3+2: la “rivoluzione” di L. Berlinguer Discutiamone (v. la nota e i commenti)

      Per Luigi Berlinguer ancora oggi il suo disastroso “3 + 2″ è un successo (v. articolo su Repubblica del 3 gennaio 2014).

      Il fatto è che il gruppo accademico-politico che ha imposto all’Università italiana il “3 + 2” non ha mai voluto il monitoraggio-verifica di una riforma che ha contribuito non poco a peggiorare l’organizzazione e la qualità della didattica.

      Nessun governo e nessun ministro ha mai voluto impegnarsi in tal senso e ancora ora nessuna forza politica si propone di porvi rimedio.

NOTA. Sul “3 + 2″  l’ANDU, fin dal  Convegno Nazionale del 2006, ha tenuto vivo un pubblico confronto: v., al punto 4, “Il tabù del ‘3 + 2′. Revelli e Saraceno” cliccando qui.

=== Si segnala anche l’articolo “Più laureati che immatricolati? Diamo uno sguardo ai numeri”, su OrizzonteScuola.it: cliccare qui.

35 comments for “3+2: la “rivoluzione” di L. Berlinguer Discutiamone (v. la nota e i commenti)

  1. ANDU
    4 gennaio 2014 at 17:49

    da Paolo Prodi

    Nelle dichiarazione di Luigi Berlinguer noto che parla di “soldati di sventura”: forse voleva dire “profeti di sventura” oppure “soldati di ventura”: mi ritengo in ogni caso annoverato tra questi ultimi e penso che Berlinguer sia responsabile di immensi disastri per la nostra università; penso anche che un giornale come Repubblica si rivela totalmente incapace di comprendere la situazione attuale.
    Vivi saluti,
    Paolo Prodi

    – nota ANDU: di Paolo Prodi è recentemente uscito il libro “Università dentro e fuori”, ed. Il Mulino. Il libro sarà presentato dall’Autore mercoledì 22 gennaio 2014, ore 10,30 – Dipartimento DISCI – Aula G. Prodi- Piazza San Giovanni in Monte 2, Bologna.

  2. ANDU
    4 gennaio 2014 at 17:51

    da Gianni Porzi

    La così detta “Riforma del 3+2″ (voluta dall’allora Ministro Berlinguer) ha un’analogia con la così detta “Riforma Gelmini”, cioè la Legge 240. Sia Berlinguer che la Gelmini volevano a tutti i costi lasciare traccia del loro mandato ministeriale legando il proprio nome ad una riforma, indipendentemente dal fatto che potesse o meno servisse a migliorare il sistema universitario. In entrambi i casi non sono servite a migliorare la situazione negli Atenei italiani, anzi sotto certi aspetti si è potuto registrare un aumento delle criticità.
    Gianni Porzi

  3. ANDU
    4 gennaio 2014 at 17:52

    da Antonio Pasini

    Nell’ articolo sul 3+2 apparso su Repubblica, verso la fine, leggo che nel conteggio degli immatricolati si sarebbe tenuto conto solo delle matricole della triennale. Vuoi vedere che invece per contare i laureati hanno sommato le lauree triennali con quelle magistrali? Così ogni laureato conta per 2, o per 1,5.
    Antonio Pasini

  4. ANDU
    4 gennaio 2014 at 17:59

    da Marco Sette

    Vi ringrazio per tutte le notizie che fornite.
    Quando leggo su un giornale(Repubblica) un titolo: più laureati che matricole, non so se piangere o ridere di chi lo scrive. Una delle prime leggi della chimica è: nulla si crea e nulla si distrugge. Ma noi, in Italia, con x matricole riusciamo a fare x + n laureati? Secondo il titolo sì.
    Siccome non è possibile, altrimenti dovremmo chiamare la finanza
    perché qualcuno distribuisce lauree false, allora la risposta è che
    si confrontano le matricole di un anno con laureati immatricolati in
    altro periodo.
    Ma allora se laureati > matricole e noi non creiamo laureati dal nulla, vuol dire un calo delle immatricolazioni che si “concilia” con l’impoverimento culturale del Paese già notato da molti.
    Però, per Repubblica e Berlinguer, più laureati di matricole è un successo del 3+2.
    Evidentemente l’impoverimento culturale è anche a livello dei
    giornalisti di Repubblica che scrivono certe cose e a livello
    dell’ex-ministro che non sa la matematica di base. Ci faceva pure il
    ministro dell’Istruzione!!!!
    Marco Sette

  5. ANDU
    4 gennaio 2014 at 18:01

    da Gabriele Mazzacca

    Il 3 + 2 è fallito miseramente per l’autonomo malgoverno delle varie sedi universitarie. Un solo esempio, illuminante: nella facoltà medica della Federico II di Napoli i corsi di laurea passarono da 2 a 18, dico 18, con lo STESSO numero di docenti. Delle due l’una: o la gran parte dei docenti NON FACEVA NULLA quando i corsi di laurea erano due o i 18 corsi di laurea “nuovi” erano gusci vuoti. La verità, ahimè, è che in entrambe le ipotesi c’era e c’è del vero.
    Gabriele Mazzacca

  6. Roberto Fedi
    5 gennaio 2014 at 17:53

    L’articolo di ‘Repubblica’ è indecoroso. La riforma 3+2, come era nelle previsioni di molti commentatori (compreso il sottoscritto: dirigo un dipartimento) non appena fu varata, è stata un disastro. Ha abbassato la qualità dell’offerta culturale, ha laureato masse di giovani della triennale con scarsa preparazione, ha di fatto murato ogni accesso al lavoro per la miserabile preparazione di molti. Inoltre, ha contribuito alla proliferazione assurda di atenei o pseudo tali, che di solito si limitano alla laurea triennale. L’aumento del numero dei laureati, comunque sempre bassissimo rispetto alle medie Ocse, dipende ovviamente dalle ‘facili’ triennali. Bel risultato, non c’è che dire. Berlinguer ha ucciso l’università, come ogni docente non cieco può attestare.

