DDL: PD di Pisa e PD nazionale

Segnaliamo l’interessante documento “L’Università senza futuro”, del Circolo Università e Ricerca del PD di Pisa.

Nel documento, tra l’altro, è scritto che “l’impianto complessivo del DDL Gelmini di riforma dell’università risponde a un disegno di ridimensionamento punitivo del sistema universitario” e che “viene sancito l’obbligo dell’ingresso di soggetti esterni negli organi direzionali degli atenei, a pieno titolo e con rilevanti capacità decisionali”. E’ vero. Come è vero che l’impianto del DDL presentato dal PD è lo stesso di quello del DDL governativo (soprattutto per quanto riguarda la ‘governance’), come documentato dall’ANDU (v. “DDL PD: commissariamento degli Atenei e dei Docenti“). E anche nel DDL del PD “viene sancito l’obbligo dell’ingresso di soggetti esterni negli organi direzionali degli atenei, a pieno titolo e con rilevanti capacità decisionali”. Infatti il DDL del PD prevede che metà dei componenti del Consiglio di Amministrazione siano nominati dal Rettore e almeno un terzo dei componenti sia formato da persone esterne  (comma 7 dell’art. 5) e che i poteri assegnati allo stesso Consiglio di Ammnistrazione siano ASSOLUTI. Infatti nel DDL del PD si legge che “il consiglio di amministrazione (composto al massimo da una dozzina di elementi, ndr) assume TUTTE le decisioni riguardanti l’ateneo nel suo complesso, ad eccezione di quelle di competenza di altri organi di governo” e “in particolare approva il bilancio preventivo, il conto consuntivo e TUTTI i provvedimenti che riguardano la realizzazione di infrastrutture, l’ORGANICO e il RECLUTAMENTO del personale, l’ATTIVAZIONE dei corsi di studio e l’allocazione di risorse alle strutture interne.”(comma 6 dell’articolo 5).
          Inoltre “il consiglio di amministrazione, sentiti il senato accademico e le strutture interne interessate, DELIBERA il reclutamento (dei professori) sulla base della graduatoria di merito e di una eventuale intervista (sic!) con i candidati.” (comma 6 dell’art. 9).
        E anche “la promozione (dei professori) e’ DELIBERATA dal consiglio di amministrazione, sentiti il senato accademico e le strutture interessate.” (lettera d del comma 8 dell’art. 9).

3 comments for “DDL: PD di Pisa e PD nazionale

  1. precario k.
    16 dicembre 2009 at 19:39

    UNA PRESA DI DISTANZA DAL PD ‘UFFICIALE’?
    di Precario K. di Pisa

    Questo documento è “interessante” nella misura in cui esprime, purtroppo ancora troppo velatamente, una presa di distanza del circolo in questione dalla linea Modica-Carrozza, ossia dalla linea ufficiale dei responsabili nazionali PD, entrambi molto dialoganti col governo rispetto al DDL Gelmini. Che sia la volta buona di un dibattito “democratico” all’interno del PD? Che sia la volta buona per la base del PD, quella che paga la crisi e vive la precarietà, di farsi sentire dai vertici del partito, quelli che la crisi la evocano solo retoricamente e della precarietà (pardon, flessibilità) hanno fatto la loro filosofia? Vedremo dai dibattiti al Senato, in commissione cultura, sul DL Gelmini come si comporterà la cosiddetta “opposizione”. E vedremo se il circolo PD di Pisa, oltre a sfogarsi sulla stampa locale, si farà vedere e darà il suo contributo alla mobilitazione universitaria.

  2. Gianfranco Denti
    18 dicembre 2009 at 08:41

    DDL DEL GOVERNO E DEL PD: “PROFONDISSIME DIFFERENZE”
    di Gianfranco Denti dell’Università di Pisa

    Il curioso vezzo di molti, di liquidare la proposta di legge presentata dal PD il 21 maggio 2009 (A.S. 1579) come “praticamente coincidente” con quella governativa, ha impedito sinora un’analisi puntuale di quel testo, dalla quale non potrebbero che palesarsi profondissime differenze di impianto e finalità. Questo non significa che su specifici disposti non si possa/debba discutere e proporre emendamenti.

    Quanto alla posizione del Circolo Università e Ricerca del PD di Pisa, la posizione completa e ufficiale sul DDL governativo e sui giochetti (inter)ministeriali correnti è quella espressa nel documento riportato qui sotto.

    Saluti cordiali.

