1. Proposta dell’ANDU per il ruolo unico dei professori e la cancellazione del precariato a. Un ruolo unico vero, semplice e possibile b. Cancellare il precariato, ma non gli attuali precari 2. Dario Braga all’ANDU: meglio abolire i concorsi 3. Rinvio del Congresso nazionale dell’ANDU 4. Una interessante lettera sul Numero chiuso
1. Proposta dell’ANDU per il ruolo unico dei professori e la cancellazione del precariato
PREMESSA
La criticata Proposta di Legge Melicchio-Torto (nota 1) ha rinnovato l’interesse verso una riforma, non più differibile, dell’attuale assetto della docenza e del reclutamento nell’Università italiana
Una riforma che deve avere come principale obbiettivo quello di migliorare l’attività didattica e di ricerca del singolo docente nell’interesse degli studenti e del Paese.
Questo è possibile solo se si rendono veramente liberi l’insegnamento e la ricerca dai condizionamenti esterni (politica, imprese, ecc.), da quelli “semi-esterni” (ANVUR) e da quelli interni.
Rimandando per il resto a quanto proposto da anni (nota 2), qui si presenta un’organica riforma della docenza universitaria italiana per liberarla dal suo principale male: la cooptazione personale.
Infatti in Italia, quasi sempre, il “maestro” individua personalmente, spesso dalla tesi di laurea, l’aspirante docente, lo forma attraverso un lungo percorso di precariato, lo mette in ruolo e lo fa avanzare fino al ruolo di ordinario. Una trafila che è mascherata da finti concorsi locali, a partire dal dottorato fino ad arrivare – dopo la Legge Berlinguer – ai ruoli di associato e ordinario. Un percorso caratterizzato dalla sottomissione dell’allievo al “maestro”, che ne condiziona l’attività didattica e di ricerca e i tempi della carriera accademica. Quando il cooptato arriva all’apice, applicherà anche lui la prassi della cooptazione personale, secondo la “tradizione” italiana, resa quasi obbligatoria da normative che nei decenni sono state sempre più finalizzate a rendere sempre più assoluta la libertà del maestro di scegliere chi vuole. Ed è da questa cooptazione personale che derivano i fenomeni di localismo, nepotismo, clientelismo, parentopoli, ecc., che a volte vengono “intercettati” dalla magistratura, facendoli emergere come scandali, mentre sono espressioni di un sistema.
Bisogna non solo liberare l’allievo dalla dipendenza anche umana dal “maestro”, ma anche liberare il “maestro” dall’oneroso potere-dovere di farsi personalmente carico della carriera del suo prescelto. In tal modo si migliorerà non poco la qualità e la quantità della didattica e della ricerca di tutti, oltre che la qualità della loro vita.
Per debellare la cooptazione personale è indispensabile che tutte le prove, a partire da quelle relative ai dottorati, diventino nazionali.
Inoltre i componenti delle commissioni devono essere tutti sorteggiati tra tutti i professori e di esse non ne devono fare parte i professori che appartengono alle sedi dove sono stati banditi i posti e non ne deve fare parte più di un professore della stessa sede.
a. UN RUOLO UNICO VERO, SEMPLICE E POSSIBILE
Occorre costituire un unico ruolo (organico unico) di professore universitario articolato in tre fasce, con uguali compiti e uguali diritti (compreso l’elettorato attivo e passivo) e uguali doveri all’interno di un unico stato giuridico nazionale (uguale in tutti gli Atenei).
L’ingresso nel ruolo deve avvenire con concorsi nazionali (senza ASN) e il passaggio di fascia deve avvenire, a domanda, attraverso una valutazione complessiva (ricerca e didattica) nazionale individuale. In caso di valutazione positiva, deve conseguire l’automatico riconoscimento della nuova posizione (senza alcun ulteriore “filtro” locale).
Gli scatti economici all’interno di ogni fascia devono essere legati esclusivamente all’età di servizio (retribuzione differita).
L’età pensionabile deve essere uguale per tutti i professori del ruolo unico.
L’elettorato passivo deve essere riservato ai professori con anzianità nel ruolo unico di almeno cinque anni.
I vincitori dei concorsi nazionali devono potere scegliere dove prendere servizio, tra le sedi dove sono stati banditi i posti messi a concorso, sulla base di una graduatoria.