  7. Giorgio Pastore
    5 gennaio 2014 at 19:40

    Commentare quei dati, evidentemente mal definiti, su immatricolati/laureati, per trarre conclusioni sul 3+2 e’ un “non sequitur” colossale. Sia da parte di Berlinguer, sia da parte dell’ANDU stessa. Una discussione seria sui vari aspetti della riforma del 3+2 devo ancora vederla. Continuo a leggere commenti che sembrano piu’ nascere da avversioni viscerali a cose che, a ben guardare, sembrano legate a pessime implementazioni della riforma che alla riforma stessa.
    Ma allora “chi e’ causa del suo mal pianga se stesso”.

    I numeri su cui Repubblica e Berlinguer costruiscono lo “scoop” sono in realta’ bacati e basta una verifica sul sito del miur (anagrafe studenti) per controllare: gli immatricolati sono apparentemente quelli alle triennali a lauree a ciclo unico. Invece i laureati sono tutti (specialistici/magistrali + triennali + Ciclo Unico). Chiaramente un confronto con i laureati del vecchio ordinamento non e’ possibile.
    Inoltre, il dato sincrono tra immatricolati e “laureati” dello stesso anno rende, come gia’ osservato, difficile disaggregare fenomeni diversi (variazione delle immatricolazioni, ritardi nella laurea,…). Ed e’ estremamente verosimile che il “sorpasso” (significativo solo per i dati del nuovo ordinamento) sia dovuto alla diminuzione degli immatricolati.

    Di nuovo, per la stessa opacita’ dei dati, cosa tutto cio’ motivi i giudizi, in positivo o in negativo, sul 3+2 e’ cosa difficile da capire.

    Mi sarebbe piaciuto che l’ANDU si fosse soffermata piu’ sul dato evidente del calo delle immatricolazioni che vedo come segnale allarmante di problemi ben piu’ gravi del 3+2.

  8. 5 gennaio 2014 at 20:58

    Non ho ideologia sul 3+2. So che non ha funzionato, o ha funzionato solo in parte, per le scienze umane e sociali. Certamente malissimo per le scienze giuridiche. So però anche che io, che insegno in una laurea magistrale di chimica a UniBo, ho tra i miei studenti un certo numero di studenti romani e un certo numero di studenti palermitani e anche un paio di pavioti e sono tutti studenti che non si sarebbero mai trasferiti a metà percorso o giù di lì. Credo che il 3+2 funzioni abbastanza bene per le lauree scientifiche e anzi consenta e stimoli quella mobilità trasversale che manca nel nostro paese.
    Il nostro sistema soffre di verticalità totale – intere carriere dalla laurea al dottorato impilate le une sulle altre, fino alla … pensione. Il 3+2, anzi il 3 + 2 + 3 dovrebbe/potrebbe servire a incentivare mobilità, contaminazione e scambio. In fondo il nostro problema sta sempre lì… non riconosciamo le differenze tra saperi e pretendiamo che un modello (un modello per volta, ora il 3+2) vada bene per ogni tipo di percorso formativo, e – magari – per ogni tipo di ricerca. Invece l’Università è il regno della diversità, o no?
    Dario Braga

  9. ANDU
    6 gennaio 2014 at 10:51

    da Marco Ravera

    Per il 3 + 2 di Berlinguer sarebbe adeguata la celeberrima definizione che Fantozzi usò per “La corazzata Potemkin”.
    Marco Ravera

  10. Dino Carpanetto
    6 gennaio 2014 at 12:11

    Fa un certo effetto leggere oggi le critiche, sacrosante, alla legge Berlinguer sul 3+2 e lamentare (giustamente) i danni prodotti in quello che era un corpo sano e tutto sommato dignitoso. Non mi pare di ricordare che al momento in cui fu varata il mondo accademico nel suo insieme la giudicasse negativamente. Anzi, la accettò o passivamente o attivamente, e tra i colleghi della mia disciplina (Storia), mi pare di ricordare che furono ben poche le voci dissenzienti. A parte, gli articoli di Massimo Firpo (in particolare quello sulla Rivista storica italiana, fascicolo II, 2001) e altre isolate prese di posizione, il consenso attivo o passivo fu pressoché unanime. Dico questo perché se si intende porre rimedio al disastro bisogna partire da qui, ossia dalla realistica accettazione del fatto che difficilmente il corpo docente, per di più estenuato in questi anni dalla burocratizzazione dilagante dell’università, dai continui rimaneggiamenti inutili a scopi di riqualificazione, dalle pessime leggi e leggine dei vari ministri di destra e di sinistra , possa concorrere in modo attivo e propositivo. Come è possibile non essere pessimisti?. E lo dico non per il gusto del negativo, ma solo per muovere dalla realistica considerazione dello stato delle cose. Anche i settori “più giovani” e che giovani anagraficamente non sono, come i ricercatori, paiono esprimere richieste e attese che non hanno certo a cuore il ripensamento complessivo dell’università italiana.

