“CORRUZIONE”. TU VUO’ FA’ L’AMERICANO MA …

Ancora la BUFALA delle “scelte locali responsabili”

  1. LE SCELTE SONO GIA’ TUTTE LOCALI

  2. I FINTI “CONCORSI” LOCALI

  3. ABOLIRE L’ABILITAZIONE, FOGLIA DI FICO

  4. NON ABOLIRE STATO GIURIDICO E VALORE LEGALE

  5. LA RADICE DEL MALE: LA COOPTAZIONE PERSONALE

  6. PROVE ESCLUSIVAMENTE NAZIONALI

  7. FANTINI E CAVALLI

Dopo l’arresto di alcuni professori universitari si è scatenata la gara a chi spara di più contro l’Università tout court, arrivando a denunciare un sistema concorsuale “quasi mafioso”. A fronte di questa grave accusa, la soluzione prevalentemente indicata per rimediare a ciò è quella ‘all’americana’: smettiamola con i concorsi e rendiamo trasparenti le scelte affidandole direttamente all’autonomia responsabile dei dipartimenti.

1. LE SCELTE SONO GIA’ TUTTE LOCALI

In realtà da SEMPRE l’ingresso in tutte le figure pre-ruolo e in ruolo (prima l’assistente e poi il ricercatore a tempo indeterminato) sono avvenute e avvengono attraverso scelte locali e dal luglio del1998 sono localmente scelti anche i professori ordinari e associati, così come stabilito da una legge voluta da Luigi Berlinguer.

2. I FINTI “CONCORSI” LOCALI

Prima dell’approvazione della Legge Berlinguer, l’ANDU aveva previsto che “con questa legge i concorsi locali a ordinario e ad associato risulteranno una finzione come da sempre lo sono quelli a ricercatore. Localismo, nepotismo e clientelismo, già ampiamente esercitati nei concorsi per l’ingresso nella docenza, saranno praticati anche nell’avanzamento nella carriera, in misura di gran lunga superiore a quanto sperimentato con gli attuali meccanismi concorsuali” (“Università Democratica”, n. 162-163, p. 5).

E nel dicembre 1998 l’ANDU ha aggiunto: “ora anche la carriera deve essere decisa attraverso una cooptazione personale da parte di quelli che una volta si chiamavano baroni ed è ad essi che bisognerà affidarsi, con adeguati comportamenti anche umani, per vincere concorsi che sono considerati, non a torto, una mera perdita di tempo, un fastidioso ritardo all’attuazione di una scelta già operata.” (“Università Democratica”, n. 168-169, p. 7).

E’ interessante leggere le posizioni di coloro che allora hanno sollecitato l’approvazione della Legge Berlinguer: Eco, Panebianco, De Rienzo, Schiavone, Pera.

3. ABOLIRE L’ABILITAZIONE, FOGLIA DI FICO

Da sempre l’ANDU ha definito l’abilitazione nazionale un concorso senza posti: avrebbe dovuta essere un giudizio individuale, ma di fatto è una valutazione comparativa che permette ai commissari di abilitare i propri allievi (e quelli dei colleghi ‘amici’) consentendogli di partecipare (e vincere) a un finto concorso locale, e di impedirlo, bocciandoli, agli allievi dei loro ‘avversari’.

L’abilitazione nazionale, costosa e dannosa, ha tenuto a bagnomaria migliaia di candidati e ha aumentato il potere dell’ANVUR, che ha inventato e imposto alle commissioni i più ‘fantasiosi’ criteri.

Le abilitazioni nazionali sono la foglia di fico per rendere ancora più ‘libere’ le scelte locali, una mera perdita di tempo, come ammettono implicitamente coloro stessi che dettano le leggi sull’Università e che per scegliere i professori eccellenti (“Cattedra Natta”) hanno eliminato le abilitazioni nazionali (che evidentemente vanno invece bene per i professori ‘normali’), prevedendo solo commissioni nazionali composte da chi ‘gestisce’ il MIUR, con l’ipotizzata compartecipazione di ANVUR, CRUI e CUN.

Purtroppo non pochi sono ‘andati dietro’ alle abilitazioni, impegnandosi a denunciare i comportamenti delle commissioni e il ruolo dell’ANVUR, invece di chiedere ‘semplicemente’ l’abolizione delle abilitazioni e dell’ANVUR, un organismo dichiaratamente concepito e costituito per commissariare l’Università, condizionando pesantemente la ricerca e la didattica.

4. NON ABOLIRE STATO GIURIDICO E VALORE LEGALE

Va aggiunto che con gli attuali concorsi locali (e ancor più con l’abolizione anche formale dei concorsi) si va verso la completa abolizione dello stato giuridico nazionale dei docenti (mansioni, cariche, retribuzione, ecc.) e verso l’abolizione del valore legale della laurea (differenziazione tra gli Atenei, con emarginazione o chiusura della maggior parte di essi), abolizione quest’ultima che viene ora rilanciata dall’accademia che ha facile accesso nei ‘grandi’ giornali (Ichino, Cacciari, De Nicola).