Transitorio
Gli attuali ricercatori a tempo indeterminato, i professori associati e i professori ordinari, a domanda, devono fare parte rispettivamente della terza, della seconda e della prima fascia, mantenendo all’ingresso l’attuale retribuzione.
A tutti i ricercatori di ruolo e gli associati che hanno conseguito l’ASN deve essere riconosciuto immediatamente e automaticamente il passaggio di fascia, con i relativi incrementi economici a carico dello Stato.
Vanno abolite le ASN.
b. CANCELLARE IL PRECARIATO, MA NON GLI ATTUALI PRECARI
Vanno eliminate TUTTE le figure precarie attuali introducendo una sola figura di pre-ruolo di durata massima di tre anni, con tutti i diritti garantiti, adeguata retribuzione e autonomia di ricerca, e in numero rapportato agli sbocchi in ruolo.
Transitorio
Occorre bandire SUBITO almeno 20.000 posti (5000 all’anno) di professore di terza fascia, su fondi nazionali e con commissioni interamente nazionali, e si devono prorogare, a domanda, gli attuali precari fino all’espletamento dei bandi.
Nota 1. Per leggere la proposta di legge e il commento dell’ANDU cliccare qui. Nota 2. Per leggere la proposta dell’ANDU di riforma complessiva dell’Università cliccare qui.2. DARIO BRAGA ALL’ANDU: MEGLIO ABOLIRE I CONCORSI
Mi fa piacere l’invito a contribuire al blog di ANDU intervenendo nuovamente sul tema sollevato dal mio articolo sul Sole 24ore (cliccare qui). Mi fa piacere anche perché mi consente di fare qualche precisazione e, implicitamente, rispondere ad alcune interpretazioni fantasiose del mio scritto. Prima però è utile ricordare che il tema “concorsi” non è di oggi – né lo è quello dei “ricorsi” – da sempre strettamente coniugati a quello dei concorsi. Ricorso fa rima con concorso.
Con la ‘382 del 1980, la legge che, più significativamente di altre, ha inciso e modificato la struttura delle Università, furono creati i dipartimenti, fu introdotto il dottorato di ricerca, e furono create le fasce dei ricercatori universitari, degli associati e degli ordinari. Una straordinaria opera di razionalizzazione di una giungla di docenti e di precari diventata inestricabile. I tre “contenitori” della docenza furono inizialmente riempiti con una serie di “giudizi di idoneità”.
Vista con gli occhi di un precario di allora, la trasformazione da borsista CNR a 150.000 lire/mese in ricercatore a tempo indeterminato fu “il miracolo”. Si ringraziò e basta. Non mi preoccupai di certo, anzi ero contento per loro, se insieme a me migliaia di altre precarie e precari diventarono RU, né mi interessai del fatto che contemporaneamente anche gli altri due contenitori venivano riempiti sulla base di “giudizi di idoneità” (ricordo, per i più giovani, che non esisteva alcun “parametro oggettivo” disponibile, già bene andava se in alcune aree, ma non in tutte, si guardava al numero di pubblicazioni scientifiche). Erano i primi anni ’80. Molto di quello che seguì fu causato da quel “miracolo italiano”: l’università fu riempita nelle tre fasce e, in molte aree, saturata per anni a venire.
Iniziò quindi il gran ballo dei meccanismi concorsuali per il turnover, il reclutamento e le carriere. Da allora, le abbiamo provate tutte: dalle commissioni nazionali composte per elezione o sorteggio (la “dea bendata” poi tanto bendata non era perché nelle commissioni finivano sempre figure leader dei settori), ai concorsi “tutti a Roma” con due prove di selezione dinanzi alla commissione (una discussione scientifica e una prova didattica su un tema sorteggiato il giorno prima), per poi passare a concorsi “idoneativi” delocalizzati presso le sedi che bandivano posti, con “idonei” (inizialmente tre poi due) che potevano essere chiamati direttamente da altre sedi. Fino ai giorni nostri, con la Legge 240 e la introduzione della Abilitazione Scientifica Nazionale.
Senza mai dimenticare che gente brava e meritevole, a migliaia, è entrata e andata avanti, sono comunque stati quaranta anni di polemiche insanabili e spesso di ingiustizie rimaste impunite.
La domanda quindi si impone: è così perché la comunità accademica italiana è “geneticamente” incapace di esprimere comportamenti coerenti con le norme dello Stato oppure c’è qualcosa di intrinsecamente sbagliato nella pretesa di normare rigidamente assunzioni e promozioni universitarie visto che invece di garantire i più meritevoli norme e regolamenti creano spazi ai comportamenti opportunistici?