    Gianfranco Denti
    professore ordinario – Università di Pisa

    L’Università ed il Governo Berlusconi
    Le riforme senza futuro e il giallo dei fondi che vanno e vengono

    Premessa

    Questo documento rappresenta una prima valutazione di alcuni aspetti del “DDL in materia di organizzazione e qualità del sistema universitario, di personale accademico e di diritto allo studio”, approvato dal Consiglio dei ministri il 28 ottobre scorso ma che non risulta ancora depositato né alla Camera né al Senato. Viene anche dato un giudizio su alcune sorprendenti iniziative dell’attuale maggioranza parlamentare sul tema delle risorse stanziate per lo svolgimento dei concorsi universitari.
    Il Circolo intende offrire un contributo affinché il Partito prenda una posizione politicamente forte, anche in riferimento alla proposta lanciata dallo stesso partito nel maggio scorso.
    Il Circolo è infatti consapevole della necessità di porre mano ad interventi legislativi che valgano a correggere le storture che si sono spesso verificate nella gestione delle università e nei comportamenti collettivi e individuali degli operatori. Comportamenti che hanno influito negativamente anche sul grave problema del precariato didattico-scientifico.
    Il Circolo è però altrettanto preoccupato del pericolo rappresentato dal fatto che sparare nel mucchio “alla Brunetta” serva soltanto a creare una cortina fumogeno-propagandistica per nascondere i veri obiettivi del piano governativo: ridimensionare drasticamente il sistema universitario e il personale dei relativi ruoli, ridurre fortemente l’accesso all’istruzione superiore (anche riducendo il sostegno agli studenti meno abbienti), burocratizzare e gerarchizzare i rapporti all’interno delle università e fra queste e i Ministeri sorveglianti (Economia e finanze in primis).

    Il “nuovo” DDL Gelmini

    L’impianto complessivo del DDL risponde ad un disegno di ridimensionamento punitivo del sistema universitario, considerato il consolidamento dei tagli ai finanziamenti, già effettuati e che si continueranno ad effettuare da qui all’entrata in vigore della legge e dei successivi decreti delegati (v. i continui richiami a provvedimenti da adottare “senza maggiori oneri a carico della finanza pubblica”).
    L’autonomia statutaria delle università viene praticamente azzerata; quella didattica e quella amministrativo-contabile fortemente limitate. Sarà pur vero che le autonomie nel sistema universitario sono state spesso malamente esercitate. Vale però la pena di ricordare che anche le patologie dei sistemi democratici non rendono affatto desiderabile una “buona dittatura”, occorrendo invece operare sui difetti di funzionamento per correggerli. In più, viene sancito l’ingresso di soggetti esterni negli organi direzionali degli Atenei, a pieno titolo e con rilevanti capacità decisionali, quasi che quello status sia di per sé garanzia di buon governo. Il pericolo di autoreferenzialità delle scelte didattiche si combatte invece attraverso serie ed efficienti forme di consultazione e di concertazione con tutte le parti interessate, pubbliche e private. Come se non bastasse, poi, la proposta di governance già ad una prima analisi risulta essere priva di bilanciamenti tra i poteri interni e totalmente proiettata su un sistema di ispirazione centralistica ed economicistica.
    Le deleghe al Governo consentono di adottare, nell’arco di ben trenta mesi, decreti legislativi su un’enorme congerie di materie col solo vaglio delle commissioni parlamentari competenti, presidio assai debole se si considera che la maggioranza agisce secondo ordini di scuderia e l’opposizione non è certo l’immagine della compattezza. Ovviamente sui contenuti non è possibile esprimere ora valutazioni definitive, salvo rilevare che in molti casi i criteri direttivi per l’esercizio delle deleghe sono eccessivamente vaghi e allo stesso tempo preoccupanti. Un esempio sono le deleghe sul diritto allo studio le cui direttive, seppur con poche indicazioni, lasciano intravedere uno stravolgimento dell’attuale sistema, mettendo in seria discussione i principi su cui questo da sempre si è fondato. I tagli per questa voce nelle Finanziarie 2009 e 2010, uniti ad alcune indicazioni del ddl, quali l’istituzione di un bizzarro fondo per il merito, l’introduzione della possibilità di scelta dei servizi da parte degli studenti, il potenziamento dei prestiti d’onore fanno presagire l’abbandono del sistema delle borse di studio.
    Quanto alla nuova disciplina del reclutamento, accanto a proposte condivisibili (alcune delle quali, peraltro, già in parte avanzate dal centrosinistra – ad esempio la separazione dei meccanismi concorsuali da quelli di promozione) e alla novità – per molti versi inquietante – della introduzione di un ancora imprecisato meccanismo di “tenure-track” ad associato, nessun vero passo viene compiuto per combattere la “precarizzazione” della prima fase dell’attività universitaria. Al contrario, insieme all’abolizione del ruolo di ingresso, viene aumentata la durata degli assegni di ricerca (fino a sei anni), permangono svariati rapporti contrattuali temporanei di ricerca e vi è una nuova disciplina che di fatto estende e consolida i contratti per attività di insegnamento.
    E’ facile prevedere che queste misure porteranno ad aumentare il ritardo nell’accesso al ruolo (associati a 40-45 anni? ordinari alle soglie della pensione?), anziché ridurlo come certa propaganda vorrebbe far credere. E questo è gravissimo, anche perché perpetua ed amplifica proprio il male che si dice di voler estirpare e cioè la gerontocrazia nella gestione delle università e nell’indirizzo delle scelte scientifiche e didattiche. Tanto più se le quote dei bilanci degli atenei destinate ad assegni di ricerca e a posti di ricercatore a tempo determinato saranno modeste, com’è inevitabile a causa della progressiva stretta finanziaria.
    La precarietà genera subalternità. La ricerca universitaria – che tale non è se non è autodeterminata – richiede, insieme ad una forte responsabilizzazione, stabilità personale e autonomia di ideazione, di azione e di giudizio. Solo su queste premesse, fra l’altro, è possibile giudicare la qualità del lavoro di un ricercatore, la sua capacità di produrre risultati originali ed importanti. Non certo sulla base delle attitudini ad eseguire correttamente istruzioni altrui, per quanto valide scientificamente. Ritardare l’ingresso a pieno titolo dei giovani nell’università, dopo un lungo “addestramento” alla subalternità, equivale a consegnare definitivamente l’università italiana alla più desolante piattezza ed alla prepotenza dei personaggi e delle consorterie più spregiudicate.

