MINISTRO: “ABOLIRE I CONCORSI, FERMARE LE ABILITAZIONI”

= Aprile 2014

1. MINISTRO: “ABOLIRE I  CONCORSI, FERMARE LE ABILITAZIONI”

             I concorsi

             Le abilitazioni del Ministro e della CRUI

            Abolizione dei concorsi.

            Dalla padella all’ANVUR? Stato giuridico e valore legale

            Un ‘buono posto’

            ‘Riforma’ abilitazioni. Tra Spagna e abilitazioni ‘chiuse’

             L’alternativa all’arbitrio locale e il ruolo unico della docenza

2. CRUI: SEMPRE PIU’ DOCENTI PRECARI

             In alternativa alla CRUI: posti di ruolo

             Emergenza reclutamento. Posti di ruolo

3. AUTONOMIA DI CHI E DA CHI? CRUI E ANVUR

            Autonomia dei poteri forti o dei docenti? Sistema nazionale

 

1. MINISTRO: “ABOLIRE I  CONCORSI, FERMARE LE ABILITAZIONI”

I concorsi

Il 1° aprile 2014, nell’audizione alla Commissione Istruzione del Senato, il nuovo ministro Stefania Giannini si è espresso a favore della “”liberazione” del reclutamento, che deve tornare (sic!) ad essere primaria responsabilità dei singoli atenei. Ritiene dunque che gli abilitati debbano essere assunti con procedure snelle, simili a quelle della chiamata diretta, con piena responsabilità degli organi di governo dell’ateneo, sulla base del modello spagnolo”.

Precedentemente lo stesso Ministro in una intervista aveva affermato: “La parola concorso non ha una traduzione nelle altre lingue, significherà pure qualcosa?”

Le abilitazioni del Ministro e della CRUI

Il Ministro, rispetto alle abilitazioni, nella stessa intervista, ha affermato: “I ricorsi sono percentualmente bassi rispetto ai numeri mobilitati, ma le abilitazioni vanno comunque fermate. Lascerò consumare il secondo turno di questo round, poi cambierò il sistema. Mi ispirerò a quello spagnolo. La valutazione dei curricula, delle pubblicazioni, degli articoli scientifici non avverrà in un solo periodo, i giorni del concorso. I candidati saranno valutati in continuazione da una commissione che ad appuntamenti ravvicinati, e quindi più gestibili sul piano numerico, controllerà gli archivi Cineca e offrirà il suo giudizio. Le commissioni ruoteranno. E poi saranno le università, tenendo conto del budget a disposizione, delle loro necessità, a chiamare l’idoneo migliore”

La CRUI, sempre rispetto alle abilitazioni,  in un suo recente documento ha affermato che “i risultati della prima tornata di abilitazioni scientifiche nazionali hanno determinato contingenti difficilmente assorbibili dagli Atenei nella attuale condizione finanziaria e normativa” e ha chiesto di “riflettere sulla praticabilità per il futuro delle modalità di svolgimento dei concorsi (sic!) per le abilitazioni nazionali che hanno generato profonde difformità tra i vari settori, senza che a ciò corrispondano reali esigenze di copertura da parte degli Atenei.”

Abolizione dei concorsi

Contrariamente a quanto sostiene il Ministro, nell’Università italiana il “reclutamento” è SEMPRE stato “primaria responsabilità dei singoli atenei”. Infatti per i concorsi prima ad assistente e poi a ricercatore (i ruoli d’ingresso alla docenza universitaria) e, dopo la ‘riforma’ di L. Berlinguer del 1997, anche per i concorsi ad associato e a ordinario, si è sempre praticata la scelta da parte dell’ateneo, ovvero la cooptazione personale, con il ‘maestro’ che sceglie – spesso fin dalla tesi di laurea – il “giovane studioso”, ne coltiva la formazione, decidendo se e quando fargli avere un posto di ruolo e se e quando farlo poi avanzare nella carriera. Tutto questo in un rapporto di dipendenza anche umana dell’allievo dal suo maestro-barone. Ed è SEMPRE stata “primaria responsabilità dei singoli atenei’”, cioè del maestro-barone, la ‘gestione’ delle figure pre-ruolo (dottorati, borse, contratti, assegni, ricercatori a tempo determinato, ecc.).