In questa epoca populista-giustizialista la risposta che molti danno – almeno stando a quanto si legge sulla stampa e sui “social” – è la prima: i professori sono tutti mariuoli, corrotti o corruttibili, interessati al potere personale, inclini al familismo. Se non lo sono, lo diventano … basta fare carriera per trasformarsi da giovane ricercatore con ambizioni in “barone”. Ergo, solo la magistratura e/o un controllo capillare della aderenza a norme sempre più rigide e sempre più meccaniche possono garantire la selezione e la promozione dei più meritevoli.
Tuttavia, basta guardarsi un po’ attorno nel mondo, girare un po’ l’Europa, per rendersi conto che nessuno dei paesi con i quali spesso ci confrontiamo utilizza meccanismi anche solo lontanamente confrontabili con i nostri per il reclutamento e le promozioni all’Università. Eppure che anche negli altri paesi non mancano certo i problemi ma le modalità sono diverse: dalle assunzioni dirette alle assunzioni al termine di selezioni pubbliche mediante “call” nazionali e internazionali, con o senza “abilitazione”, oppure mediante “talent scouting”, e comunque quasi sempre al termine di presentazioni pubbliche, seminari e conferenze dipartimentali.
Ed ecco quindi perché ritengo che il concorso universitario basato sul principio della “valutazione comparativa” se svincolato da una precisa, palese, manifesta assunzione di responsabilità da parte della Istituzione che assume – non mediata da una delega (spesso in bianco) alla commissione di esperti (eletta o sorteggiata che sia) – è un paradosso che favorisce – invece di ostacolare – i comportamenti opportunistici e finisce per rendere più difficile la scelta del più idoneo.
Il più idoneo – si badi bene – non è necessariamente “il migliore del suo SSD” e nemmeno quello “scelto dal Capo”, il più idoneo è quello o quella che ha le competenze adatte, il C.V. adeguato, e anche l’interesse personale per inserirsi produttivamente nel contesto di ricerca e docenza che il Dipartimento ha deciso di sostenere/valorizzare/iniziare. Eh sì perché all’università, dove si fa anche ricerca scientifica, non è vero – non può essere vero – che “uno vale uno”.
Per questa sola ragione l’idea del “concorsone nazionale” con commissioni fatte per sorteggio non è credibile. Una rosa di vincitori finirebbe, ancor più che ora, di creare rabbie e frustrazioni. L’università non è una scuola: non basta un bravo docente della materia X. Chi sostiene questo o non sa come è fatta l’università e come si fa ricerca oppure ha in mente solo alcune discipline “da solisti” (e quindi non sa).
Sul “Sole” ho usato la metafora dell’orchestra che cerca un violino ma è “costretta” a prendere un contrabbasso perché è il migliore tra gli archi che si sono presentati alla selezione. Si può anche provare con il calcio: i gol fatti e i campionati vinti, la squadra in cui ha giocato qualificano un giocatore, ma se serve un portiere serve uno veloce di mano, anche se con i piedi non ci sa fare.
Per dirla più esplicitamente: le procedure concorsuali complesse, arzigogolate, numerologiche, e iperparametriche invece di ostacolare, come dovrebbero, la “cooptazione personale” – che è quella che porta le maggiori distorsioni e genera le ferite più dolorose in chi sa di meritare di più – finisce per proteggerla, erigendo muri burocratico-amministrativi che solo i più temerari cercano di sfondare, e spesso falliscono.
La proposta contenuta nel mio intervento è molto semplice: facciamo come fanno gli altri. Reclutiamo e promuoviamo sulla base di “call” pubbliche, fondate su “profili” scientifico-didattici discussi nei dipartimenti e motivati sulla base di scelte strategiche di sviluppo della ricerca e della didattica, chiamiamo i candidati – in possesso di ASN – a parlare “coram populo” nei dipartimenti, e “cooptiamo” chi appare migliore per raggiungere gli obiettivi che il dipartimento si è dato. Provare per credere.
E’ un sistema potente perché è difficile spiegare a colleghe e colleghi di altre aree (e anche a studenti e dottorandi e assegnisti ecc.) che – tra tutti i candidati che si sono presentati – si è scelto proprio quello/a che … aveva meno da dire o che l’ha detto pure male. Tanto più difficile se quelle colleghe e quei colleghi sapranno che dalla bontà di quella scelta dipenderanno risorse future per il Dipartimento e per la stessa Università.