  11. Francesco Stella
    6 gennaio 2014 at 14:50

    Mi pare che sia un’operazione sterile contestare dopo tanti anni la 3+2, ora che è diventata norma in tutta Europa, adeguando il sistema universitario italiano e di altri paesi all’articolazione già adottata (con risultati varii, certo non dipendenti dal sistema in sé) in Gran Bretagna e Stati Uniti. Chi vi vede l’origine di un degrado (concentrato peraltro, a quanto pare, nelle facoltà umanistiche) temo idealizzi molto il livello degli studi nel sistema precedente e trascuri i danni causati non solo, come rilevano alcuni commenti, dalle applicazioni talora scorrette della riforma stessa, ma soprattutto dal declino – specie nelle materie umanistiche – delle scuole superiori, ovviamente non imputabile al 3+2, danni già ampiamente visibili negli ultimi anni della vecchia laurea quadriennale.

  12. antonio pasini
    6 gennaio 2014 at 15:05

    Quindi è vero: da una parte si contano solo le 280.164 matricole alla triennale nel 2011/2012 e dall’ altra tutti i laureati, di qualunque tipo, triennale o magistrale o altro, nello stesso periodo, raggiungendo così l’ impressionante cifra di 291.688. Grazie al cavolo che in questo modo i laureati superano gli immatricolati! Paghi uno e prendi due. Ma come si può essere così imbecilli?

  13. Francesca Petrocchi
    6 gennaio 2014 at 19:10

    Continuare a estrarre giudizi ( positivi o negativi) sui soli “numeri” o “quote” senza entrare nello specifico è una perdita di tempo. Dalla 509 in poi il mondo accademico ce l’ha messa tutta nell’adeguarsi alle leggi, norme e decreti nel peggior modo possibile sapendo benissimo che non erano il solo frutto di questo o di quel ministro ( o governo: abbiamo ben due governi con ministri ex-rettori)ma di rappresentanti di gruppi di potere interno al sistema. Quale credibilità può avere un ministero che ad oggi ( 6 gennaio) ancora non ha reso noto il risultato delle ASN? Per non parlare della macchinosità di AVA….Ci vorrebbe una rinascenza o rinnovamento serio e libero da schematismi o preconcetti o pregiudizi.Un colpo d’ala, preceduto da un generale mea culpa di una intera classe dirigente.

  14. Marco Ravera
    6 gennaio 2014 at 23:06

    Vorrei aggiungere un piccolo ricordo alla mia brevissima considerazione “fantozziana” di qui sopra. Si era all’inizio dell’a.a. 1999/2000 ed io, secondo un uso allora normale, ero stato incaricato di far parte di un gruppo di docenti delle Facoltà Umanistiche col compito di girare le scuole superiori del Piemonte per presentare la “riforma” che stava per partire agli studenti dell’ultimo anno. Ovviamente io mi occupavo di presentare la Facoltà di Lettere e Filosofia. Capitammo in un Liceo di Rivarolo Canavese. Facemmo la nostra brava presentazione; e quando fu il mio turno, pur presentando in modo obiettivo la nuova struttura della Facoltà, mi permisi (come del resto avevo fatto in ogni occasione precedente, giacché non ho proprio la mentalità del “non capisco ma mi adeguo”) di fare anche qualche considerazione critica sull’effettiva efficacia “professionalizzante” della Laurea Triennale in una Facoltà come la mia. Non avevo notato un tale, più anziano ma che credevo un insegnante e che invece era – lo capii dopo – qualcosa di mezzo fra un
    funzionario di Partito e un osservatore spedito lì dalla Giunta comunale (rigorosamente di sinistra), che dopo le mie timide ma fondate considerazioni critiche mi assalì con un violento attacco degno di miglior causa, definendomi un DISFATTISTA CHE TOGLIEVA MOTIVAZIONI AGLI STUDENTI insinuando in loro dubbi sulle magnifiche sorti e progressive cui Berlinguer avrebbe condotto l’Università italiana. DISFATTISTA: già sentito in altri contesti… Solo per dare un’idea del clima con cui la c.d. “riforma” fu portata avanti sin dall’inizio.

  15. Antonio Leone
    6 gennaio 2014 at 23:22

    Non è questione di ministri: Berlinguer e Gelmini sono bersagli più grandi per aver promulgato le rispettive riforme. Ma è dai tempi dell’autonomia (Ruberti, giusto per fare nomi), che l’Università è in declino. Che dire, poi, dell’abolizione del ruolo di ricercatore voluta da Moratti, che uno come Mussi avrebbe potuto fermare?
    Il problema allora è strutturale della società italiana. Guarda caso i problemi odierni hanno origine temporale alla fine degli anni ’80: federalismo gretto (di cui la falsa autonomia universitaria è la coniugazione accademica); confindustria e popolo delle partite IVA affetti da miopia grave, per cui investire in cultura e università significa sprecare tasse in cose inutili; connivenza dei “giornaloni” e dei talk televisivi (ricordate la stagione degli scandali ai concorsi?). Specularmente, il mondo universitario ha fatto di tutto per favorire il proprio suicidio, con la moltiplicazione di corsi inutili e ad personam (ancora sopravvivono), l’effettivo svolgimento di concorsi scandalosi, l’atteggiamento supino dei rettori, che hanno preferito far credere che le colpe fossero altrui e ben individuabili, magari nelle “solite” università meridionali.

  16. Gianfranco Denti
    6 gennaio 2014 at 23:53

    Condivido molte osservazioni, in particolare quelle di Braga e di Stella.