5. LA RADICE DEL MALE: LA COOPTAZIONE PERSONALE

Chiedere la totale autonomia degli Atenei nella scelta di chi deve formarsi alla docenza, di chi deve entrarci e di chi deve fare carriera, significa non volere vedere (o far finta di non vedere) che questa autonomia c’è sempre stata e che in realtà essa non è mai stata dell’Ateneo o del Dipartimento ma del singolo ‘maestro’ che sceglie il suo allievo fin dalla tesi di laurea, per poi ‘sistemarlo’ in varie situazioni precarie, e quindi immetterlo in ruolo con un concorso rigorosamente locale e totalmente controllato dal ‘maestro’ stesso. Durante tutto questo percorso l’allievo dipende scientificamente e umanamente dal suo ‘maestro’ ed è privato di ogni autonomia scientifica e didattica. Tale dipendenza continua anche nell’avanzamento della carriera, perché dal ‘maestro’ dipenderà il bando e il superamento dei concorsi ad associato e a ordinario.

La cooptazione personale, con i suoi ‘annessi’ di localismo, nepotismo, clientelismo e familismo, connota l’Università italiana: per chi fa parte o vuole fare parte dell’accademia italiana è praticamente impossibile sottrarsi a questa ‘atavica’ regola.

E non ha alcun senso difendere il sistema italiano della cooptazione locale sostenendo che questo è il meccanismo positivamente in vigore in altri Paesi, Paesi che hanno da secoli cultura e tradizioni accademiche profondamente diverse dalle nostre.

Come non ha alcun senso proporre una valutazione ex-post delle scelte locali (cioè del singoli ‘maestri’) che consenta di punire le scelte sbagliate. Chi effettuerà e con quali criteri tale valutazione? L’ANVUR? E chi (il ‘maestro’, il dipartimento, l’ateneo) e quando e come sarà punito?

“L’unica soluzione possibile” a tutto ciò l’ha trovata Roberto Perotti: assegnare i fondi ai dipartimenti “in base a giudizi di esperti internazionali”. Insomma, visto che l’accademia italiana non è in grado di cambiare da sola, facciamo ricorso a ‘immacolati extraterrestri’. Rimarrebbe comunque da individuare chi (e come) sceglierebbe questi “esperti”: punto e a capo.

6. PROVE ESCLUSIVAMENTE NAZIONALI

Bisogna liberare l’Università italiana dalla cooptazione personale, e rendere il più disinteressato possibile la formazione, il reclutamento e la carriera dei docenti: all’autonomia/arbitrio del singolo ‘maestro’ bisogna sostituire l’autonomia delle comunità scientifiche nazionali.

Per superare la cooptazione personale occorre che ogni ingresso in TUTTE le figure pre-ruolo (a partire dal dottorato di ricerca) e di ruolo avvenga a livello nazionale con commissioni sorteggiate, escludendo gli appartenenti agli atenei interessati e prevedendo che non vi sia più di uno dello stesso ateneo. E per l’ingresso nel ruolo docente, per indebolire ancor più la logica dell’appartenenza, le commissioni concorsuali devono stilare una graduatoria dei vincitori per consentire, a scalare, la scelta degli Atenei in cui prendere servizio tra quelli dove erano stati collocati i posti.

Per gli avanzamenti da un livello all’altro della docenza si deve prevedere una valutazione dell’attività di ricerca e didattica svolta dal singolo docente da parte di una commissione nazionale composta come quella per i concorsi d’ingresso in ruolo e all’esito positivo deve conseguire l’immediato e completo riconoscimento dell’avanzamento, senza ulteriori prove locali e con l’aumento retributivo a carico di un apposito fondo nazionale.

Solo con i concorsi nazionali, nel pre-ruolo e per l’ingresso in ruolo, e con l’idoneità nazionale, per i passaggi di livello, sganciati sia dai gruppi di potere locali sia da quelli nazionali, si può far diventare sereni e qualificati la formazione, il reclutamento e la progressione di carriera, le cui gestioni oggi costituiscono l’attività accademica non secondaria dei ‘maestri’ (bando dei posti, composizione delle commissioni, ‘gestione’ delle prove).

In tal modo si darebbe più spazio a una attività di ricerca non esclusivamente mirata a vincere un posto contro altri, spesso con detrimento per l’attività didattica attualmente non valorizzata o, peggio, ritenuta dannosa ai fini del superamento di un concorso, oltre che a migliorare la “qualità della vita” dei docenti.

7. FANTINI E CAVALLI

“Le corse non le vincono i cavalli ma le vincono i fantini” è la ‘battuta’ riportata da Umberto Galiberti. La ‘battuta’ era stata fatta durante un concorso universitario. Per fare vincere i “cavalli” bisogna finalmente abolire i “fantini” e chiudere gli ippodromi.

