Messaggi sull’intervento di Martinotti

Con l’autorizzazione degli Autori, diffondiamo i messaggi, che si riferiscono ad un precedente intervento di Guido Martinotti (v. nota), inviatici da Giovanni Pallottino (Roma La Sapienza), Stefano Manferlotto (Napoli Federico II) e Pier Carlo Bontempelli (Chieti).

Riportiamo anche un nuovo messaggio di Guido Martinotti (Bicocca).

Nota. Per il testo del precedente intervento di Guido Martinotti (“Da Martinotti ancora su “3+2″”): http://www.bur.it/sezioni/sez_andu.php 06 giugno 2006
oppure http://www.orizzontescuola.it/article10851.html

da Giovanni PALLOTTINO (Roma La Sapienza)

Guido Martinotti si chiede

Da dove viene fuori che “in alcuni campi ‘sfornavamo’ i migliori laureati d’Europa”? (chi, quando?)

A costo di essere coinvolto nel “ludibrio” menzionato poco oltre nel messaggio di Martinotti, vorrei mettere a disposizione la seguente informazione:

i laureati “quadriennali” in Fisica hanno quasi sempre dimostrato ottima
qualificazione a livello internazionale, spesso a livello di PhD, sia nel recente passato che quando da noi le scuole di dottorato ancora non esistevano, contribuendo fortemente a quella “fuga dei cervelli” che al tempo stesso ci addolora e ci inorgoglisce.

Cordiali saluti
Giovanni Vittorio Pallottino
Dipartimento di Fisica, Universita’ di Roma La Sapienza

Da Stefano MANFERLOTTI (Napoli Federico II)

Cari amici, il prof. Pallottino ha (ovviamente) tutta la mia solidarietà. Nei campi più vicini al mio (sulla disciplina che insegno taccio per ovvi motivi di buon gusto) potrei limitarmi a citare i filologi romanzi, molti di livello mondiale. E vorrei far riflettere il collega Martinotti (by the way, e solo per amore di precisione. non sono dell’Orientale ma della Federico II) su un solo fatto. Può anche andar bene che un laureato triennale in ingegneria sappia, diciamo così, fare l’impianto elettrico di
un condominio (lo si può tranquillamente utilizzare in tal modo), ma come la mettiamo con un laureato triennale in latino che sa a stento le declinazioni dei sostantivi? O con un italianista che abbia letto, in tutto, dieci sonetti di Petrarca e cinque canti della Divina Commedia? Che insegnanti avranno i nostri poveri nipotini? Dove andranno a finire queste legioni di semianalfabeti? Sentiremo mai, a sinistra (ed io sono di sinistra, ci tengo a sottolinearlo) un po’ di sana autocritica? Sono comunque contento che la mia letterina, volutamente sommaria e volutamente provocatoria, abbia contribuito a stimolare un dibattito in cui avremmo
forse dovuto impegnarci anni fa. Meglio tardi che mai.
Stefano Manferlotti.

da Pier Carlo BONTEMPELLI (Chieti)