    Aggiungo che alla riforma del “3+2″ avrebbero dovuto immediatamente seguire: a) un sostanzioso aumento degli investimenti in strutture e personale docente e tecnico (cronicamente sottodimensionati rispetto alle medie europee); b) una profonda revisione (potenziamento) dei tempi, dei modi, dei percorsi e dei programmi dei cicli scolastici preuniversitari, eventualmente con limitazione della scelta del percorso universitario a vasti ambiti disciplinari congrui con la preparazione già acquisita. Se ciò fosse avvenuto, come molti si aspettavano, la riforma avrebbe segnato ben altri risultati.
    Purtroppo, come abbiamo dovuto constatare a spese nostre e delle centinaia di migliaia di studenti rinunciatari, non solo ciò non si è realizzato, ma i pesanti (ideologici e restrittivi: scellerati) interventi successivi, sia sull’università che sulla scuola, sono stati tutti rivolti in direzione opposta a quanto sarebbe stato necessario.

    Possibile che un dibattito che vuole essere serio dimentichi tutto ciò e individui solo in Luigi Berlinguer il corruttore della “bella e innocente” (!?!) università italiana d’antan?

    Buon Anno a tutti.

  17. Stefania Masci
    7 gennaio 2014 at 11:54

    Torniamo al vecchio sistema dei 5 anni o al massimo 4 più 1 di specializzazione!

  18. Giovanni Falaschi
    7 gennaio 2014 at 18:24

    Il mio è un commento retorico, perché quello che penso è talmente lontano da quello che vedo, che quello che dico suonerà come cosa dell’altro mondo. E infatti lo è e non servirà a nulla. Mi riferisco alle Facoltà umanistiche (per altro in quelle scientifiche il 3+2 funziona meglio; così si dice). 1) Una tesi di dottorato attuale è di livello pressoché identico a una tesi di laurea della mia generazione (sono nato nel 1940). Che è successo? 2) Quando si trattò di applicare il 382/80 i proff. fecero entrare come Ricercatori cani e porci, nonostante che la legge Ruberti consentisse un esodo degli inidonei nei ruoli della Scuola Media. Che c’entrava in questo caso il Ministro? 3) I concorsi a ordinario e associato degli anni duemila con tre idonei (poi 2) si mutarono in scorrimento di un docente alla fascia superiore: non furono veri concorsi; dov’è la colpa del ministro? E se uno mi dà una spada in mano non è che io posso usarla per uccidere qualcuno incolpando chi me l’ha data. 4) Il 3+2 è stato tradotto nelle Facoltà come moltiplicazione degli insegnamenti: non sono i ministri responsabili degli 8000 corsi di laurea istituiti allora (oggi grazie a Dio ridotti). 5) L’impreparazione degli studenti anche nella loro lingua madre è in parte – ma solo in minima parte – frutto degli osceni scorpori e poi riaccorpamenti del settore Istruzione, Università e Ricerca (a cominciare dal 1988): il Ministero deve assolutamente restare unico. 6) Quando le Facoltà umanistiche erano di 4 anni, si perdeva almeno il 50% degli studenti per strada. I laureati erano molto buoni, ma il loro numero era ristretto e l’età della laurea troppo alta. Oggi il numero si è allargato ma il livello culturale si è abbassato. 7) Io insisterei sul fatto che occorre ripartire dal far lavorare gli studenti seriamente fin dalle Elementari. Però, se si deve parlare della casa partendo dal tetto, cioè dall’Università, va bene. Allora, se il rapporto del professore con la legge universitaria deve essere: vediamo come posso approfittare per fare familismo, espansione delle sedi, creazione di corsi nuovi, furberie varie, andrà sempre peggio. 8)Occorre un’etica, ma chi non ce l’ha non se la può dare. E quando leggo pareri di docenti che incolpano il solo Berlinguer, i loro giudizi mi puzzano di malafede. La legge 3+2 andava male? e perché l’avete applicata nel modo peggiore? E perché avete fatto passare dei fessi ai concorsi? E perché in alcune università non secondarie ci sono rettori a dir poco non proprio degni? Li hanno votati i Ministri? 9) Quanto all’art. di “la Repubblica” secondo me il giornalista è incorso negli errori segnalati da alcuni commentatori: ha sommato i laureati del 3 con quelli del 2, oppure ha preso un numero di studenti in entrata non misurando gli stessi in uscita; non ho capito bene. Ma il problema è la passione e la dirittura morale di noi (ora però “voi”, perché io sono in pensione) docenti. Insomma: non si deve vedere la pagliuzza nell’occhio altrui, ma il trave nel proprio. E siccome è un anno machiavelliano citerò le sue conclusioni da uno scritto minore: «non conoscete el tempo che voi perdete e che avete perduto. El quale voi piangerete ancora, se non vi mutate di opinione”.

  19. Mauro Mariani
    7 gennaio 2014 at 18:27

    A parte la militarizzazione dei “profeti di sventura” diventati “soldati di sventura” (ma del resto Calcante era aggregato all’esercito acheo), L.B. tratta le statistiche a modo suo. Dall’anagrafe studenti del “mastodontico” MIUR risulta infatti che nel 2011-12 i nuovi iscritti alla sola triennale sono 316847, che salgono a 380761 se si considerano anche le lauree a ciclo unico e a ben 488784 se si considerano anche le lauree magistrali (non si capisce quindi da dove salti fuori 280164); mentre il dato 291688 laureati si riferisce a tutti i tipi di laurea. Inoltre non ha senso confrontare il numero dei laureati di un dato anno con il numero degli immatricolati nello stesso anno. Un confronto meno da statistica creativa potrebbe essere quello tra gli immatricolati alla triennale nel 2009-10 (340217) e i laureati alla triennale nel 2011-12 (174454): anche questo è un dato grossolano che non tiene conto dei fuori corso e di altre variabili, ma comunque è un dato più significativo (anche se, purtroppo per L.B., meno trionfale).
    .