    I giochi di prestigio sulle risorse stanziate dal Governo Prodi

    Nel contesto descritto è sbalorditivo che il Governo Berlusconi non si sia fatto carico neanche di affrontare i problemi più urgenti fra i quali emerge in particolare il dramma di chi è precario da molti anni ed è in attesa di concorsi che non è chiaro come e quando si faranno. E non è da sottovalutare il ritardo incomprensibile con il quale in genere si sta procedendo sul versante del reclutamento: vi sono concorsi che attendono di svolgersi da tempi immemorabili con ricadute non trascurabili sulle aspettative di migliaia di candidati.
    Il tutto nel marasma generale fra vecchie e nuove procedure di reclutamento, fra incertezze ed incognite che determinano ansia e frustrazione in chi ha dedicato o ha deciso di dedicare la propria esistenza alla ricerca universitaria e viene invece rappresentato come una sorta di problema sociale, collocato in una sorta di limbo.
    L’ultimo atto di tale grottesco procedere è rappresentato dalla misteriosa scomparsa di ingenti risorse (ottanta milioni di Euro) stanziate dal Governo Prodi per il reclutamento dei ricercatori.
    La vicenda è talmente grave da esserne stata data notizia da tutti i media.
    E’ davvero stupefacente che le risorse già stanziate si siano volatilizzate, è imperdonabile anche solo avere ipotizzato di “coprire” con la nuova legge finanziaria un provvedimento già emesso dal precedente Governo, ed è sconcertante che la soluzione del problema sia stata annunciata dal Ministro Gelmini con la ormai consueta formula secondo cui i soldi ci sono, come se un Ministro potesse limitarsi a qualche dichiarazione sui giornali senza indicare con quali atti normativi e regolamentari assolve alle proprie funzioni.
    Su questo versante occorre esigere la massima trasparenza nella gestione delle risorse pubbliche, come da Costituzione.

    L’impegno e la proposta

    Il Circolo si impegna a condurre in breve tempo un’analisi puntuale e sistematica del DDL, anche alla luce di dati e indicatori che permettano di riferire le diverse problematiche a quanto accade a livello internazionale.
    Il Circolo intende promuovere un ampio dibattito sui temi sopra indicati al fine di portare il proprio contributo nello sviluppo di una azione politica e parlamentare che richiede un notevole sforzo programmatico anche sul piano di serie e ragionevoli proposte alternative a quelle – decisamente impresentabili – del Governo Berlusconi.

    Pisa, 7 dicembre 2009

  3. Andrea Tessier
    24 dicembre 2009 at 12:13

    SUL DDL DEL PD E SUL PRECARIATO
    di Andrea Tessier dell’Università di Trieste

    La difesa d’ufficio del PDL sulla docenza del PD da parte di G. Denti (18.xii) rimane purtroppo assolutamente nel vago, tanto quanto le accuse di coincidenza coi progetti governativi che il predetto vorrebbe schivare.
    E comunque, quanto alla ‘attenzione’ nei confronti del precariato universitario da parte del PD (e DS e PDS, per quello), parla la storia dei PDL avanzati (e per fortuna mai posti in essere), come del resto sempre puntualmente documentato su questo sito. Anzi, a mia memoria, ma posso sbagliarmi, l’unico PDL che prevedeva il ‘licenziamento’ dei ricercatori se non fossero riusciti a conseguire la promozione ad associato (quasi un richiamare dalla tomba il legame tra i vecchi Assistenti e la Libera docenza, con l’aggravante che almeno quella era senza tetto) è stato prodotto proprio dal principale partito di opposizione, qualunque nome avesse in quella fase storica.
    Credo di non essere l’unico, tra i meno giovani, a essere profondamente preoccupato dalla nebulosa e fuorviante imitazione del tenure-track che viene ventilata. La verità è che a parte di 60.000 docenti precari si offre solo nuova precarietà, e ciò sino a ben oltre i 40 anni, con la prospettiva non di un riconoscimento ‘senza tetto’ al termine del contratto (tale è il nuovo assetto del non-ruolo ricercatore), bensì di ancor più precario inquadramento nel ruolo degli associati.
    Nel frattempo, beninteso, i baroni di ieri stanno abbandonando le università pubbliche per svernare in nuovi e autodefiniti ‘Centri di Eccellenza’. Anche questi, tuttavia, attingono al FFO. O no?

    Andrea Tessier

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