Molto diffusa è la convinzione che è meglio rendere ‘esplicità’ la scelta locale delle varie fasi del reclutamento e degli avanzamenti, per rendere ‘esplicite’ le responsablità di chi compie tali scelte.

Naturalmente nessuno ignora che alla cooptazione personale sono legati i diffusi fenomeni di localismo, clientelismo e parentopoli che hanno da SEMPRE caratterizzato l’Università italiana, e quindi chi vuole la piena “autonomia responsabile”, contestualmente chiede di prevedere una valutazione ex post e la ‘punizione’ di chi abbia operato scelte ‘sbagliate’.

Con la piena “autonomia responsabile” diventerebbe così finalmente legge formale quella che Michele Ainis ha definito “la legge non scritta dell’università”: “ogni professore si scelga il suo assistente”, visto che “ogni giovane studioso s’avvia alla ricerca sotto la guida d’un docente, che poi lo aiuta a fare carriera” e dato che “la cooptazione non è un peccato né un reato, è la legge non scritta dell’università” (intervento sull’Espresso (“Macché raccomandati, aboliamo i concorsi”)

Su “localismo e nepotismo” si segnala l’interessante intervento di Figà Talamanca sull’Unità del 7 marzo 2014 .

Dalla padella all’ANVUR? Stato giuridico e valore legale

Chi, come e quando effettuerà la valutazione ex post? L’ANVUR? E chi (il maestro-barone, il dipartimento, il CdA) e quando, come e quanto sarà punito per le scelte sbagliate?

L’abolizione di qualsiasi concorso e delle prove nazionali porterebbe all’abolizione dello stato giuridico nazionale dei docenti (mansioni, cariche, retribuzione, ecc.), all’abolizione del valore legale della laurea e alla differenziazione tra gli Atenei, con emarginazione o chiusura della maggior parte. Su quest’ultima questione si segnala l’interessante intervento di Guglielmo Forges Davanzati. 

Un ‘buono posto’

Per rendere più facile e più ‘trasparente’ la ”scelta responsabile” locale, sarebbe più serio, più rapido, più chiaro e meno costoso assegnare al maestro-barone un ‘buono posto’ che gli consenta di scegliere, direttamente e senza infingimenti, chi vuole, facendo finalmente diventare legge dello Stato quella che finora e stata ‘solo’ “la legge non scritta dell’università” italiana.

‘Riforma’ abilitazioni. Tra Spagna e abilitazioni ‘chiuse’

Molti di coloro che chiedono di affidare il reclutamento (e il pre-reclutamento e le promozioni) alla piena “autonomia responsabile” degli Atenei, ovvero alla ‘limpida’ cooptazione personale da parte del maestro-barone, chiedono coerentemente l’abolizione di qualsiasi ‘filtro’ nazionale (abilitazioni o altro), che tale autonomia limiterebbe.

Altri, invece, ritengono che il mantenimento dell’”autonomia responsabile” locale, cioè il potere ‘principe’ dell’accademia italiana, si può meglio difendere se si mantiene un qualche ‘filtro’ nazionale per tentare di certificare a monte la qualità di coloro che saranno poi scelti localmente: una foglia di fico introdotta per rendere ancora più ‘libera’ la cooptazione personale a livello locale.

Ma dopo l’andamento e l’esito della prima tornata di abilitazioni è ora diventato estremamente difficile difendere la validità di un’inutile pre-selezione nazionale.