  20. Teresa Ciapparoni
    7 gennaio 2014 at 22:02

    Anch’io come Falaschi e qualche altro penso che gli errori siano soprattutto nella realizzazione del 3+2. Molti colleghi non si sono preoccupati di registrare i propri corsi sul nuovo sistema e lo hanno accettato come dipendenti alle Poste che semplicemente timbrano le buste di passaggio. Nel mio corso, lingue, i risultati sono stati nell’insieme buoni e sono riusciti a prendere la laurea triennale, con soddisfazione delle famiglie, molti che non ce l’avrebbero fatta mai con il vecchio ordinamento. Certo si è perso parte del contenuto, ma questo perché gli interessi dei singoli hanno predominato e la struttura dei due corsi non è stata bilanciata né, soprattutto, si è tenuto conto che eravamo già nel 2000 e lauree studiate all’inizio del ‘900 non erano più utili a creare le nuove professionalità necessarie. Molte colpe nella classe docente, che nell’insieme non è stata all’altezza del compito. Troppo pigra, troppo acquiescente, in tanti casi anche troppo poco capace.

  21. Marta Cristiani
    7 gennaio 2014 at 22:28

    In tutti i commenti si trova qualche verità, anche nella difesa dei ministri. Resta il fatto che quando si sente parlare di “riforma” in ambito universitario mi aspetto (mi aspettavo?) regolarmente il peggio (indipendentemente dal colore del ministro). Il peggio anche per l’acquiescenza dei cari colleghi (Colleghi?), impazienti di trarre qualche vantaggio dalle cosiddette riforme, non di discuterle, come sarebbe da attendersi (il senso critico dovrebbe essere qualità essenziale di un docente, o no?!), per organizzare un’eventuale costruttiva opposizione. Detto questo, senza continuare a piangere sul latte versato, continuo a chiedermi: “che cosa significa una laurea triennale in Filosofia?”.
    Marta Cristiani

  22. 7 gennaio 2014 at 23:21

    La rovina delle Facoltà umanistiche comincia appunto con la riforma Berlinguer . E su questo non ci piove. Voglio riferire la mia esperienza personale all’allora dipartimento di Italianistica della Facoltà di Lettere dell’Università di Firenze. Ormai con una cinquantina d’anni di contributi riscattati a 68 anni (quando mancavano 4 alla pensione) mi si chiede se volevo aproffittare della possibilità d’andare in pensione, quindi di godere per 4 anni di una somma cospicua per insegnare ma soprattutto che avrei potuto lasciare il mio posto libero per potere essere messo a concorso per qualche giovane. Quest’ultima prospettiva mi ha fatto decidere. Naturalmente era falsa. Così non solo il posto non è stato riutilizzato ma alla triennale i miei colleghi si trovavano tra i 4-500 allievi a cui veniva data sommaria e assolutamente insufficiente preparazione escludendo materie fondamentali come le filologie o storia della lingua. Immondo. Le pagine contingentate!!! Il divieto di uscire dal “pacchetto” e ultima prova d’immondezzaio i test. Devo dire che anche l’ANDU è stato in qualche modo corresponsabile di questa pagliacciata. Per fortuna sono uscito quando i frutti del 3più2 hanno ridotto le facoltà umanistiche un luogo infrequentabile per studi seri. Anche le piccole ex Facoltà che si devono adeguare a questa incredibile modellizzazione falsa e controproducente.

  23. Marco Ravera
    8 gennaio 2014 at 09:12

    Giusto, Venturi: le pagine contingentate! Ma ci può essere qualcosa di più idiota? Eppure, da quando funziona questo demenziale e abominevole sistema dei “crediti”, il criterio è quello, meramente quantitativo. Tutto si regge sull’illuminata equazione, sancita sin dall’inizio per legge: TOT crediti = TOT ore di lavoro dello studente = TOT pagine da studiare. Peccato che al legislatore non sia venuto in mente (troppo difficile?) che una pagina può contenere duemila, tremila o anche quattromila caratteri: col che, evidentemente, le cose cambiano un pochino. E poi – altro obbrobrio dovuto forse alla mentalità vetero-sovietica del ministro e dei suoi collaboratori, roba da piani quinquennali – gli studenti non sono tutti uguali, hommes machines fatti in serie, e lo stesso “numero di pagine” (?), a seconda del contenuto delle stesse nonché della disposizione psicologica dei singoli studenti nei confronti delle singole tematiche, può richiedere all’uno o all’altro tempi di lavoro ben diversi anche a parità di preparazione finale. Con l’aggiunta poi della nostra didattica ridotta a spezzatino, con tutti questo moduli e modulini la cui durata è calibrata non sugli argomenti trattati ma esclusivamente sul rapporto fra ore e crediti: una cosa che si è risolta, a prescindere dalla buona volontà e dall’impegno dei singoli docenti, in un disastroso abbassamento generale del livello: o ti occupi di minutaglie, per stare dentro le trentasei ore, oppure, se ti occupi di cose di ampio respiro, devi per forza schiacciarle, semplificarle, banalizzarle (cosa che ovviamente non avveniva nei cari buoni vecchi corsi da sessanta ore). Col che la didattica così immiserita si è poco per volta definitivamente scissa dalla ricerca; e dopo anni ed anni in cui, giustamente, si osservava che uno dei mali dell’Università italiana era la separazione tra didattica e ricerca, si è sciolto il nodo gordiano sancendo tale separazione per legge. L’orrore è che se Berlinguer ha iniziato, Moratti e Gelmini non hanno fatto che completare il disastro. Si è ululato tanto contro queste ultime due, senza ricordare che altro non hanno fatto se non portare a termine il progetto iniziale che al tempo, da chi poi ha ululato contro di loro, era stato tanto osannato: ulteriore esempio dell’antica verità che in Italia le cose sono belle o brutte non a seconda di cosa sono, ma a seconda di chi le fa. E’ vero che in mezzo c’è stato anche Mussi: ma qualcuno se ne è accorto?