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Antonio Cortese
Antonio Cortese
7 anni fa

Mi permetto di indicare quello che a mio avviso è la vera causa della degenerazione del sistema universitario:

ciò che manca e che crea una dismetria ed una prevaricazione insopportabile è che nel sistema che si vuole configurare ci sia una base precarizzata e sottoposta a verifiche trancianti con vertici assolutamente non sottoposti a verifica di risultato.

Questo crea un sistema verticistico assolutamente ingiusto e propenso alla degenerazione con gravi conseguenze sulla vita della maggior parte del personale Docente Universitario: nemmeno nei sistemi con maggiore competizione interna e precarizzazione come negli USA esiste una situazione in cui i vertici non sono sottoposti a verifica del loro operato.

Creando un sistema competitivo, meritocratico e precarizzato solamente per la base lasciando privi di controllo i vertici si crea un mostro che è quanto di più ingiusto ed antidemocratico possibile.

Se vogliamo un sistema efficiente ed equilibrato ben vengano le verifiche di risultato e la precarizzazione iniziale (max. 5 aa.), ma le verifiche con rimodulazione delle posizioni devono valere per tutti.

Solo così si arriverà ad un sistema capace di autolimitare le degenerazioni in quanto penalizzanti nel breve per gli stessi vertici.

Cordialmente

Antonio Cortese

Sirio
Sirio
7 anni fa

condivido la constatazione che le scelte siano già tutte locali, e che la modalità di abilitazione nazionale + concorso così come è oggi concepita sia stato un regalo a chi maneggia per cooptare i propri preferiti.

non sono invece d’accordo con la soluzione che proponete, cioè di spostare tutto a livello nazionale:

1) perché quando le commissioni erano nazionali (con la vecchia legge) comunque si facevano maneggi tanto quanto se ne fanno oggi

2) perché è esperienza comune nel nostro paese che un concorso nazionale è maneggiabile tanto quanto uno locale (bisogna solo fare un po’ più di fatica)

3) perché fare un calderone nazionale (ad esempio sul Dottorato) fa venire meno gli sforzi locali di attirare studenti e ricercatori in risposta ad uno sforzo di creare dipartimenti e realtà competitive. Non si capisce perché se in una città si crea un centro di eccellenza in una materia, poi uno studioso di quella materia interessato ad andare in quella città possa venire scelto da altre università.

4) perché l’unico modo di risolvere la questione, a mio parere, è fare come all’estero, cioè a) abolire il concorso e rendere le assunzioni una scelta dei dipartimenti; b) legare la disponibilità dei punti budget di ogni dipartimento a doppia mandata alla performance dei propri docenti, e in particolare a quella dei nuovi arrivati. Non importa se chi viene scelto è moglie / figlio di chicchessia, l’importante è che se questa persona non dimostra di saper camminare sulle proprie gambe (cioè di reperire finanziamenti propri, di pubblicare autonomamente etc.) ci rimetta non solo la persona, ma anche chi lo ha reclutato. In questo modo, se un barone recluta uno spiantato, questo renderà la vita più difficile a sé e anche agli altri baroni, e quindi automaticamente viene meno la connivenza che c’è oggi (tu fai il concorso per il tuo, io per il mio, e nessuno chiede nulla). Ovviamente avete ragione sul fatto che il punto fondamentale (come è già oggi all’estero) è che la commissione chiamata a giudicare sia imparziale, preferibilmente composta (anche) da stranieri.

Cordialmente

SD

Giuseppe Longo
Giuseppe Longo
7 anni fa

L’ANDU DELIRA
Bah!! Queste dichiarazioni mi sembrano deliranti. Vivo nell’università da molto tempo, sono uno di quelli che nell’articolo vengono definiti baroni e non mi risulta che le cose stiano così. Forse è vero per alcuni, ma di certo non per la maggioranza delle persone. I miei collaboratori hanno piena autonomia di scelta e di ricerca. Le decisioni nel mio dipartimento vengono prese in modo collegiale da professori o eletti dai colleghi oppure cooptati dal direttore in modo da tenere conto dei vari settori di ricerca. Credo che il problema sia soprattutto un altro: il fatto che nell’università esistono molte università diverse. Le facoltà dietro cui ci sono ordini professionali sono anche quelle dove le dinamiche di carriera e di reclutamento sono più distorte. Ma di questo non si parla mai. Occorrerebbe parlare di compatibilità tra docenza e pratica privata oppure di compatibilità tra docenze e consulenze. Oppure ci si potrebbe chiedere perchè nel sistema anglosassone le chiamate dirette (perchè di fatto esistono solo quelle) funzionano e da noi no. ….. Da noi tutto diventa difficile e distorto.
Giuseppe Longo – ordinario di astrofisica Università Federico II di Napoli.