Dario Braga
3. Rinvio del Congresso nazionale dell’ANDU
In attesa di una maggiore chiarificazione delle intenzioni del nuovo Governo nei confronti dell’Università e, in particolare, in attesa dei riscontri nel mondo universitario relativi alle proposte sul docente unico e sul precariato, il Congresso nazionale dell’ANDU, previsto per il 25 e 26 ottobre 2019, si terrà in una data successiva che sarà decisa quanto prima dall’Esecutivo nazionale.
4. Una interessante lettera sul Numero chiuso
Si segnala una “lettera di uno studente indignato perché le università sono diventate aziende e l’accesso, salvo poche eccezioni, è riservato ad alcune persone che hanno più diritti di altre”. Per leggere la lettera cliccare qui.
Su questa questione l’ANDU si è tante volte espressa. Si ricorda, in particolare, il documento “Appello ai Deputati: Gli studenti non sono cavie” che può essere letto cliccando qui.
==== Per informazioni sull’ANDU (Costituzione, Organi, Statuto, Adesione) cliccare qui.
==== La storia della devastazione dell’Università può essere approfondita in questo sito ( https://www.andu-universita.it/ ) utilizzando la “ricerca avanzata”, in alto a sinistra.
Cari Colleghi,
intervengo in riferimento alle proposte Valditara in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico ed allo studio di valutazione della ricerca commissionato in Inghilterra ad Elsevier per valutare l’efficienza della ricerca in base ai finanziamenti con risultati lusinghieri per l’Italia.
Importante riportare l’Università al centro dell’attenzione pubblica quale elemento cardine per lo sviluppo ed il futuro di un sistema Paese.
Gli Atenei produttivi devono essere messi tutti in grado di competere ad armi pari perequando le risorse private nei territori delle aree poco industrializzate.
I passi in avanti compiuti dal sistema Universitario Italiano in termini di efficienza sono dovuti all’applicazione di un sistema di verifica di risultati sia in termini di premialità ASN che di attribuzione di risorse: affinché tale andamento virtuoso si consolidi è necessario estendere tali verifiche prima di tutto ai vertici e non solo alla base (come avviene in tutti i paesi avanzati).
Un sistema con verifica di risultati per la base escludendo i vertici è il paradigma del mobbing perfetto capace di generare solo inefficienza e degenerazione.
Per quanto concerne l’ASN è importante includere oltre alla la docenza svolta anche una effettiva premialità evitando il blocco posto da commissioni “negazioniste” su basi “politiche” ai candidati in possesso dei requisiti risultati non idonei con valutazioni discutibili: chi ha conseguito tre mediane ed ha 4 titoli deve essere abilitato. La discrezionalità della commissione si potrà applicare solo per particolari meriti di chi ha conseguito due mediane su tre.
Valutazione dei ricercatori in base alle risorse disponibili e non solo per i risultati assoluti conseguiti.
Nessuno ha paura di essere giudicato, pur sapendo che il giudizio per sua natura sarà sempre unilaterale e soggettivo. Per rendere più trasparenti le valutazioni dovrebbe instaurarsi – come dicevo – un confronto critico aperto tra i vari punti di vista o le varie scuole. Aspetto del tutto carente nell’accademia italiana e che invece dovrebbe essere la base di ogni corretto e funzionante sistema di valutazione. Quanto alla corruzione del sistema statunitense, essa ha molte sfaccettature, per esempio l’utilizzo ricattatorio della precarietà e della censura. https://www.telesurtv.net/opinion/El-mito-de-la-Academia-izquierdista-20160104-0010.html
Sono abbastanza, ma non del tutto, d’accordo con Dario Braga, che presenta oggettivamente la situazione storica dell’Università italiana (al meno relativamente ai miei 30 anni di esperienza). Sul merito mi sono sempre chiesto: chi (e sulla base di quali meriti riconosciuti da chi?) e su quale parametri o valori giudica il merito altrui? Il ministro? Il ministero? I colleghi? Tre ordinari presi a caso? Cinque ordinari occultamente scelti? Credo che si dovrebbe seguire il sistema americano (la corruzione lì è sull’ammissione degli *studenti*, che è quello che porta soldi, ma tanti, alle università): il dipartimento al completo (non una commissione nominata dal consiglio) giudica tra tutti i candidati che si presentano a concorso per un posto in base agli interessi del dipartimento. Credo sia abbastanza vicino a quanto espresso da Marco Antoniotti. La proposta Andu, buona per quanto riguarda il ruolo unico, sarebbe sostituire un sistema macchinoso e pieno di fessure da dove far passare le corruttele per un altro non meno macchinoso e non più ermetico. O si crede nell’autonomia di ogni università o non si crede. E allora, se non si crede, rassegniamoci alle soluzioni stataliste, centraliste, burocratizzate che sono per forza le più aperte ad ogni modo di stortura.
