite dell’intrattenimento, come direbbe lo stesso Sergio Rizzo.

    Chiuderei qui per il momento, riassumendo la storia del riconoscimento di Crediti a maturi e dignitosi lavoratori diplomati come Geometri, Cancellieri giudiziari, Ispettori di Polizia. Chiederlo è stata iniziativa dei Sindacati e dei Collegi, incuranti di stare sbarrando così le carriere dei giovani con titoli. Il Ministero dell’Università prima di Mussi titolare si era sbilanciato fino a 120 Crediti, lasciando ai Consigli di Studio la libertà impopolare di concederne di meno. I Consigli con più dignità si limitarono a 60; l’on. Mussi ne prese atto, e 60 Crediti decretò come tetto.

     Se il Ministro Gelmini li ridurrà a 30 (in pratica, come se l’esperienza professionale equivalesse a un tirocinio formativo di 750 ore) credo che il plauso dei Consigli di Studio, scaricati delle pressioni attuali, sarà unanime. Ma visto che in 100 giorni il Ministero non lo ha fatto (affermazione dell’articolo di Rizzo, e constatazione nostra) dobbiamo pensare che i Sindacati, e i Collegi dei Periti e Geometri, trovino molta comprensione anche sotto l’attuale Titolare. 

     Signor Direttore, l’Università e i servizi pubblici in genere sono lo specchio di un Paese. Vale per i treni, vale per i giardini e per tutto. Continuare a volere incidere solo (ripeto: solo) sullo specchio produce più graffi allo specchio che miglioramenti alla società che ci si riflette. E giornali e scuola, che letteralmente viviamo di parole e di credibilità, dovremmo preoccuparci allo stesso grado che aggettivi come folle, abnorme, eclatante non si inflazionino presso i lettori, gli allievi e tutti.

Sinceramente

Salvatore Nicosia

2 comments for “S. Nicosia: Lettera al Corriere della Sera

  1. 28 novembre 2009 at 23:49

    Nicosia riassume la situazione in modo chiaro ed efficace.
    Trovo pero` molto curiosa e di difficile decrittazione la frase finale dell’articolo:
    “E giornali e scuola, che letteralmente viviamo di parole e di credibilità, dovremmo preoccuparci allo stesso grado che aggettivi come folle, abnorme, eclatante non si inflazionino presso i lettori, gli allievi e tutti.”
    Cosa significa?
    Forse “viviamo” sta per “vivono” e “dovremmo” per “dovrebbero”?

  2. Claudio Arbib
    29 novembre 2009 at 17:53

    Forse, caro Manini, perché in quanto università siamo scuola. Nella mia università le iperboli sono pane quotidiano.

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