Ma nonostante ogni evidenza, il Ministro sembra volersi avventurare nel “modello spagnolo”, mentre la CRUI rilancia – di fatto – l’idea dell’abilitazione a numero chiuso che si è già tentato di introdurre ai tempi del ministro Profumo (v. il documento “Decreto PD+Profumo+4”). Una scelta giuridicamente strampalata, ma accademicamente ‘logica’, che trasformerebbe in una prova comparativa quella che – per definizione – deve essere (avrebbe dovuto essere) una valutazione individuale. Insomma dalle attuali ‘incredibili’ e inutili abilitazioni nazionali si passerebbe agli inutili concorsi nazionali senza posti.

L’alternativa all’arbitrio locale e il ruolo unico della docenza

In Italia l’unico modo – MAI adottato – per instaurare fin dall’inizio un rapporto ‘professionale’, caratterizzato da autonomia di ricerca e di insegnamento, è quello di esercitare ESCLUSIVAMENTE a livello nazionale – con commissioni interamente sorteggiate – TUTTE le scelte: dottorati, pre-ruolo, entrata in ruolo, progressione.

 E’ inoltre indispensabile introdurre il DOCENTE UNICO (pari mansioni e pari poteri, v. documento unitario), distinguendo finalmente il reclutamento dalle promozioni, con CONCORSI veramente nazionali per l’ingresso in ruolo e l’IDONEITA’ nazionale per gli avanzamenti. In questo ruolo vanno inseriti, a domanda, gli attuali ordinari, associati e ricercatori.

Con questo sistema, per la prima volta in Italia, con i concorsi nazionali il reclutamento sarebbe sottratto interamente alla scelta del singolo maestro-barone. Con le abilitazioni nazionali e il riconoscimento, immediato e a tutti gli effetti (a carico di appositi fondi nazionali), della promozione agli idonei, non si farebbe più dipendere la carriera dei docenti di ruolo dai singoli maestri-baroni. Inoltre si eviterebbe la follia accademico-giuridica che oggi consente che un associato dichiarato idoneo a ordinario svolga attività didattica e di ricerca come un ordinario ‘vero’, ma senza il relativo riconoscimento economico e normativo (e così anche per un ricercatore dichiarato idoneo ad associato o a ordinario).

Con queste soluzioni ci guadagnerebbe la qualità della ricerca e della didattica, oltre che la qualità della vita del ‘discepolo’ e anche del maestro-barone.

Inoltre, il notevole tempo impiegato dal maestro-barone per reclutare e far fare carriera al proprio allievo potrebbe essere impiegato per più utili attività istituzionali.

Naturalmente una tale riforma darebbe pienamente i suoi effetti positivi nel tempo, quando saranno superate completamente la logica e la pratica del potere baronale, fondato sulla cooptazione personale, che ha da sempre impregnato l’accademia italiana.

Va aggiunto che SOLO con questo nuovo percorso interamente e sempre nazionale avrebbe un valore altamente positivo l’introduzione del docente unico, che altrimenti risulterebbe un ‘docente plurimo’, dato che la formazione, l’ingresso in ruolo e gli avanzamenti del docente, dipenderebbero di fatto dalla cooptazione personale.

Sulla riforma generale della docenza (pre-ruolo, entrata in ruolo e promozioni) l’ANDU ha da anni elaborato una PROPOSTA ARTICOLATA  (cliccare qui).

2. CRUI:  SEMPRE PIU’ DOCENTI  PRECARI

Nel già citato recente documento, la CRUI  vuole:

1) Ripristinare una normale dinamica di ingresso al sistema universitario mediante l’adozione di un Piano Giovani Ricercatori capace di inserire almeno 1.500 giovani all’anno per 5 anni. Con ciò verrebbe arrestata l’emorragia iniziata nel 2009 e si offrirebbe un’opportunità ai migliori giovani studiosi formati nei dottorati di ricerca e nei percorsi post-dottorali.

2) Rendere autonomi gli Atenei nella programmazione del personale, nei limiti delle risorse disponibili, per quanto attiene la ripartizione delle varie categorie, preservando solo un equilibrio generazionale in particolare a favore dei giovani (ad esempio, imporre una soglia minima da riservare ai ricercatori).