  24. raffaele chiappinelli
    8 gennaio 2014 at 09:27

    Chiunque abbia assemblato i dati per Repubblica (Ministero? Alma Laurea? Repubblica medesima?) sul “3+2″ dimostra una straordinaria abilità nel gioco delle 3 carte: sì, quello che gli imbonitori facevano (o fanno ancora) sui banchetti fuori delle stazioni da Napoli in giù per tirar fuori soldi ai gonzi venuti dal paesello. In effetti, sommando indipendentemente le lauree triennali e le magistrali si raddoppia (o quasi) il numero dei laureati: magia dei numeri, e così tutti contenti!

  25. Marco Ravera
    8 gennaio 2014 at 10:30

    Posso ancora condensare il mio pensiero in una considerazione brevissima? Mi sono convinto che tutte le c.d. “riforme” che hanno devastato, anzi distrutto, l’Università italiana da Berlinguer in poi, non sono se non IL TRIONFO POSTUMO DEL SESSANTOTTO IMPOSTO DALL’ALTO. Sai che meraviglia…

  26. Antonio Orlandi
    8 gennaio 2014 at 10:58

    dopo tanti commenti che condivido e’ difficile aggiungere qualche cosa. Concordo pienamente con PORZI “Sia Berlinguer che la Gelmini volevano a tutti i costi lasciare traccia del loro mandato ministeriale legando il proprio nome ad una riforma,indipendentemente dal fatto che potesse o meno servisse a migliorare il sistema universitario.” e, cio’ che mi fa rivoltare di piu’ le viscere, e’ che ne fanno le spese i piu’ deboli, cioe’ gli Allievi piu’ giovani.
    Insegno ad Ingegneria (ops, le Facolta’ non esistono piu’ …. gran bella trovata …) da 25 anni. Il “3+2″ ha massacrato la qualita’ (elevata e riconosciuta) dei ns corsi di studio ingegneristici. Penso che la maggior parte di noi docenti ha fatto i salti mortali per mantenere la qualita’ in un sistema (il 3+2) inadeguato alla realta’ (anche industriale) del ns paese. Un’ultima chicca (ammetto molto specifica ma penso significativa): se un docente vuole far fare una attivita’ tecnica retribuita (cococo) ad un laureato del “3” del proprio Ateneo (o di altro Ateneo) non lo puo’ fare x’ la 240 lo impedisce …….. provare per credere …….

  27. Giovanni Falaschi
    8 gennaio 2014 at 11:42

    Mi rendo conto che forse a qualcuno è sembrato che nel mio intervento assolvessi il Ministro. Niente affatto! Ammonivo solo i colleghi a che non si autoassolvessero. Le responsabilità del Ministro sono evidenti, e chi le ha ribadite anche in questa sede ha fatto bene, ma quelle dei proff. non sono da meno. In sostanza: legge sbagliata, e sua applicazione anche. Chiedo scusa per questo doppio intervento.

  28. Luisa Faldini
    8 gennaio 2014 at 13:18

    Ahimè, purtroppo ci siamo aspettati, da sempre, una riforma per ogni ministro! Il risultato di tutte queste riforme (e ne ho viste parecchie, purtroppo), sempre insensate, lo vediamo concretamente nell’attualità: licealizzazione dell’Università, maggioranza di studenti insipienti, professori umiliati, concorsi complicati.
    Eppure sarebbe tanto facile sistemare tutto:
    – prove di ingresso serie all’università e non corsi di recupero come siamo costretti a fare;
    – valutazione seria e non burocratizzata né tendente a creare un nuovo centro di potere;
    – idoneità nazionali, dalle cui liste le Università possano chiamare chi vogliono. Sarà poi affar loro se chiamano un asino, in quanto avranno conseguenze sulla valutazione (sempre che questa sia seria). Sarà loro interesse, infatti, cercare di chiamare i migliori, sempre a fronte di un sistema di valutazione affidabile.
    Ma non ho molte speranze. Fortunatamente ho ancora solo un anno prima della pensione. Francamente, questa Università non fa per me né sarà mai quello che auspico in futuro.

  29. 8 gennaio 2014 at 19:08

    o aulici colleghi,
    come è che quando il nostro luigi era in auge, ho visto molti di VOI genuflessi ornati per un ampliamento di cattedre, felice poiché le lauree triennali avrebbero prodotto posti per figli, nipoti generi cognate ed amanti.
    ora che la festa è finita si ritrova dignità e coerenza ……………..sic

    ww.youtube.com/watch?v=U6bS5b9G2Io

  30. maria vittoria cubellis
    8 gennaio 2014 at 22:25

    Il 3+2 non puo’ funzionare nei corsi di laurea scientifici.