La cooptazione personale non è sempre (anzi nella maggioranza dei casi non è stata) una pratica perversa. Molti professori hanno scelto tra i suoi allievi quelli più validi e intelligenti dal punto di vista accademico, scientifico e umano, allievi che dimostravano il loro valore e intelligenza proprio nella loro indipendenza scientifica nei confronti dei loro maestri, non solo ben accetta ma desiderata e incentivata dai maestri stessi. È per ciò che tanti professori italiani sono delle persone molto valide e intelligenti dal punto di vista scientifico e accademico. L’università italiana non è il sistema feudale che tutti vogliono rappresentare, per quanto i casi di feudalesimo esistano e siano sempre esistiti. L’unica riforma che finirà i casi “deviati” di cooptazione sarà la riforma delle mentalità delle persone.
Non voglio alimentare polemiche né ripetere le osservazioni critiche alla proposta ANDU. Dico solo che – se io sono “prigioniero del mito del merito” – altri sono prigionieri della logica “nessuno mi può giudicare” nemmeno i miei pari.
Per quanto riguarda la ASN, essa è citata perché al momento esiste e tantissimi colleghi l’hanno acquisita e contano di poterla sfruttare. Sono comunque d’accordo che, nel modello “scelta responsabile palese e pubblica a seguito di call aperta” la ASN non è indispensabile, infatti solo pochi paesi ce l’hanno.
io fra tre anni lascerò l’Università e credo di parlare non per interesse personale. Ritengo che una riforma seria e coraggiosa debba essere fatta cancellando l’attuale sistema di cooptazione mascherato da idoneità e concorsi taroccati per la sopravvivenza di un sistema di formazione culturale che è diventato sempre più debole. è necessario che i giovani ricercatori, possibilmente reclutati per le capacità e non per le appartenenze ad élite socioculturali e politiche, siano liberi da condizionamenti e abbiano a disposizione i mezzi per sviluppare le proprie ricerche e abbaino le risorse per essere indipendenti. La disponibilità di opportunità equivalenti deve essere di tutti coloro che intendono lavorare nel mondo della ricerca. è necessaria poi una profonda rivoluzione organizzativa delle Università perché non è possibile che vengano cancellati settori disciplinari utili ai fini formativi degli allievi mentre se ne amplificano di inutili semplicemente perché l’ordinario di un det. settore conta di più. Anche qui ci vuole un bilanciamento dei poteri tra le necessità delle discipline e le esigenze formative per ottenere laureati veramente capaci di competere.
Prima di tutto correggo: un borsista CNR prendeva 125 mila lire al mese e allo scadere della borsa (3 anni) ha continuato nella maggioranza dei casi a lavorare gratis nell’università, per essere poi “ripristinato” dal decreto Pedini. Vorrei che si documentasse che il giudizio di idoneità (che non tutti hanno superato) ha comportato la “saturazione” dei docenti. Cosa indimostrata dalla carenza strutturale di docenti nell’università italiana rispetto agli altri paesi europei, dove d’altra parte i nostri studenti trovano un lavoro e una serie di garanzie inimmaginabili in Italia.
Braga è prigioniero del mito del merito, e da questo mito ricava la necessità della cooptazione. Nella mia esperienza universitaria quasi cinquantennale nessuno ha vinto un concorso per merito, per la semplice ragione che il merito è frutto sempre di una valutazione soggettiva, non sempre opportunistica o corrotta, ma perché si opta per un certo orientamento metodologico piuttosto che per un altro, si fa parte di una certa “consorteria” nemica di un’altra etc. Quanto agli altri paesi (la mitica America) nel mese di marzo sono stati arrestati 50 personaggi importanti in vari ambiti per aver corrotto le autorità di università come Berkeley etc. per aver pagato centinaia di migliaia di euro per garantire l’iscrizione dei loro figli alle università più prestigiose.