3) In coerenza con quanto previsto al punto 2), eliminare il vincolo imposto dal D. lgs. 49/2012 fra la chiamata di professori ordinari e la chiamata di ricercatori a tempo determinato di tipo b) che crea un collo di bottiglia per tutti coloro che sono in possesso della abilitazione scientifica nazionale.”

Da decenni l’accademia che conta, assieme alle sue ‘versioni’ politiche-ministeriali, aveva tentato di mettere a esaurimento il ruolo dei ricercatori, riuscendoci con la legge cosiddetta Gelmini imposta dalla Confindustria e dalla CRUI che, come sempre, hanno avuto a ‘disposizione’ tutti i partiti, di maggioranza e di finta opposizione.

Con la messa ad esaurimento dei ricercatori si voleva avere via libera alla piena realizzazione del modello fortemente gerarchizzato della docenza: pochissimi ordinari, pochi associati-assistenti e decine di migliaia di precari.

Il blocco del turn over ha aiutato (e sta aiutando) molto questo obiettivo. Un blocco che la CRUI vuole – nella sostanza – rendere permanente per i ruoli della docenza, visto che vuole arrestare l’”emorragia” dei docenti di ruolo sostituendoli con docenti precari (i ricercatori a tempo determinato di tipo a), offrendo così a una minoranza degli attuali decine di miglia di precari il prolungamento per altri 3-5 anni del loro stato di incertezza.

In alternativa alla CRUI: posti di ruolo

Da molto tempo le Organizzazioni universitarie, rappresentative dei professori, dei ricercatori, dei tecnico-amministrativi, dei precari e degli studenti chiedono invece di cancellare “tutte le attuali figure precarie ivi compresi i ricercatori a tempo determinato e gli assegnisti di ricerca” e di introdurre “un’unica figura pre-ruolo a tempo determinato, di breve durata e adeguata retribuzione, con reale autonomia di ricerca e il riconoscimento pieno dei diritti”. Inoltre si chiede “un piano per il reclutamento STRAORDINARIO per l’accesso nel nuovo ruolo unico della docenza”.

Emergenza reclutamento. Posti di ruolo

In attesa e in vista dell’introduzione del ruolo unico della docenza (docente unico), nell’immediato – per assicurare un’adeguata e qualificata offerta formativa e rilanciare l’attività di ricerca, per rimpiazzare le migliaia di docenti di ruolo che sono andati e andranno in pensione e per interrompere l’espulsione di migliaia di precari (desertificazione) – è necessario e urgente il bando, su nuovi specifici e aggiuntivi fondi statali, di almeno 20.000 posti del ruolo dei ricercatori,  trasformato in terza fascia di professore (nella quale, a domanda, inserire gli attuali ricercatori di ruolo).

Ai candidati devono essere adeguatamente riconosciuti i periodi di attività didattica e scientifica svolti a qualsiasi titolo: dottorato, assegni, borse, incarichi, ecc.

3. AUTONOMIA DI CHI E DA CHI? CRUI E ANVUR

Si parla tanto di autonomia degli Atenei contro il centralismo politico-ministeriale.

Recentemente Giorgio Israel sul Mattino di Napoli (“I burocrati che affossano l’università”) denuncia i “centri politici, imprenditoriali e delle tecnostrutture che hanno governato il sistema dell’istruzione dietro le quinte riducendolo in questo stato.” Israel, in particolare, denuncia che “la riforma (la Legge cosiddetta Gelmini, ndr) è diventata un mostro centralista che ruota attorno all’autorità ipertrofica e incontrollata dell’Anvur.”