    Nel corso di laurea in cui insegno, scienze biologiche, si dovrebbero imparare prima la matematica e la fisica, poi la chimica generale, poi la chimica organica, poi la biochimica, poi la biologia molecolare e la genetica. ma se compattiamo tutto in tre anni e’ impossibile mantenere le propeduticita’.

    il sistema anglosassone e’ diverso. infatti chi si iscrive a facolta’ scientifiche negli ultimi due anni della scuola superiore ha approfondito poche materie specifiche. In altre parole una persona che si iscrive a biologia, ha studiato chimica, fisica e matematica, intensivamente negli ultimi anni del liceo. Quindi loro hanno il 2+3+2.

    Per favore apriamo un referendum tra studenti, neo laureati, e docenti dei corsi di laurea scientifici. Ascoltiamo la loro esperienza pratica.

    Non dobbiamo per forza diventare “anglosassoni”, non e’ una questione di principio.

    Il livello e’ sceso nettamente a causa del 3+2 e se sottoponessimo i nostri studenti ad un test tipo “invalsi” ci renderemmo conto della gravita’ della situazione.

  31. Saverio Ciarcia
    10 gennaio 2014 at 08:10

    Se Luigi Berlinguer è soddisfatto della sua bella riforma e del miglioramento qualitativo dell’offerta formativa attuale non possiamo che vivamente rallegrarci.
    Saverio Ciarcia

  32. Mauro Fornaro
    10 gennaio 2014 at 12:49

    Sono positivamente sorpreso per la partecipazione convinta di tanti Colleghi al dibattito aperto dall’articolo – superficiale, se non fuorviante – di “Repubblica”
    sul c.d. 3+2 Universitario, e dalla voce riemersa di un ministro -Luigi Berlinguer-
    che meglio avrebbe fatto (e non da solo) a procedere con un’autocritica sincera sul suo stesso operato. Ho vissuto quella vicenda in un Politecnico ritenuto fra i più seri, anche fuori d’Italia, percependovi tuttavia le pressioni “europeizzanti” (anche da… “provinciali”) per un nostro adeguamento (acritico!) alla riforma in oggetto.
    Ma avendo personalmente vissuto (per un dottorato ante litteram, a metà anni’70) la esperienza tedesca in atto, compresi subito l’imminente equivoco italiano…
    Nessun investimento strutturale previsto, fumosi progetti parascientifici e mera occasione di inopportuna moltiplicazione a c.d. costo apparente “zero”: per corsi e docenti, anche fuori dalle reali necessità, senza distinzione fra i vari tipi di Laurea. Venne tuttavia, anticipatamente sbandierata la c.d. professionalizzazione delle nuove lauree triennali “brevi”, facendole però discendere dalla correnti lauree quinquennali, ritenute troppo lunghe e teoriche… Col risultato evidente (e pure prevedibile) di non soddisfare le prime e di mortificare le seconde.
    (In sostanza, se mi si passa la visione goliardica del tempo che fu, una promessa di “sveltina” col risultato di un coitus interruptus…)
    Inutilmente – per il settore ad es. della Ingegneria degli scavi e mineraria, che ben conoscevo – si poteva piuttosto suggerire una motivata e motivante promozione dalle più collaudate Scuole Tecniche dei Periti; prevedendo cioè un breve percorso addizionale, mirato e qualificante, subito dopo le secondarie: così da promuovere dei veri Tecnici – già assai quotati nel settore – e meglio valorizzare delle strutture ben dotate, anche di esperienza sul campo e con laboratori attrezzati e funzionanti che l’Università non era in grado di garantire! Mi pareva chiarissimo, ma…
    Ma prevalsero la demagogia, l’arrivismo accademico, la disonestà intellettuale ed amministrativa ecc., di cui la politica è spesso madre e figlia al contempo!
    Colpa peraltro anche nostra – parlo da neopensionato, fuori gioco didattico quasi per masochismo “istituzionale” grazie alla successiva, più recente riforma Gelmini che vietò incarichi (anche non retribuiti) ad un 63enne (pur con più di 43anni di anzianità) – e non intendo certo autoassolvermi: anche solo per “omissione”, a suo tempo, di più efficaci, clamorose forme di dissenso (ma alle quali il pur celebrato, “formidabile 68” di Capanna non mi aveva saputo evidentemente educare…).
    Ma colpa soprattutto, ritengo, di certa stampa e di certe televisioni, pronte al “servo encomio” del potere del momento ed al “codardo oltraggio” del buon senso di sempre e, soprattutto, dimenticando gli insegnamenti di gente come Calamandrei.