Cari amici e colleghi,
vi scrivo pregandovi di diffondere, se lo ritenete opportuno, queste mie riflessioni. Vorrei precisare, molto in breve, solo un paio di cose, citando anch’io a memoria in merito a quanto scritto da Martinotti in data 5.6.2006 sul cosiddetto 3+2. Intanto, ha ragione Martinotti a scrivere che si dovrebbe parlare più precisamente di “Bologna process” e non di 3+2 come normalmente avviene. E allora, se è così, il processo avviato a Bologna va visto nella sua articolata complessità di cui una formula (3+2) non dà certamente conto. Vorrei però aggiungere a quanto detto da Martinotti che non è vero che tutti i paesi europei avevano il “ciclo breve”. La Germania, per esempio, paese portatore di un modello di università fino a qualche
anno fa prestigioso, e, tra l’altro, del tutto gratuito, ha cominciato a realizzare il Bachelor o Bakkalaureus (corso di laurea triennale) solo negli ultimi anni e a partire soprattutto dalle università di nuova istituzione e in quelle dei Laender orientali. E dunque si poteva, anche in Italia, agire con maggiore riflessività e soprattutto si dovevano definire i corsi di laurea triennali in base agli interessi generali e non delle singole lobbies. L’altro punto di discussione su cui vorrei attirare l’attenzione dei colleghi è la sorte della famosa bozza Martinotti, elaborata nel 1997 e diffusa con grande risonanza, in cui si enunciava, tra le altre cose, il principio del contratto da stipulare tra l’università, come fornitrice di servizi qualificati accertabili, e lo studente come fruitore, che si impegnava, a sua volta, a dare continuità nello studio e prestazioni di qualità. Molti colleghi ricorderanno certamente quanto quella bozza sia stata “agitata” e usata nel tentativo di fondare la nuova “moderna” università basata sulla libera contrattualità e sulla concorrenza
tra gli atenei. Vorrei chiedere a Martinotti, quante sono e quante sono state, secondo la sua opinione e la sua esperienza, le università che hanno cercato di rispettare più o meno rigorosamente quel principio contrattuale che condivido. Rispettarlo avrebbe infatti costretto gli atenei e gli studenti a operare secondo parametri oggettivi e verificabili: tu mi dai aule, docenti, laboratori, biblioteche, computer, lezioni, seminari ecc. e io mi impegno a frequentare e a conseguire risultati positivi. Quello che ho potuto constatare de visu negli ultimi anni, e, ripeto, non è certo colpa della bozza Martinotti così come non è colpa del processo di Bologna, è stato l’avanzare e il consolidarsi di un patto scellerato e di un gioco progressivo al ribasso, allo scopo di laureare più studenti e più in fretta possibile, onde dimostrare di essere più efficienti e più furbi di altri, in barba a qualsiasi forma di contratto giuridico e etico (ma ha senso parlare di “etica” in campo universitario?). Perché la nostra università non si interroga, per esempio, sui requisiti minimi dei corsi di laurea, sulle strutture, sulle biblioteche, sui servizi reclamizzati e non forniti? Perché si accetta, spesso in silenzio per malinteso amore dell'”azienda”, il principio che dobbiamo vendere a tutti i costi un prodotto “taroccato”? Perché non discutere se sia giusto mettere fine alla concorrenza (sleale) tra gli atenei per affermare, dove possibile, sinergie positive? Forse soprattutto di questo bisognerebbe discutere e non di formule (3+2, 1+2+3, Y o altro). Mi rendo conto che queste mie brevi considerazioni saranno giudicate da molti scarsamente “politiche” ma corro volentieri questo rischio.
Cari saluti a tutti
Pier Carlo Bontempelli
Prof. Ass. di Letteratura Tedesca
Università di Chieti

da Guido MARTINOTTI (Bicocca)

Ma sì, questo lo sappiamo tutti. Ho frequentazioni con i fisici da lunghissimo tempo (Berkeley 1963 con Nicola Cabibbo, Carlo Schaerf, Francesco Calogero, per dirne alcuni e negli ultimi otto anni lavorando gomito a gomito con il mio Rettore) e ho sempre apprezzato la qualità di quella che Carlo Bernardini, mi pare, ha una volta definito _una isolafelice_. Quando si parla della bontà dei laureati italiani qualcuno tira sempre fuori i fisici. Ma la mia domanda è: si può dare un giudizio su un sistema citando solo un pezzo, importante fin che si vuole, ma definito? Si farebbe così in una comparazione tra due sistemi fisici complessi o non si cercherebbero invece misure capaci di esprimere in modo analitico o
sintetico le proprietà dei due sistemi? Sono sempre in attesa, soprattutto
dalla parte di scienziati, di dati non episodici e possibilmente, di osservatori terzi, che corroborino quella che per il momento continuo a ritenere una fola _sui migliori laureati in Europa_. E soprattutto una fola che non ci serve per andare avanti ora. GM

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