Le critiche di Giorgio Israel sono certamente condivisibili, a parte due ‘imprecisioni':

a) la legge cosiddetta Gelmini non “è diventata mostro”, ma è sempre stata “un mostro” i cui contenuti, chiaramente e volutamente devastanti, erano già stati denunciati – PRIMA della sua approvazione – dalle Organizzazioni universitarie, da tantissimi Senati Accademici e Consigli di Facoltà e, soprattutto, da un grande movimento di studenti e di ricercatori (v., p.e., i documenti “DDL mortale per l’Università statale”, scritti prima dell’approvazione e della promulgazione della Legge 240/10;

b) i poteri forti non si sono mossi “dietro le quinte”, ma sulle prime pagine dei ‘grandi’ quotidiani con in testa il Sole 24-ore e il Corriere della Sera (v., p.e., il documento del dicembre 2010 “DDL mortale per l’università statale” e, p.e., il documento dell’aprile 2010 “La crociata della Confindustria”).

Quello che manca nell’analisi-denuncia di Giorgio Israel è il ruolo centrale che l’accademia che conta ha da sempre giocato per la distruzione dell’Università statale, avendo nella CRUI il suo strumento ‘istituzionale’. Ed è la CRUI che ha costituito un “asse” con la Confindustria. Ed è la CRUI che ha ‘espresso’ gli ultimi tre Ministri (v. sul Corriere della Sera “L’incontenibile vanità dei rettori ministri”). Ed è il Presidente della CRUI che è diventato Capo del Dipartimento per l’Università del MIUR (v. documento “Dal governo dei professori al Ministero dei Rettori”).

E bisogna anche ricordarsi che la stessa ANVUR, con la quale si voleva e si sta commissariando l’Università, è composta da professori ed è espressione dell’accademia che conta.

E quando ora si ‘scoprono’ i compiti ‘eccessivi’ svolti l’ANVUR, sarebbe utile rileggersi  quello che ha scritto Luciano Modica, da sottosegretario ai tempi del ministro Fabio Mussi, che ha istituito l’ANVUR: “è fondamentale dotare il sistema universitario e della ricerca pubblica di una Agenzia nazionale di valutazione, indipendente dal finanziatore pubblico e dagli atenei, che effettui periodiche valutazioni dei SINGOLI docenti e dell’attività didattica e di ricerca” e “sulla base di questa corretta valutazione, si stabiliscano RUOLI, INCARICHI, AVANZAMENTI DI CARRIERA” (dal Corriere del Mezzogiorno dell’11 agosto 2006).

Per sapere chi e perché ha voluto un’Agenzia nazionale di valutazione si invita a leggere il documentoL’ANVUR dell’Apocalisse: correggerla, sostituirla o abolirla?”.

Insomma i responsabili della distruzione dell’Università non sono solo burocrati e poteri forti esterni all’Università, ma sono anche interni all’Università.

E bisogna ricordarsi infine che tutto viene fatto in nome della “autonomia responsabile” degli Atenei ai quali però hanno imposto – con leggi e decreti – rettori-sovrani assoluti che sono stati anche ‘armati’ con Collegi di disciplina di Ateneo.

Autonomia dei poteri forti o dei docenti? Sistema nazionale

Ma qual è l’autonomia che deve essere salvaguardata nell’interesse della ricerca, della didattica e del Paese? Non certo quella degli Atenei commissariati con i rettori-padroni, che sono ‘rappresentati’ a livello nazionale dagli stessi rettori (CRUI) e ai quali, attraverso il Ministero e l’ANVUR, si detta legge sulla ricerca e sulla didattica.

L’autonomia che va salvaguardata è quella dei singoli docenti ai quali va garantita la libertà di ricerca e di insegnamento.

Per assicurare questa fondamentale autonomia occorre:

a) eliminare la gerarchia accademica (docente unico, con prove esclusivamente nazionali nel pre-ruolo, nel reclutamento in ruolo e nelle progressioni in ruolo)

b) introdurre la gestione democratica e responsabile degli Atenei, con la partecipazione di tutte le componenti (professori, ricercatori, tecnico-amministrativi, studenti) e con organi collegiali eletti e composti democraticamente;