  33. Paolo Ferloni
    10 gennaio 2014 at 16:35

    Condivido i commenti di Braga, Carpanetto, Stella, Petrocchi, Leone, Denti, Falaschi, Mariani, Ciapparoni, Cristiani, Venturi, Giorgetti. Mi limito a rilevare due punti: uno che non condivido e uno che merita maggiore approfondimento in futuro.
    Premetto che da chimico (UniPV) ho visto che il 3 + 2 non ha cambiato quasi nulla rispetto al 2 + 3 che vigeva nei nostri piani di studio degli anni ’50 – ’90, ha solo introdotto una inutile cerimonia di laurea triennale di cui non si sentiva la mancanza.
    1. Il sistema dei crediti. Molti, in particolare umanisti anche illustri, ad es. Claudio Magris (autore a me caro quando scrive di Danubio o Microcosmi) non hanno ancora capito che cosa sia e a cosa serva, ma in realtà si tratta di un metodo, volutamente approssimato, per stimare quantitativamente il carico di lavoro eseguito da uno studente (non il numero di pagine lette). In Europa (e in Italia) il sistema fu sperimentato dal progetto pilota European Credit Transfer System (ECTS, a cui parteciparono in 5 aree disciplinari 15 università italiane) tra il 1989 e il 1995. Berlinguer non c’entrava per nulla: se lo trovò da adottare quando era ministro e quando lo adottarono tutti gli europei. Il sistema serve solo a tutelare gli studenti e i docenti stessi nel senso di pretendere una maggiore trasparenza dei servizi educativi e nell’impedire che siano assegnati carichi didattici esorbitanti, come in vari casi può capitare. Ovvio che poi in Europa serve anche a confrontare i curricula dei laureati in modo approssimato. Tutti i Paesi avanzati non europei (ad es. USA, Australia, Canada, Giappone) hanno un sistema di crediti pubblico e trasparente. Non si vede perché non lo potremmo serenamente accettare e usare bene anche noi, invece di criticarlo.
    Certo occorrerebbe essere capaci di non far confusione tra carico di lavoro (workload) e sistema dei voti (grading system), cioè tra quantità e qualità, ovvero tra tempo dedicato e valutazione dei risultati. Difficile? Forse, ma meglio provare. E sapersi confrontare.
    2. I problemi strutturali del sistema educativo italiano (citati ad es. da Leone e Denti) sarebbero da studiare seriamente, partendo dalle oggettive differenze dei contesti regionali, dal significato delle varie “sperimentazioni” didattiche nelle scuole e nei licei attuate per anni e mai valutate, e chiedendoci perché il sistema educativo che dal 2000 ad oggi funziona meglio al mondo, secondo l’OCSE, sia quello della piccola e svantaggiata Finlandia (5,4 milioni di abitanti su 338mila kmq tra latitudini più ostili e molto meno fortunate delle nostre).
    In conclusione, parole-chiave come colpa, rovina, numeri, obbrobrio, disastro, orrori, che vedo qui usate, mi sembrano poco utili. Se (come pare suggerire Cubellis) nessuno può né vuole diventare anglosassone, sarebbe bene sapere chi e cosa si vuol essere o diventare (mediterranei? neolatini? terzomondiali? globali? cercatori d’oro? santi? eroi? navigatori? …) e sapersi dare, di conseguenza, un sistema di autovalutazione efficace e condiviso, almeno per aree e per regioni, se a livello nazionale e generale non si riesce ad averne uno solo accettabile, funzionale e rispettoso, come ha detto Braga, delle diversità.
    Quanto a “legare il proprio nome a delle riforme”, come dice Orlandi, una piccola ironia della storia: Berlinguer era presidente di turno dei ministri europei delle università, nel 1997, durante la presidenza italiana della UE. Allora al programma ERASMUS di borse di mobilità di studenti e docenti fu dato il nome di Socrates. E i buoni greci sorrisero perché Socrate non si era mai mosso da Atene: altro che programmi di mobilità europea…

  34. Gianfranco Agosti
    13 gennaio 2014 at 13:02

    Condivido molti degli interventi, in particolare quelli di Braga, Stella, Fornaro, Falaschi, Ferloni.
    Mi sembra chiaro che discutere i mali del 3+2 adesso possa aver senso solo come giusta reazione a una pubblicistica malinformata e fuorviante, se non in malafede. Il sistema purtroppo c’è e bisogna conviverci, cercando di migliorarlo finché non verrà riformato. Nelle facoltà umanistiche ha certo funzionato peggio (e ha causato un generale impoverimento della formazione), ma è indubbio che una certa mobilità sia stata favorita: conosco moltissimi casi di studenti che si sono spostati per la la LM spinti dall’esigenza di seguire corsi e docenti differenti (il che significa che in molte facoltà l’offerta formativa della biennale ripete quella della triennale, senza significativi approfondimenti).
    Piuttosto, avendo insegnato molti anni al liceo prima di approdare all’università, credo di poter dire con cognizione di causa che qualsiasi riforma universitaria che non sia accompagnata da un adeguamento e potenziamento dell’insegnamento medio superiore è destinata a fallire. Mi sembra che la battaglia dovebbe riguardare innanzitutto una seria riforma dei licei, che ne difenda le prerogative e ridia loro un’autentica funzione di preparazione all’università.
    Quanto ai concorsi, le ‘terne’ (poi ‘bine’), con tutte le storture di cui ognuno di noi potrebbe testimoniare, ci faranno ancora pagare ancora per molti anni un prezzo salatissimo in termini di credibilità e di serietà scientifica. E qui le responsabilità sono evidenti.

  35. Giorgio Zavarise
    12 febbraio 2014 at 02:14

    Ricordo, da giovane ricercatore, un bravissimo docente anziano, apparentemente entusiasta del 3+2, che al mio disappunto e a quello di tanti altri rispose sarcasticamente: sono consulente del tribunale, e quando i laureati 3+2 arriveranno nel mondo del lavoro io diventerò ricco!
    Come docente universitario combatto e piango tutti i giorni contro questo maledetto 3+2, e spero di rivedere il vecchio ordinamento prima della pensione.
    Non credo però che la politica sia in grado di riformare l’Università da sola. Per assurdo, i ranghi della politica sono da sempre imbottiti di universitari, ai quali evidentemente la politica deve mandare in pappa il cervello, visti gli scempi che come politici hanno prodotto.
    Sarà l’industria che già da tempo chiede disperatamente laureati con testa pensante, anziché beoti raglianti, che prima o poi imporrà una riforma. Io spero che questo momento arrivi presto.

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