Si dice che il concorso nazionale non risolverebbe tutti questi problemi, forse sì ma darebbe una svolta significativa. La vera soluzione sarebbe il confronto scientifico tra le diverse comunità accademiche, cosa che comporterebbe una serietà, un’eticità del tutto estranei agli accademici italiani ormai dediti più ai media che alla ricerca.
Buongiorno
la proposta di Braga potrebbe essere anche ragionevole SE FOSSE corredata da altre “condizioni al contorno”, che il collega si guarda bene, come al solito, di aggiungere.
1 – Uno non entra dove ha fatto il dottorato (o anche il post-doc) a meno di non aver ricoperto una posizione pagata “altrove” prima.
2 – Si abolisce l’ASN, che è un’ovvia fonte di procedure “complesse, arzigogolate, numerologiche, e iperparametriche”, oltre ad essere un baluardo della provincializzazione italica contro l'”internazionalizzazione” (parola ora molto vacua).
Naturalmente è necessario che nel sistema siano iniettati fondi. A partire dal FFO. E questa iniezione di fondi deve essere “no strings attached”. Anzi, con “removal of many strings” (i ben noti “lacci e lacciuoli”, a partire da ANVUR).
Infine, colgo l’occasione per ricordar ai colleghi di ANDU, che ogni “procedura nazionale” (ben diversa da “indicazioni nazionali”) è il male assoluto, o quasi. A partire dai “concorsoni nazionali” che ANDU propone, così come fa il pessimo DdL dei M5S.
Cordiali saluti
Marco Antoniotti
Un ottimo contributo, del tutto condivisibile anche da parte di chi ricorda il lungo excursus delle varie riforme succedutesi dagli anni 80 ad oggi.
Noto una sola contraddizione, ma più probabilmente non ho capito:
Nel suo contributo Braga afferma, in modo convincente e condivisibile, che “Per dirla più esplicitamente: le procedure concorsuali complesse, arzigogolate, numerologiche, e iperparametriche invece di ostacolare, ecc ecc………”
Poche righe più sotto, tuttavia, afferma, in modo altrettanto condivisibile, che “Reclutiamo e promuoviamo sulla base di “call” pubbliche, fondate su “profili” scientifico-didattici discussi nei dipartimenti …..chiamiamo i candidati – in possesso di ASN – a parlare ecc ecc”
Domanda: ma il “possesso di ASN” non è frutto di quel complesso di “procedure concorsuali arzigogolate, numerologiche, e iperparametriche” giustamente criticate?
Se ammettiamo, come si dovrebbe da almeno 20 anni, che il reclutamento è anche funzione dei reciproci interessi e vantaggi che animano candidato e sede ricevente, che senso ha riproporre l’ennesimo filtro preventivo che allunga i tempi e, appunto, pre-seleziona candidati su scala nazionale in base a procedure concorsuali arzigogolate, numerologiche, e iperparametriche?
Non sarebbe meglio dire “questa call (Uni Vattelapesca) è aperta a tutti gli psicologi. Requisiti consigliati:
n. pubblicazioni=5
n. citazioni=8
H index=10
La commissione si riserva ogni diritto in merito all’ammissibilità di candidati privi di requisiti.
Oppure
Requisiti minimi obbligatori:
n. pubblicazioni=5
n. citazioni=8
H index=10
La commissione valuterà anche in base a ulteriori parametri non codificati o codificabili:
1-empatia con gli studenti
2-numero di tesi prodotte
3-numero di partecipazioni a progetti sociali
Oppure ancora:
“La call (Uni Vattelapesca) è finalizzata al reclutamento di un docente dotato di
1-capacità di relazione con gli Enti Pubblici
2-Fund raising
Non sono fissati limiti per pubblicazioni, citazioni, H
E ancora:
“La call (Uni Vattelapesca) è finalizzata al reclutamento di un docente dotato di background culturale di eccezionale livello, finalizzato a far raggiungere all’Ateneo livelli elevati nel ranking internazionale entro 5 nni dall’assunzione
Pertanto i requisiti minimi per la partecipazione sono
-non meno di 35 pubblicazioni/anno egli ultimi 3 anni
-il possesso di un premio Nobel in materie afferenti
E cosi via.
E’ solo una domanda