c) assicurare l’autonomia del SISTEMA NAZIONALE delle università, costituendo un Organismo nazionale, con poteri di iniziativa e di coordinamento, composto con membri TUTTI dirittamente eletti, espressi da tutte le componenti e con l’elezione dei docenti svolta in maniera non frammentata e non corporativa. Un Organismo dotato di autonomia e capace di difendere l’autonomia degli Atenei dai poteri forti  interni ed esterni. Un Sistema nazionale nel quale i vari settori degli Atenei vengano stimolati alla COLLABORAZIONE NAZIONALE, rifiutando la logica di una competizione artificiosa tra Atenei STATALI (finanziati dallo stesso e unico Stato), utile solo a chi vuole ridurre a pochi (non più di venti) gli Atenei veri (didattica e ricerca) ed emarginare (solo didattica) o chiudere tutti gli altri.

8 comments for “MINISTRO: “ABOLIRE I CONCORSI, FERMARE LE ABILITAZIONI”

  1. Salvatore Nicosia
    5 aprile 2014 at 12:51

    Sono completamente d’accordo.
    Ma in Italia la confusione fra un fatto e un’opinione, fra “cose nuove” e “cose oneste”, fra “cose nuove” e progresso, è così assordante che sembra già impresa disperata mettersi d’accordo sul significato delle parole che usiamo.

  2. Questo non è il mio nome
    5 aprile 2014 at 14:46

    Finalmente qualcuno ammette pubblicamente il motivo di questi attacchi all’ASN: i concorsi devono continuare ad essere pilotati dai maestri-baroni.
    Guai a cambiare il nostro amato sistema feudale. Il resto del mondo progredisce, ma noi resistiamo. Viva il medioevo!

  3. gianni porzi
    5 aprile 2014 at 17:26

    La proposta della Ministra secondo la quale i candidati saranno valutati da una Commissione che con cadenze stabilite, purché non troppo ravvicinate, potrà controllare gli archivi del CINECA ed emettere un giudizio, mi sembra ragionevole. Gli idonei verranno poi chiamati dagli Atenei in base alle necessità e al budget disponibile. Buona anche l’idea di far ruotare le Commissioni.
    Gianni Porzi

  4. Nicola Laurenti
    6 aprile 2014 at 11:16

    @”Questo non è il mio nome”
    mi sembra che lei sia vittima di un clamoroso fraintendimento.

    Le critiche (non ‘attacchi’, e` inutile attaccare una cosa che si disfa da sola) all’ASN arrivano da molte parti, cosi` come una messe di proposte alternative, piu` o meno, o per nulla, condivisibili, sono state formulate da svariati soggetti (organizzazioni, gruppi spontanei, societa` scientifiche e singoli docenti o intellettuali). Alcune di queste (tra cui quella che lei erroneamente attribuisce ad ANDU) sono efficacemente riassunte all’inizio di questo articolo.

    Ma la proposta di ANDU relativa al punto 1. si trova al paragrafo “L’alternativa all’arbitrio locale e il ruolo unico della docenza”, laddove e` scritto esplicitamente: “In Italia l’unico modo – MAI adottato – per instaurare fin dall’inizio un rapporto ‘professionale’, caratterizzato da autonomia di ricerca e di insegnamento, è quello di esercitare ESCLUSIVAMENTE a livello nazionale – con commissioni interamente sorteggiate – TUTTE le scelte: dottorati, pre-ruolo, entrata in ruolo, progressione….” Per una descrizione piu` dettagliata, veda il link alla fine dello stesso paragrafo.

    Da una persona che si voglia inserire nella feconda discussione sul futuro del nostro sistema accademico, si richiederebbe almeno la capacita` di leggere e comprendere un testo articolato in lingua italiana, cosi` come quella di saper distinguere in un articolo la discussione dello “stato dell’arte” dalla presentazione della “soluzione proposta” da parte dell’autore

    Distinti saluti

  5. 6 aprile 2014 at 19:21

    FOLLIA ALLO STATO PURO: dunque ricapitoliamo. Un ministro dice che vuole abolire i concorsi e sostanzialmente in sintesi, far scegliere al barone il suo “schiavo” sin dalla laurea. Consiglio vivamente di ripassare diritto amministrativo. Tale pratica diffusa in molti stati avanzati, continua la follia, assicurerebbe di portare a galla la situazione di fatto, ovvero che all’università siamo tutti selezionati sia dall’inizio della nostra carriera.

    Smentiamo con calma una cosa per volta:

    1- i concorsi in Italia per assumere personale di qualsiasi tipo sono bulinatori perché così dicono tutte le norme fondamentali del diritto amministrativo, ed in parte la costituzione; quindi, l’assunzione diretta nell’università pubblica italiana non può esistere, il ministro ripassi diritto prima di parlare, grazie;

    2- le chiamate dirette diffuse negli usa ed in gb per es, sono frutto di un sistema di reclutamento che si possono permettere le università private, perché spendono fondi privati, e sono sostenute esclusivamente da privati; non si potrebbe in nessun sistema universitario di tipo pubblico chiamare arbitrariamente, in quanto l’uso delle risorse pubbliche deve essere garantito ai cittadini tutti mediante le cosiddette valutazioni comparative, che assicurano(o meglio dovrebbero assicurare) al cittadino che i soldi non vengono buttati, o in teoria che non si assumono delle capre ad insegnare;

    3- il fatto che oggi si senta così tanto la necessità addirittura da parte di un ministro, di liberalizzare le università e’ dovuto al fatto che i baroni non ne possono più dei cd pensatori liberi, detti anche ricercatori seri, che si aggirano per le università italiane in cerca di un posto e venendo respinti si comentano in ricorsi amministrativi, che cominciano ad essere tantini( le dimensioni dei ricorsi all’Asn non sono stati resi noti per decenza e pace sociale, ma sono molti di più di quelli che ci racconta ad esempio roars);

    4- per coloro che agognano il Medioevo o l’età della pietra, esiste sempre l’opzione africana: se si vogliono fare università piene di pecore e lecchini, aboliamo i concorsi e l’asn, ma nell’università che lorsignori baroni vorranno fondare a loro spese in un qualsiasi stato monarchico africano, in Italia, dove stima cercando di diventare persone serie, cortesemente non aboliamo ne i concorsi ne le abilitazioni, semmaimrendiamoli più affidabili.

    Grazie e a presto.

  6. Luca
    23 aprile 2014 at 09:14

    Una osservazione sul sistema di reclutamento a “chiamata diretta” tipico delle Università USA e GB: non è vero che tali Università sono sostenute solo tramite fondi privati. In realtà, ricevono anche fondi dallo Stato, ma i finanziamenti statali sono modulati in base ai risultati conseguiti dalle singole Università nella ricerca e nella didattica. In GB ciò é evidentissimo: il “Research Excellence Framework” (REF), cioè la valutazione della qualità della ricerca prodotta nelle singole strutture, ed il “National Student Survey” (NSS), cioé la valutazione nazionale studentesca sulla qualità della didattica, concorrono a determinare l’entità dei finanziamenti statali. Le entrate delle Università sono cioè costituite da finanziamenti statali erogati soprattutto in base alla “performance” (cioé al posizionamento delle Università nel REF e nel NSS), dalle rette studentesche e da donazioni/lasciti. Questi meccanismi di valutazione ex post (ed il loro ruolo nella distribuzione delle risorse) hanno due effetti a mio parere positivi: in primo luogo, pongono le Università britanniche in competizione le une con le altre; in secondo luogo (e conseguentemente), determinano l’interesse, per le singole Università, ad assumere (a tempo indeterminato) soltanto coloro che hanno le capacità di svolgere bene il lavoro, cioé di contribuire al buon posizionamento della singola Università nel REF e nel NSS. Non esistono in USA né in UK “filtri nazionali” per il reclutamento o per la promozione, filtri che sarebbero incompatibili con l’idea stessa per cui le Università dovrebbero competere le une con le altre nella ricerca come nella didattica (e quindi competere anche per scegliere chi dovrebbe lavorare per loro); il reclutamento é esclusivamente locale, ma trasparente ed aperto a tutti (la prova è data dall’altissimo numero di ricercatori e docenti italiani in fuga dall’Italia, e dai docenti di tanti altri Paesi, che in tutti i ruoli affollano le Università anglosassoni). Miei colleghi esteri che lavorano in prestigiose Università anglosassoni sono rimasti estrefatti dall’ esistenza in Italia di una procedura come l’ ASN, dal fatto che il reclutamento debba passare per il Miur etc….mi verrebbe da chiedere chi si opporrebbe ad un tentativo di imitare in Italia il modello anglosassone, e perché si opporrebbe…

  7. Davide Rizzotti
    3 maggio 2014 at 10:01

    Finalmente! Ricordo qualche anno fa un mio tentativo di spiegare il nostro sistema di reclutamento ad un collega “anziano” americano (una autorità mondiale nella nostra disciplina). Dopo qualche secondo di stupore egli così si espresse: “ma allora un giovane non può contestare il lavoro di un anziano”!… aveva capito subito il nostro problema! Certo negli USA hanno un altro modo di ragionare: Job talk; proposta economica; obiettivi di risultato; assunzione; monitoraggio ed eventualmente, in caso di valutazione negativa,…”invito” a lasciare il dipartimento. Questa sì che si chiama meritocrazia… ovviamente accompagnata da retribuzioni adeguate e non miserabili come le nostre!

  8. Luca41
    10 maggio 2014 at 08:39

    Probabilmente lei non si trova nella situazione precaria da oltre 15 anni, e non ha visto calpestare il suo curriculum da ragazzini raccomandati o amici di… La tragedia italiana universitaria sta semplicemente nel fatto che molti o quasi tutti i concorsi universitari sono una farsa dichiarata, vince chi deve vincere e basta. Il tema è allora il seguente: quale è la procedura che consente di evitare che anche nelle più prestigiose accademie italiane non si preferisca assumere il figlio di anziché il migliore? Io onestamente non lo so, pensavo fosse l’asn, procedura che prevede una serie di parametri e criteri, e che avrebbe dovuto selezionare coloro che erano in possesso di tali richieste normative: abbiamo visto che così non è stato, esemplifico con il settore 08/b3 in cui in nessuna fascia e’ stato selezionato un non strutturato. Ma purtroppo anche con titoli e pubblicazioni, in Italia non procedi se non c’è l’aiuto di…la telefonata del… L’amico di….il figlio di…. Ora, in un sistema come questo, a mio modesto parere, togliere anche il filtro delle valutazioni comparative sarebbe una follia: equivarrebbe ad aprire le porte delle stalle e far entrare chiunque (purché amico di…). È si badi bene, parlo con carte alla mano: addirittura in università come xxx , che potrebbe far pensare a una delle eccellenze italiane, si assume per conoscenze e non per titoli (presentai alcuni anni fa una mia candidatura come ricercatore, vinse il figlio di.. Che aveva presentato 3 articoli su rivista, un articolo sul corriere dei piccoli e tre convegni, contro me che presentai oltre 120 pubblicazioni di cui più di 12 su rivista, cinque omografie, più di 20 convegni ecc ecc). Allora ripeto, se il tema e’ selezionare i migliori, in Italia non funzionerà mai abbattendo i vincoli, che sono pur sempre superabili, grazie a maggenghi ed artifizi, ma sono cmq un freno alla cupidigia e malvagità di alcuni personaggi che comandano le università italiane. Vale però e per fortuna la osservazione del precedente interlocutore: in Italia, per legge, l’accesso lavorativo alle istituzioni pubbliche e’ regolata da concorso. Forse la soluzione e’ chiedere un componente della magistratura nelle commissioni di concorso? Forse si, o forse mi sbaglio, fatto sta che di questa situazione non se ne può più. Saluti e buon lavoro.

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